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Crema, Cafe Gallery, 24.11.2003
Presentazione del romanzo Ad occhi chiusi
di Maddalena Bonaccorso

 

Domenicale del Sole 24ore, 28.12.2003
NarrItalia
di Giovanni Pacchiano

C’è qualcosa di bressoniano nel personaggio di suor Claudia, una specie di dolorosa Mouchette che campeggia nel nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio, “Ad occhi chiusi”. Lei da bambina, a nove anni, viene violentata dal padre, un mascalzone che passa le sue giornate in camera da letto, a far nulla. Violentata e picchiata: un’abitudine che si ripete nel tempo (la madre, fuori al lavoro, finge di non accorgersi di nulla, nonostante i lividi che segnano la figlia). Poi, un giorno, il galantuomo, si accorge che la bambina è troppo cresciuta: non fa più per lui. E mette gli occhi sulla figlia minore. Ma, quando la chiama col pretesto di doverle dire una cosa, e lei si muove “verso il piccolo corridoio, stretto e oscuro”, in fondo al quale c’è la stanza del padre, ecco Claudia precedere la sorellina, come per proteggerla, e, al padre che la minaccia: ”Adesso ti faccio vedere io, piccola troia”, oppone un coltello lungo e affilato…
Fine di una storia drammatica. Inizio di un’altra storia buia: gli anni del riformatorio, poi, per fortuna, la scuola, il recupero di un (apparente?) equilibrio, il lavoro come volontaria in una comunità che accoglie ex prostitute e ragazze abusate. Lei si fa chiamare suor Claudia, ma suora non è. Forse, è un modo per ripararsi dai rapporti con le persone. Ma i ricordi che tornano, e come se tornano, dal momento che ogni giorno, nella sua missione, suor Claudia è a contatto con vicende di sopraffazione e di violenza, fanno ancora molto male…
E’, appunto, suor Claudia, “una ragazza sulla trentina, o poco più”, una ragazza che si nota, alta com’è, “almeno un metro e settantacinque”, con i capelli legati a coda e i suoi jeans scoloriti e un giubbotto consunto di pelle nera, a presentarsi dall’avvocato Gudo Guerrieri, il protagonista del romanzo (un legal thriller che è molto più che un legal thriller: ottima qualità, scritto benissimo, con uno stile semplice sino alla naturalezza, senza vezzi o enfasi), per parlargli del caso di Martina Fumai. Luogo della vicenda: Bari. Guerrieri, quarant’anni, è simpatico, spiritoso e onesto. Uno che tira dritto per la sua strada senza darsi arie, e che, frequentando il Palazzo di giustizia, è vaccinato a ogni situazione e a ogni carattere. Ci piace: ama alla follia “La casa dei giochi” di David Mamet (anche noi) legge Kavafis, frequenta una minuscola sala cinematografica dove si proiettano vecchi film da mezzanotte all’alba. Quando non riesce ad addormentarsi, legge i “Minima moralia” di Adorno nella speranza (vana) che la noia gli porti il sonno. Ha una fidanzata, Margherita, che vuole prendere il brevetto di paracadutista. Lui, che ha paura del vuoto, la invidia. Si sente pavido, ma sul lavoro, è un avvocato con le palle. La bella Martina Fumai, trentacinque anni, un passato da anoressica, è perseguitata dal suo ex convivente, un bullo pervertito e ossessivo che lei ha mollato dopo anni di maltrattamenti e umiliazioni, e che ora, non sopportando l’affronto, non le dà tregua. Un caso facile? Purtroppo lui, il Gianluca Scianatico, “famoso balordo ed esponente della cosiddetta Bari bene”, medico in una clinica universitaria ma anche “ex picchiatore fascista, giocatore di poker” e – si dice – “cocainomane”, è figlio di Ernesto Scianatico, “uno degli uomini più potenti della città”, e “presidente di una delle sezioni penali nella Corte d’appello”… Abbiamo voluto dare al lettore solo un quadro generale. Le premesse della trama e i personaggi. Coinvolgente com’è, il libro va letto, non raccontato. Ma di una cosa siamo certi: al suo secondo romanzo, Carofiglio è un talento da cui ci aspettiamo molto.

 

Venerdì di Repubblica, 19.12.2003
La mia Babele
Così Guerrieri ha fatto il bis
di Corrado Augias

La prova, in genere, sta nel secondo romanzo. Molti sono in grado di buttar giù una storia che stia in piedi attingendo o alle emozioni spesso vive della giovinezza o ai canoni di un genere: per esempio il poliziesco. Alla seconda prova però, si vede di qual pasta sia fatto l’autore. Nel caso che sto per dire, la pasta è buona. Gianrico Carofiglio, ci aveva dato con Testimone inconsapevole un ottimo poliziesco all’italiana. Adesso, sempre per Sellerio, esce Ad occhi chiusi protagonista l’avvocato Guerrieri alle prese con la sua solita vita un po’ astenica, un po’ disordinata, quando…
L’attacco può apparire di routine. L’avvocato è immerso nelle consuete beghe e con una vita, a Bari, moderatamente soddisfacente, quando si presenta il caso di una giovane donna che ha denunciato il suo persecutore e ora vive protetta e nascosta. Si tratta di dar seguito alla denuncia, assistendola in giudizio. Nessuno vuole farlo per timore delle minacciose persone che fanno parte del giro. Il nostro invece accetta. Perché è lui, in primo luogo, e non a caso si chiama Guerrieri. Ma anche perché a perorare la causa della sventurata c’è un’altra donna: ”alta, almeno un metro e settantacinque, aveva i capelli legati a coda, indossava jeans scoloriti e un giubbotto consunto di pelle nera”. Una poliziotta, pensa l’avvocato, sbagliando. Infatti quando l’ispettore Tancredi che è con lei la presenta, dice semplicemente “Lei è suor Claudia”. Una volta ho letto un romanzo di Mc Bain in cui si scopriva che la giovane donna con le tette rifatte trovata assassinata nel parco, era stata una suora. Carofiglio gioca con un’analoga sorpresa che convince Guerrieri ad accettare. Non starò a dire attraverso quali rischiose peripezie i protagonisti dovranno passare per risolvere la vicenda, spunti attinti o elaborati sulla ferocia della nostra cronaca che nulla invidia a quelle più efferate. Dove allora il punto di forza? La mia risposta è: nella scrittura. Carofiglio maneggia il lessico del poliziesco con consumata maestria ed è capace di toccare tutti i registri, dall’orrore all’ironia. Per esempio, la partner di Guerrieri, Margherita, è corteggiata da due lesbiche paracadutiste. Quelle ragazze mi hanno invitato a prendere il brevetto con loro, dice Margherita. Pensa Guerrieri: ”Hanno  invitato te perché ti si vogliono fare. Il brevetto di lesbica, ti vogliono far prendere… non dissi così ovviamente. Noi uomini di sinistra non diciamo cose del genere; al massimo le pensiamo".

 

Mucchio selvaggio, n.571, 23-29.3.2004
Gianrico Carofiglio, "Ad occhi chiusi"
di Gianluca Veltri

Generazione letteraria noir di quarantenni di sinistra, che sono stati bambini negli anni Settanta, ascoltatori di musica rock, appassionati di cinema d’autore, curiosi in cucina, un po’ disincantati, ironici, moralisti, debitori verso Montalban (senza la “o”). Il barese Gianrico Carofiglio è uno degli scrittori più dotati di questa covata letteraria. Bravo a trasformare il rimpianto generazionale in storie gialle avvinghianti, ma anche ricche di aspetti ambientali e culturali.
L’avvocato alter-ego di Carofiglio (che nella vita è – di contra – magistrato) è Guido Guerrieri, giunto alla sua seconda avventura dopo Testimone inconsapevole. Reduce da una giovinezza incostante, Guerrieri è un penalista idealista: nella precedente storia difendeva un senegalese accusato di aver ucciso un bambino. Qui rappresenta una donna, parte civile contro il suo ex-uomo. Problemi vari: lui – l’ex-uomo - è figlio di un ras del foro, tracotante epicentro di potere; lei ha alle spalle un’esperienza psichiatrica, quindi è inaffidabile, quindi è pazza. Don Chisciotte/Guido ingaggia la sua lotta contro i mulini. Al suo fianco, anzi, sullo sfondo (un po’ troppo perfetta) la fidanzata Margherita, conosciuta nel precedente romanzo. La lingua è spiccia e veloce, la storia avvincente. Lo svolgimento del plot, ovviamente, non lo scoprirete qui.
Carofiglio ci piace. Il suo alter-ego è una bella maschera, percorso dalle inquietudini dell’anti-eroe, che a volte ha l’impressione guardare la vita passare, adulto abitato dai ricordi di Tex Willer e dell’odore della Standa. Carofiglio fa ascoltare all’avvocato Guerrieri Springsteen, REM e Lou Reed e gli fa leggere poesie di Kavafis. Un personaggio del romanzo è persino alle prese con Mucchio selvaggio!
L’idea centrale di Ad occhi chiusi è tutta raccolta dentro il concetto, proprio delle arti marziali, di cedevolezza: il segreto del combattimento è nella non-resistenza. Chi è cedevole supera le prove; chi è duro, rigido, prima o poi viene sconfitto e spezzato. È quanto insegna il Wing Tsun: “resistere fino a un certo punto, e poi sapere esattamente quando è il momento di cedere e sviare la forza dell’avversario, che alla fine si ritorce contro di lui”. Pag. 142. Annotate, gente; di questi tempi è oro colato.

 

Mucchio selvaggio,  n.576, 27.4-3.5.2004
Intervista a Gianrico Carofiglio
di Gianluca Veltri

Gianrico Carofiglio si sta costruendo un posto tutto suo nel parterre noir. Barese, magistrato, 43enne, lo scrittore si è guadagnato già una (meritata) reputazione con due ottimi gialli giudiziari, entrambi pubblicati dall’editore Sellerio, Testimone inconsapevole (2002) e Ad occhi chiusi (2003). Un’originale via italiana al legal thriller, felicemente infarcito dei segni di una cultura cinematografica, musicale, letteraria. Ma soprattutto la descrizione di una realtà in cui le persone socialmente più fragili vengono calpestate con puntualità.
A occuparsi di loro è l’avvocato Guerrieri. Sì, l’alter ego del giudice Carofiglio, per somma ironia, è un avvocato. Al quale lo scrittore ha ceduto disincanto e senso della pietas, indolenza, idealismo, ironia. Insieme a un grande amore per Bruce Springsteen.
Gianrico Carofiglio, oltre che cintura nera di karate (scopriamo solo alla fine della chiacchierata quel che abbiamo rischiato), è un signore arguto, sottile, spesso laconico. Spesso le domande sono più lunghe della risposte. (Con l’effetto di far sentire i vostri umili cronisti dei perfetti idioti.)
Giudice, grazie per la disponibilità. Per una volta le domande non le fa lei. Conosce Mucchio selvaggio; non è una domanda, lo so. Un suo personaggio lo legge.
Certo che lo conosco. Lo leggo, anche se non con sistematicità. Ma a dire il vero non faccio niente con sistematicità.
Dalla sua penna sta scaturendo un ciclo di legal thriller, un corpus molto interessante. Sta seguendo una pianificazione, o l’istinto di giornata? Il prossimo libro sarà della stessa serie, o ha in mente dell’altro?
Come dicevo: non sono per niente sistematico. Tanto meno capace di pianificazione. Comunque il prossimo romanzo è del tutto diverso dai primi due. Non è di ambientazione giudiziaria anche se può rientrare nella categoria del noir. A proposito, ho finito ieri la prima stesura e probabilmente uscirà a settembre. L’anno prossimo riparliamo del ciclo dell’avvocato.
Giudice, pausa tecnica. Mi sentirei più a mio agio se ci dessimo del tu, lo chiedo con deferenza…
Certo, il tu va benissimo.
Bene. L’Italia sta proponendo dei validi scrittori di noir: De Silva, Biondillo, Piazzese, Fois, oltre ad altri già piuttosto affermati. Ti senti vicino a una – non dico scena letteraria, ma almeno – tendenza?
Francamente direi di no.
Sindrome da cane sciolto?
Mi sembra una diagnosi azzeccata.
Un legal thriller italiano è insolito. Non credo che il tuo modello sia Scott Turow…
Hai ragione. Non so nemmeno se ho un modello. Mi piacciono le atmosfere di certi noir americani poco noti in Italia. Per esempio i primi romanzi di Andrew Vachss, Lawrence Block. Anche il primo Ellroy.
Come pensi che sia cambiato il genere in quest’ultimo decennio? I 30-40enni hanno portato qualcosa di nuovo, sono i primi scrittori a esser stati bambini negli anni ’70. Cosa significherà? Non so bene cosa, ma qualcosa significherà.
Sono d’accordo. Significherà qualcosa ma neanch’io so bene cosa.
Tu sei un magistrato. L’alter-ego/protagonista delle tue storie è un avvocato. Cosa c’è dietro? Azzardo: esorcismo professionale, voyeurismo, forse un pizzico di cattiveria. Però poi il tuo avvocato, Guido Guerrieri, è così amabile e positivo che nemmeno sembra un avvocato!
Beh, a questa domanda mi avvarrei della facoltà di non rispondere...
D’accordo (ma com’è difficile interrogare un magistrato, ndr). Devi compiere uno sforzo di prospettiva molto gravoso, per metterti nei panni dell’avvocato Guerrieri?
Al momento devo fare uno sforzo di prospettiva per rimettermi nei miei, di panni.
L’idea che in Italia un giovane si va formando a proposito dell’avvocatura, è fatta, oltre che di nodi alla cravatta straordinariamente grossi, di connivenza un po’ troppo organica con i centri del potere. Ho degli amici avvocati un po’ a disagio…
Il disagio non è necessariamente dannoso. In dosi moderate migliora le doti di autocritica, che non è male, direi.
Come è nata l’idea di diventare romanziere? Ti stava stretta la tua professione? O anche tu, come il tuo personaggio, avevi scelto Giurisprudenza per prendere tempo e poi ci sei rimasto incastrato?
Incastrato è una parola un po’ forte ma, sì. Diciamo che avevo altre idee. Non pensavo di studiare Giurisprudenza e men che meno di fare il magistrato. Devo dire però, parlando seriamente per qualche secondo (evviva! ndr), che questo lavoro mi piace. A volte si ha addirittura l’impressione di servire a qualcosa.
(Mi infilo di soppiatto nella vena seria) Non ti senti comprensibilmente vittima di un accerchiamento? Non sembra molto facile essere magistrati, oggi, in Italia. Ci puoi spiegare in cosa consiste questa “impressione di servire a qualcosa”, possibilmente senza avvalerti della eccetera eccetera?
Sai, qualche volta succede che chi ha commesso un reato grave venga punito. Succede che la vittima (i parenti della vittima) avverta di non essere stata abbandonata a se stessa e trovi un po’ meno penoso quello che è successo. Che chi guarda la scena pensi che è stata fatta giustizia, qualunque cosa significhi “fare giustizia”. Eccetera, eccetera. Ricordi l’interrogatorio di Tom Hanks, condotto dall’avvocato Denzel Washington in Philadelphia?
Sì, certo.
Intendo una cosa del genere.
In entrambi i tuoi romanzi il protagonista sta dalla parte dei deboli. In un caso un senegalese capro espiatorio; in un altro una donna con un – diciamo così - altrove psichiatrico. È solo per rendere più impari il duello giudiziario? Non credo…
Fai bene a non credere…
(Laconico, ve lo dicevo, ndr) E allora? Stai dalla parte del torto, come Brecht, perché tutti gli altri posti erano occupati?
No. Però quelli che stanno sempre ben vestiti, profumati e pettinati, dalla parte “giusta”, mi danno alquanto sui nervi.
Attento!
Oddio, ho detto una cosa di sinistra?
Fai ascoltare ai personaggi David Gray, Lou Reed; fai loro leggere Carver, Salinger, Malraux, li fai giocare a citazioni filmiche multiple. Poi troviamo disseminati Hopper, Kavafis… Nei tuoi romanzi s’incontrano i segni di una cultura che ci fa sentire a casa. Sono anche i tuoi gusti?
Sì, direi di sì.
La scena finale di Ad occhi chiusi mi ha fatto pensare al film di Kathryn Bigelow Point Break
Amo quel film. Non ci avevo pensato ma mi piace moltissimo l’accostamento.
Cosa ami più di tutto? Il cinema, la musica, la pittura? E dal punto di vista musicale sapresti indicarmi i tuoi must?
Il cinema. Subito dopo la musica. A ruota la pittura. Must musicali? Springsteen, Cohen, De André. Tanti altri. Se includiamo la classica: Mozart, Bach, Chopin. Quest’ultimo è molto presente nel nuovo romanzo.
Cinema, dici. Cosa, soprattutto? Truffaut? I polizieschi anni ’40? Il cinema iraniano? Mi fai una classifica dei 5 registi italiani che preferisci?
Ah, amo le classifiche. Ti ricordi Hornby, Alta Fedeltà?
Come, no?
Dunque: il cinema iraniano mi piace quasi quanto la new age e l’otite. Truffaut non è il mio preferito. Mi piace soprattutto il cinema americano, alcune cose francesi e inglesi. E il buon cinema italiano, naturalmente. Classifica: Visconti, De Sica, Germi, Risi, Avati. Abbastanza banale, ma pressoché inevitabile. Naturalmente ce ne sono altri, che mi piacciono. Per esempio Leone, Mazzacurati, Soldini eccetera.
Ho molto apprezzato nei tuoi romanzi il piacere di scovare vere e proprie categorie dello spirito: in Testimone inconsapevole “Uomini con la canottiera” è un piccolo gioiello di sociologia…
Ah grazie, mi sono divertito a scrivere quelle cose. Adesso però ho un problema che non riesco a risolvere. Mi è stato posto da numerose lettrici. Qual è il corrispondente femminile dell’uomo con la canottiera? Tu lo sai?
L’universo maschile è più normativo, nel mondo femminile è arduo stabilire una medietà. È tutto meno univoco. (Ti dico poi sommessamente che adoro sempre più la normalità, e trovo che – essa sì – sia davvero geniale.) Comunque, facciamo donne con le pinze nei capelli? Già a 20 o a 30 anni leggono Chi, Gioia, Gente; guardano la De Filippi; parlano del loro uomo senza usare il soggetto; parlano di Ridge come di un vicino di casa; dicono “però non c’è ‘sta parità tra uomo e donna”; dicono “a essere troppo sensibili si soffre di più”; dicono “non per dire ma i miei figli..:”; dicono “tutti ‘sti libri ti fanno diventare scemo”…
Beh, non è male. Ci si può lavorare. Comunque sono d’accordo sulla questione della normalità. Lowen (psicanalista di scuola bioenergetica, ndr), nel suo bellissimo libro sul narcisismo, dice proprio qualcosa di simile.
Il tuo Guerrieri si diletta in cucina. Anche tu? Odi il vino bianco come lui? (Rosso rosso rosso!). Del resto voi pugliesi, con quel Primitivo a 14 o 15 gradi (ma anche 16!), che è la migliore delle droghe disponibili… Ma quale bianco!
Se è per questo anche 18 gradi. In cucina sono mediocre. So fare bene alcune cose (primi, essenzialmente) su cui campo da molti anni. E per quanto riguarda i bianchi, confermo l’odio, anche se ci sono alcuni siciliani di 14, anche 14,5 gradi su cui potremmo discutere.
Sì, sono d’accordo. È ovvio pensare a Montalban, per qualche verso a Camilleri, Petros Markaris… Culinaria a parte, verso quali dettati giallistici ti senti debitore, recenti e remoti?
Non questi. I nomi che ho fatto prima, invece. E poi, naturalmente, Hammett, Chandler, Spillane.
Il punto-chiave di Ad occhi chiusi è nel concetto di cedevolezza, che scaturisce dalla disciplina del Wing Tsun. Ti stuzzico un po’ sulle pratiche e sugli ideali consolatori post-68, ‘sta solfa delle discipline orientali… Però l’idea della cedevolezza è bella.
Le cosiddette filosofie orientali, la new age, gli ideali post ‘68, eccetera mi danno l’orticaria. Ciò detto: sono cintura nera quarto dan di karate e ho provato a praticare molte altre arti marziali. Incluso il wing tsun. E, sì, l’idea della cedevolezza è davvero  bellissima.

 

Cooperazione, 12/2004
Cultura / Tempo libero
L'avvocato Guerrieri
Il nuovo giallo di Gianrico Carofiglio: una storia di violenze nell'alta società di Bari.
di Santo Piazzese

L'avvocato Guido Guerrieri, penalista non omologato, possiede un tropismo per i casi più rognosi, quelli che non portano soldi ma guai.
È più forte di lui, non riesce a dire di no. Come potrebbe con un temperamento sempre in bilico tra un'irrequietezza che sconfina nella malinconia e un'idiosincrasia per tutto quello che sa di establishment tribunalizio? Stavolta è una suora a fare la proposta che non si può rifiutare, una suora enigmatica, affascinante e «irregolare», e l'incarico metterà l'avvocato proprio contro quell'establishment aborrito. Si tratta di fornire assistenza legale a una ragazza che ha subito ogni genere di violenze dall'ex convivente, esponente della società bene, cocainomane, un passato di picchiatore fascista. E - sopra tutto - figlio del presidente di una delle sezioni penali della corte d'appello. Un uomo potente. Un intoccabile. Guerrieri, per quanto uso a spericolatezze assortite, sa che sarebbe da incoscienti accettare. Ma lo sguardo di suor Claudia è un'arma impropria che trafigge le coscienze meno blindate. Il lettore imparerà a conoscere in corso di lettura questa suora atipica che meriterebbe uno spazio ulteriore nelle future inchieste letterarie che auguriamo numerose all'avvocato Guerrieri, personaggio che, alla seconda avventura, mostra già di possedere le qualità giuste per entrare nel gruppo di testa dei protagonisti del nuovo noir italiano. Fa da sfondo al romanzo - uno sfondo forte - una Bari accattivante e a tratti anche ambigua, come ogni metropoli degna di essere conosciuta. Gianrico Carofiglio, magistrato e astro nascente del romanzo giudiziario, opera un'inversione professionale di ruoli con il suo alter ego letterario.
Il che può apparire sorprendente, ma anche foriero di speranze, per chi segue le polemiche sulla Giustizia in Italia.

 


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011