«Angelica, Carmen, Helga, Inés, Nora, Xenia...
Le ho amate tutte, per un'ora o per sempre.
Alcune con grazia, altre con irruenza, altre ancora le ho solo
immaginate.
Senza di loro, non sarei stato io.»
Sono storie d'amore, sono incontri di un istante, sono figure femminili indimenticabili. E non importa che siamo realmente esistite, o che emergano da qualche capolavoro della letteratura. Il loro fascino riemerge in queste pagine in cui, insieme al maestro, sorridiamo, desideriamo e ci innamoriamo. Di Angelica, di Beatrice, di Helga, di Carmela, di Maria, di Zina... E pur di conquistarle, l'uomo è pronto a tutto, anche andare in bicicletta mentre diluvia o venire malmenato da un lanciatore di coltelli; tutto per fare i conti con i temperamenti, le voglie segrete e i sogni, diversi per ogni donna, nella letteratura come nella vita.
Donne fiere che non cedono a minacce né a lusinghe, pronte ad affrontare il loro destino. Donne misteriose che compaiono e scompaiono nel volgere di un viaggio in nave. Donne soavi e inebrianti, come la Sicilia. Donne scandalose, perché non hanno paura di prendere ciò che è loro, compresa la libertà. Semplicemente, donne.
Sono loro le protagoniste di questo libro unico, viste da un Andrea Camilleri in carne e ossa, prima di diventare lo scrittore più amato d’Italia. È il ragazzino timido che scopre il piacere di riaccompagnare a casa una compagna di classe, magari tenendola per mano. È il diciassettenne che di fronte al volto intenso e tenero di una diva del cinema scoppia in lacrime e decide di abbandonare la sua terra. È il giovane che in piena notte corre ad Agrigento in bicicletta, sotto il diluvio, per raggiungere una statuaria bellezza tedesca ossessionata dall’igiene. È il marinaio improvvisato che, nell’estate del ’43, durante un bombardamento soccorre una bambina, e grazie al miracolo di un abbraccio riesce a dimenticare orrori e distruzione.
È questo e tanto altro, il Camilleri che in un solo colpo ci regala un’autobiografia d’amore e una raccolta di indimenticabili storie. Un intimo, giocoso catalogo delle donne che nel corso dei secoli gli uomini hanno di volta in volta amato e odiato. Un viaggio di scoperta della seduzione, del sesso e di quel formidabile, irrisolvibile enigma che è l’universo femminile.
«Attraverso i suoi personaggi femminili scoprirete la voce di un uomo che vi farà innamorare.»
Serena Dandini
Un brano della presentazione con Serena Dandini alla
Casa delle Letterature di Roma
del 29 settembre 2014 (da TG1 - Billy del 9.11.2014)
Angelica
Due sono le Angeliche delle quali sono stato innamorato. Quella creata dalla poesia di messer Ludovico Ariosto mi iniziò ad un sentimento d'amore, esaltante e struggente. Imparai a leggere correntemente che avevo sei anni. E da allora non smisi più. La mia prima lettura era stata un romanzo di Conrad, La follia di Almayer, dopo aver chiesto e ottenuto da mio padre il permesso di mettere mano tra i libri della sua biblioteca. Mio padre non era un intellettuale, però aveva un particolare gusto per le buone letture. Divorai alla rinfusa Conrad, Melville, Simenon, Chesterton, Maupassant e, tra gli italiani, Alfredo Panzini, Antonio Beltramelli, Massimo Bontempelli...
I nonni materni abitavano nell'appartamento accanto al nostro, ma la biblioteca di nonno Vincenzo non m'interessava, era piena di manuali Hoepli sulle coltivazioni dei cereali e sull'allevamento del bestiame, c'era qualche libro educativo per l'infanzia, mancavano del tutto i romanzi. Nonno aveva anche raccolto i fascicoli di una pubblicazione storico-geografico-economica che riguardava le regioni italiane. Molti li aveva fatti rilegare, ma una trentina, sfusi, giacevano nel ripiano più basso dello scaffale. Un giorno, del tutto casualmente, m'accorsi che essi coprivano, nascondendolo, un grosso volume. Lo tirai fuori. Era di mole considerevole, due volte più alto e largo di un libro normale, sulla pesante rilegatura rosso-bruna c'era scritto a caratteri dorati: Ludovico Ariosto, Orlando furioso. I fogli, lucidi, erano molto spessi. Mi colpirono, a prima vista, le meravigliose illustrazioni di Gustavo Doré.
Mi impadronii del libro, tanto nessuno si sarebbe accorto della sua sparizione, e me lo portai nella mia stanza. Da quel momento, e per qualche anno, convissi con Angelica della quale m'innamorai perdutamente per le fattezze che le aveva dato Doré. I cui disegni mi avevano già provocato l'emozione indescrivibile di vedere per la prima volta com'era fatto il corpo nudo di una donna. Era forse per questi disegni che il libro era stato seminascosto?
Doré non aveva mai disegnato Angelica senza veli, ma io le prestai il corpo di una fanciulla ignuda, i polsi legati alti a un ramo, che illustrava non ricordo più quale altro episodio. Percorrevo delicatamente con l'indice i contorni di quel corpo, li carezzavo ad occhi socchiusi, il cuore impazzito, ripetendo dentro di me come una litania il nome d'Angelica.
Ricordo anche che dentro il mio cervello di decenne, educato da quattro anni di ottime letture tutt'altro che infantili, due precisi episodi del poema mi si stamparono in maniera indelebile. Uno era la storia di Fiammetta che riesce a tradire i suoi due amanti pur giacendo nel letto in mezzo a loro. L'altro era il fatto che Angelica, pur essendo corteggiata da eroici guerrieri e da ricchi nobili, s'innamora di un povero pastore, Medoro, e se ne va a vivere con lui.
Capivo come Orlando, alla notizia, fosse andato fuori di testa, ma ancor di più, istintivamente, comprendevo la scelta di Angelica e mi schieravo dalla sua parte. Al primo ginnasio mi misero in una classe mista. Tutti i miei compagni s'innamorarono subito di Liliana. Io no, era bella, innegabilmente, ma troppo dissimile da Angelica. Prima di entrare in classe, lasciavamo i cappotti negli appendiabiti disposti lungo il corridoio. Alla fine delle lezioni, i miei compagni si precipitavano a prendere il cappotto di Liliana e a tenerglielo aperto mentre lei l'indossava. Era una gara che non escludeva spintoni, cazzotti e insulti.
Quasi sempre vincevano i due più robusti, Giogio e Cecè, figli di ricchi commercianti. [...]. Ma un giorno Liliana guardò Cecè che le teneva il cappotto pronto per essere indossato e gli disse, gelida: «Rimettilo a posto». Cecè, allibito, ubbidì. Allora Liliana, inaspettatamente, mi chiamò. Io, che dopo avere assistito a quella scena mi stavo avviando all'uscita, mi voltai, sorpreso. Di rado mi aveva rivolto la parola. «Andrea, me lo tieni il cappotto per favore?» [...] E così scoprii che in ogni donna alberga, più o meno segretamente, un poco d'Angelica.
L'altra Angelica l'incontrai a Roma negli ultimi mesi del 1949 o nei primissimi del 1950, non ricordo bene. Ero allievo-regista all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica. [...] Un giorno notai, al tavolo accanto al mio, una vecchietta minuta, vestita con proprietà, che aveva anche lei ordinato un cappuccino e una brioche. Per un attimo, sollevò il viso e mi guardò. Ebbi un tuffo al cuore.
I suoi occhi, grandi e vivissimi, erano identici a quelli di mia nonna Elvira. Io nonna l'adoravo, avevo più nostalgia della nonna che dei miei genitori. Forse tenni troppo a lungo lo sguardo fisso su di lei perché la vecchia signora tornò a guardarmi, stavolta sorridendomi. Quel sorriso e quello sguardo avevano un fascino indicibile, le annullavano in un attimo gli anni che le pesavano sulle spalle, la facevano tornare ragazza. Non riuscii a controllarmi. Le mie gambe si mossero senza che io gliel'avessi ordinato. Presi la tazza e la brioche, mi alzai, mi avvicinai al suo tavolo.
«Mi permette?» Mi fece cenno d'accomodarmi. Poi mi domandò, un po' sorpresa: «Mi ha riconosciuta?».
Perché avrei dovuto riconoscerla?
«No, ma lei, mi perdoni, mi ricorda cosi tanto mia nonna che...» Sorrise. Ah, quel sorriso!
«Come si chiama sua nonna?» «Elvira.» «Io mi chiamo Angelica. Angelica Balabanoff. » Sobbalzai, per poco non caddi dalla sedia. Sapevo chi era Angelica Balabanoff, la grande rivoluzionaria russa, l'amica di Lenin, colei che aveva "creato" Mussolini...
La domanda mi scappò dalle labbra prima che potessi trattenerla.
«Com'era Lenin?» Dovevano averle rivolto quella domanda migliaia di volte. Rispose subito e sbrigativamente: «Un uomo di un'onestà ferrea. Un angelo feroce». Ma non aveva intenzione di parlare di politica con me perché cambiò subito discorso domandandomi cosa facessi. Appena seppe che mi occupavo di teatro, i suoi occhi s'illuminarono. Mi parlò dandomi del tu.
«Che conosci di Cechov?» «Credo tutto.» «Da giovane» sospirò «sarei stata una perfetta Nina nel Gabbiano.» E cominciò a parlarmi di Cechov con un fervore e una competenza che mi stupirono. Me ne parlava però non per insegnarmi qualcosa, ma da pari a pari, quasi fosse una mia compagna d'Accademia. Ogni tanto, senza rendersene conto, mi carezzava il dorso della mano.
E così scoprii che la seconda passione della Balabanoff, dopo la politica, era il teatro. Quando venne l'ora d'andarmene e la salutai, lei mi disse: «A domani. E non dirmi signora, chiamami Angelica».
Non so perché, mi recai il giorno dopo all'appuntamento con il batticuore, come per un incontro amoroso. Non avevo raccontato a nessuno d'averla conosciuta, del resto i miei compagni non avrebbero nemmeno capito di chi stavo parlando.
Non mi disse mai dove abitava, come trascorreva i suoi giorni. Il mese terminò, ci eravamo visti cinque volte, il giorno appresso avrei riscosso la borsa di studio. La parentesi dei cappuccini si era, al momento, chiusa.
«Angelica, posso invitarla a pranzo domani?» Mi guardò sorpresa. Poi consentì.
«Va bene.» Si fece dare l'indirizzo del ristorante, mi disse che sarebbe venuta all'una, aggiunse che aveva un appuntamento e che non poteva trattenersi ancora con me. Mi porse la mano. Io mi chinai e gliela sfiorai con le labbra. Allora lei mi abbracciò e mi baciò sulle guance alzandosi in punta di piedi.
Non solo non si presentò al ristorante, ma non venne più nemmeno al caffè. Sparì dalla mia vita. Ne soffrii a lungo.
Ieri sera ho avuto la fortuna di ascoltare il Sommo alla presentazione del libro “Donne”. Presentazione e discussione simpaticamente guidata ad arte da Serena Dandini.
90 minuti di piacevoli chiacchiere e letture, tutto condito dai soliti frizzanti aneddoti come solo il Sommo sa raccontare. Serata piacevole e divertente.
La chiacchierata tra il Sommo e la Dandini è stata intervallata dalle letture di Manuela Mandracchia, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres rispettivamente di “Venere”, “Angelica” ed “Elvira”. Le piccole introduzioni del Sommo alle letture e i commenti finali, manco a dirlo, brillantissimi e coloratissimi...
Ogni volta che il Sommo racconta fatti accaduti a lui "di pirsona pirsonalmente" ( frase usata ieri prendendola a perstito da Catarella) o ad altri, mi chiedo sempre: ma capitano tutte a lui, oppure vede le cose con uno sguardo particolare, che evidentemente io non ho, e quindi riesce a renderle talmente interessanti, e spesso talmente divertenti, da fartele rivivere? Propendo per la seconda.
E allora alla prossima... mi sa che ha ancora tanto da raccontare.
A proposito... c'è scappata anche una ricetta della nonna. Uno strato di gallette (fette di pane duro), strato di verdure miste cotte, strato di verdure crude, poi di nuovo verdure cotte e cosi via, fino a formare una cosa alta come un panettone. L'esterno... torno torno, fette di arancia, fette di patate, fette di uovo sodo... e in cima, come dei capelli, delle alici che scendono giu. Si mangia dopo 24 ore per dare il tempo alle verdure di inzuppare il pane. E adesso immaginate i colori... arancio, giallo, verde, bianco... A detta del Sommo, una cosa buonissima. Provare per credere...