Raccontava Andrea
Camilleri che del suo primo periodo romano, arrivò nel 1949, ricordava
soprattutto una cosa: gli amici all’uscita dell’Accademia nazionale d’arte
drammatica che nel pomeriggio se ne uscivano con un “Annamose a pijia’ na
Gianna”. La Gianna era ed è a Roma il
vento freddo che viene da nord, ma non in questo caso. La Gianna era e non è più
qualcos’altro. Un
frittatone con broccolo romano, patate e alici sotto sale e se ne stava in bella
mostra sui banconi della maggior parte dei bar e delle osteriole.
Gli amici di Camilleri se la pijavano “a Piazza Verdi, in un baraccio che per
cinque lire ti dava pure un bicchiere di vino”. […]
Giovanni Battistuzzi
La Nazione, 4.2.2024
"Dalla parte del Giallo". E arriva il vicequestore Rocco Schiavone
Dal 10 al 17 febbraio si terrà a Sesto Fiorentino la prima edizione del festival
"Dalla parte del Giallo", con la partecipazione di importanti autori del genere.
L'evento è promosso dal Comune insieme ad altre istituzioni culturali.
Antonio Manzini, il creatore dell’amatissimo vicequestore Rocco Schiavone ma
anche Marco Malvaldi con la moglie Samantha Bruzzone, Giampaolo Simi, Andrej
Longo e Marcello Simoni. Sono solo alcuni dei ‘grandi nomi’ che arriveranno a
Sesto Fiorentino, dal 10 al 17 febbraio, per la prima edizione di "Dalla parte
del Giallo", festival di letteratura gialla e noir promosso dal Comune insieme a
Libreria Rinascita, Biblioteca Ernesto Ragionieri, Società per la Biblioteca
Circolante, l’associazione sherlockiana "Uno studio in Holmes" e il Club del
Giallo di Sesto Fiorentino, con la direzione artistica di Paola Alberti. […]
Venerdì 16, dalle 15, in programma poi uno speciale "Sesto chiama Napoli", alla
Libreria Rinascita, con Maurizio de Giovanni (in collegamento) che ricorderà il
suo maestro Andrea Camilleri. […]
Sandra Nistri
Quarto appuntamento domenicale di fila e quarta "donna" per Il
commissario Montalbano. Questo nuovo ciclo di repliche della storica serie
sembra avere infatti come comun denominatore le co-protagoniste.
Dopo Serena Rossi, Belen Rodriguez e Margareth Madè, oggi tocca a Valentina
Lodovini. È lei la protagonista femminile/guest star
dell'episodio Un
covo di vipere.
A CHE ORA COMINCIA IL COMMISSARIO MONTALBANO OGGI DOMENICA 4 FEBBRAIO IN TV E
STREAMING L'appuntamento con Luca Zingaretti e
il suo commissario è stasera alle h. 21.25 su Rai 1 e
in contemporanea streaming su RaiPlay.
Come tutti gli episodi (37, in tutto) della storica serie tv Rai, anche Un
covo di vipere (durata: 120 minuti) è già disponibile sulla
piattaforma gratuita (basta l'iscrizione). Questo episodio è andato in onda per la prima volta il 27
febbraio 2017: Un covo di vipere è infatti uno dei 2 episodi dell'11ma
stagione della serie tv ispirata ai romanzi di Andrea
Camilleri (1925-2019).
UN COVO DI VIPERE: L'ISPIRAZIONE ARTISTICA DEL LIBRO DI CAMILLERI Il libro uscì come sempre per Sellerio nel 2013.
La caratteristica che torna in molti dei racconti è il sogno iniziale.
In pratica una dichiarazione, da parte dell'autore, del suo ispiratore.
In questo caso, Montalbano sogna di trovarsi con la fidanzata Livia in una
specie di Paradiso/Giardino
dell'Eden. Dalla descrizione, ci sembra di trovarci di fronte al
quadro Il sogno del pittore francese Henrì
Julien Felix Rousseau detto Il Doganiere (1844-1910). Esponente
dell'arte naif, è considerato tra i padri del Simbolismo.
DURATA E CAST DI UN COVO DI VIPERE, IN TV E STREAMING STASERA 4 FEBBRAIO L'episodio di stasera dura 120 minuti.
Due ore con un cast ricchissimo.
Luca Zingaretti (Montalbano), Cesare Bocci (Augello), Peppino Mazzotta (Fazio).
Sonia Bergamasco (Livia). Angelo Russo (Catarella). A loro si aggiungono, come
guest star d'eccellenza: Valentina Lodovini e
Alessandro Haber.
IL COMMISSARIO MONTALBANO: TRAMA E PERSONAGGI DI UN COVO DI VIPERE L'imprenditore Cosimo Barletta (Marcello Mazzarella), viene trovato
ucciso. Qualcuno gli ha sparato mentre faceva colazione nel suo
villino sul mare. Durante le indagini, Montalbano (Luca Zingaretti) e i suoi
trovano una ventina di buste
contenenti foto di giovani donne nude. Sul luogo del delitto,
inoltre, nessun segno di effrazione. La vittima ha aperto al suo assassino, o
questi aveva le chiavi, o era già in casa: i
due si conoscevano. I figli della vittima svelano una verità diversa da quella che
sembrava a tutti. L'imprenditore non era così "pulito" come appariva. Anzi: era uno strozzino e
tanti a Vigata erano sue vittime. Ognuna un potenziale assassino. I risultati della scientifica rivelano che l'uomo era già
morto, quando gli hanno sparato. La vera causa del decesso è un potente veleno
nel caffé. L'hanno ucciso in due, quindi? Le ragazze delle foto, interrogate, hanno tutte un alibi. Ma
il commissario scopre che con una di loro,
la vittima aveva un rapporto diverso. Innamorato,
la mattina dell'omicidio Barletta aveva appuntamento col notaio per cambiare
il testamento. A favore di lei.
COME FINISCE UN COVO DI VIPERE: IL FINALE (SPOILER) I due figli diventano
i principali sospettati. Arturo era già stato diseredato dal padre. Giovanna
(Valentina Lodovini), nasconde un segreto terribile:
il padre aveva una relazione incestuosa con
lei. Il senzatetto Camastra (Alessando
Haber), rivela a Montalbano e Livia (Sonia Bergamasco) un'altro
tassello della storia famigliare dei Barletta. La madre, anni prima, scoperta la
relazione tra marito e figlia, si era suicidata
gettandosi in mare. Lui, che all'epoca era un medico (poi
caduto in disgrazia dopo la morte di un paziente), aveva assistito alla scena. La verità, scopre il commissario, è che Arturo
ha sparato al padre, ma è è stata Giovanna ad avvelenarlo.
La donna si suicida nello stesso modo della madre. Prima però indirizza a
Montalbano una lettera:
racconta la verità, denunciandosi. Ma chiede al commissario di non svelarla: i figli non devono sapere
la sua tragica storia... Antonella Catena
Zarabazà, 5.2.2024
Il canto del mare Maurizio DE
GIOVANNI
Andrea CAMILLERI
Illustrazioni di Mariolina Camilleri
18/2 ore 11.30 –
Roma, Spazio Sette, via dei Barbieri 7
con Stefano Bartezzaghi [Rinviata a data da destinarsi, NdCFC,
10.2.2024]
19/2 ore 18.00 – Napoli, Musap, Piazza Trieste e Trento 48
con Elisabetta Moro [Rinviata a
data da destinarsi, NdCFC, 10.2.2024]
160 pagine – Prezzo 15,90 €
Dal 6 febbraio in libreria e su tutti gli store online
La rilettura di una storia straordinaria: una favola in cui si
intrecciano
mito e storia, ma anche arte, architettura, astrologia.
Un libro che il critico letterario Salvatore Silvano Nigro ha definito
il più poetico romanzo di Camilleri.
IL LIBRO
Nel villaggio dietro la Collina Secca, dentro la Casa Strana, vive da sempre la
vecchia Nonnamà, che mentre sbuccia frutta e verdure tiene i bambini di tutti, e
racconta loro le storie più belle, quelle che sono anche un po’ vere ma non si
sa mai fino a quanto. E così Nonnamà racconta la storia di Gnazio, che tanto
tanto tempo fa viveva in quel villaggio e amava la terra e le piante, ma che poi
era dovuto partire oltre il mare, ed era stato via così tanto che quando era
tornato era forse troppo vecchio per avere una moglie, ma poi ne aveva trovata
una, Maruzza. Maruzza bella, bellissima, che ama Gnazio e ama anche il mare, e
ha quella strana attrazione per l’acqua. Chi è quella signora?, chiedono i
bambini a Nonnamà, ma lei non risponde, e con un sorriso continua a spuntare i
fagiolini.
Maurizio de Giovanni, come una versione musicale al piano reinterpretata,
rinarra Maruzza Musumeci di Andrea Camilleri, e rende omaggio al più grande
narratore italiano in un’edizione impreziosita dai disegni di Mariolina
Camilleri. La rilettura di una storia straordinaria: una favola in cui si
intrecciano mito, storia e molto altro. Un libro che è stato definito il più
poetico romanzo di Camilleri, dolce e imprevedibile come l’acqua del mare.
Roma. Maurizio De Giovanni reinterpreta una delle storie più fiabesche di Andrea
Camilleri, quella di 'Maruzza Musumeci' nel libro 'Il canto del mare' che sarà
in libreria il 6 febbraio per Salani editore con le illustrazioni di Mariolina
Camilleri, l'ultimogenita delle tre figlie dello scrittore morto il 17 luglio
2019 a 93 anni.
Un libro che il critico letterario Salvatore Silvano Nigro ha definito il più
poetico romanzo di Camilleri.
Nella nuova narrazione, destinata a partire dagli 11 anni, De Giovanni,
l'inventore del Commissario Ricciardi, autore da oltre 3 milioni e mezzo di
copie vendute, rende così omaggio a uno dei più grandi narratori italiani.
'Il canto del mare' è una favola di donne straordinarie in cui si intrecciano
mito e storia, ma anche arte, architettura, astrologia.
Nel villaggio dietro la Collina Secca, dentro la Casa Strana, vive da sempre la
vecchia Nonnamà, che mentre sbuccia frutta e verdure tiene i bambini di tutti, e
racconta loro le storie più belle, quelle che sono anche un po' vere, ma non si
sa mai fino a quanto.
E così Nonnamà racconta la storia di Gnazio, che tanto tanto tempo fa viveva in
quel villaggio e amava la terra e le piante, ma che poi era dovuto partire oltre
il mare, ed era stato via così tanto che quando era tornato era forse troppo
vecchio per avere una moglie, ma poi ne aveva trovata una, Maruzza.
Maruzza bella, bellissima, che ama Gnazio e ama anche il mare, e ha quella
strana attrazione per l'acqua. Chi è quella signora?, chiedono i bambini a
Nonnamà, ma lei non risponde, e con un sorriso continua a spuntare i fagiolini.
Domani, martedì 6 febbraio 2024,
sarà disponibile in tutte le librerie e negli store on line “Il canto del mare”,
il libro edito da Adriano Salani Editore, che è una reinterpretazione, curata da
Maurizio de Giovanni, di una delle storie più affascinanti e fiabesche di Andrea
Camilleri, quella di “Maruzza Musumeci”. Una
rilettura impreziosita dalle illustrazioni di Mariolina Camilleri, che
attraverso linee, colori e immagini traccia in maniera magistrale la rotta che
unisce questi due autori iconici. Descrizione Un
libro che è stato definito il più poetico romanzo di Camilleri, dolce e
imprevedibile come l’acqua del mare.
Nel villaggio dietro la Collina Secca, dentro la Casa Strana, vive da sempre la
vecchia Nonnamà, che mentre sbuccia frutta e verdure tiene i bambini di tutti, e
racconta loro le storie più belle, quelle che sono anche un po’ vere ma non si
sa mai fino a quanto. E così Nonnamà racconta la storia di Gnazio, che tanto
tanto tempo fa viveva in quel villaggio e amava la terra e le piante, ma che poi
era dovuto partire oltre il mare, ed era stato via così tanto che quando era
tornato era forse troppo vecchio per avere una moglie, ma poi ne aveva trovata
una, Maruzza. Maruzza bella, bellissima, che ama Gnazio e ama anche il mare, e
ha quella strana attrazione per l’acqua. Chi è quella signora?, chiedono i
bambini a Nonnamà, ma lei non risponde, e con un sorriso continua a spuntare i
fagiolini. Maurizio de Giovanni, come una versione musicale al piano
reinterpretata, rinarra Maruzza Musumeci di Andrea Camilleri, e rende omaggio al
più grande narratore italiano in un’edizione impreziosita dai disegni di
Mariolina Camilleri. La rilettura di una storia straordinaria: una favola in cui
si intrecciano mito, storia e molto altro. Età di lettura: da 11 anni.
Fantasy Magazine,
5.2.2024
Fantastico Camilleri
Uno sguardo d'insieme alla "trilogia della trasformazione" scritta dal popolare
autore di Porto Empedocle
Andrea Camilleri è innanzitutto un abile
“contastorie”. L'autore dei fortunati romanzi polizieschi della serie del
Commissario Montalbano, nato a Porto Empedocle, provincia di Agrigento, il 6
settembre 1925 ha cominciato da giovane a raccontare storie. Sin dal 1949
Camilleri ha lavorato nella nascente RAI come regista e sceneggiatore; con tali
ruoli ha partecipato alla realizzazione di popolari produzioni poliziesche della
TV italiana, come i telefilm del Tenente Sheridan e del Commissario Maigret, e a
diverse messe in scena di opere teatrali, tra le quali non possiamo non citare
gli adattamenti pirandelliani. Non si chiamavano ancora “fiction”, ma molti le
ricordano con nostaglia per l'elevata qualità delle produzioni. Qualità che
l'odierna televisione stenta a raggiungere, nonostante il progresso dei mezzi
tecnici. Di Camilleri hanno scritto in
tanti. Non sarò io a dire cose nuove sicuramente. Quello che penso nel mio
piccolo è che sia un ottimo professionista della scrittura. Penso che
onestamente lui se la rida di gusto di quelli che lo chiamano "maestro". Più che
altro perché il titolo viene eccessivamente ammantato di sacralità. Che
Camilleri possa insegnare a tutti il mestiere della scrittura è innegabile.
Tant'è che lo definirei "Mastro" Camilleri. La sua tecnica è rodata e collaudata
da anni e anni di pratica professionale. Se dovessi paragonarlo a un mestiere lo
paragonerei a un falegname, capace di costruire mobili solidi e concreti, da
usare tutti i giorni. Ma non crea mobili in stile. Non siamo dalle parti dell'Ikea,
ma neanche nell'artigianato artistico. Siamo nel territorio di una fruibilità
spicciola, pratica, ma non per questo da sottovalutare. Così sono i romanzi di
Montalbano, così i suoi romanzi di ambientazione siciliana. Piacevoli letture
giornaliere. Realizzate con sapiente mestiere. Camilleri ha scelto, nella sua
seconda carriera di scrittore, cominciata dopo essere andato in pensione,
prevalentemente l'ambientazione siciliana, vigatese più precisamente. Vigàta è
una cittadina siciliana inventata da Camilleri definita come “il centro più
inventato della Sicilia più tipica". Secondo la lezione pirandelliana, per
costruire luoghi verosimili bisogna inventarli perché la mera rappresentazione
della realtà potrebbe non risultare credibile. A tutti gli effetti Vigàta
ricorda la Porto Empedocle che fu e che adesso non è più, trasformata dal tempo
e dallo scempio. In effetti per rappresentare al meglio Vigàta le produzioni
televisive sono state ambientate nelle province di Siracusa e Ragusa, che hanno
fatto da controfigura a una provincia agrigentina che non esiste più. Camilleri
si è rivelato prolifico oltre che eclettico scrittore, erede in forma scritta
della tradizione del “cunto siciliano”. Se i romanzi di Montalbano sono scritti
con l'intento di raccontare storie moderne, i romanzi storici fissano in forma
scritta le miriadi di racconti orali che lo stesso Camilleri ha ascoltato nella
sua vita. Se il cunto di cui parlavano illustri antropologi culturali come
Giuseppe Pitrè, Vincenzo Linares e Salomone Marino affondava le sue radici nella
tradizione medievale e nell'epopea cavalleresca, molti dei cunti camilleriani
sono ambientati in epoche più recenti, non prive di fascino e di attrattiva. Per
i suoi racconti Camilleri si affida a una lingua siciliana che è anch'essa forse
inesistente. Anch'essa inventata per essere credibile e fruibile, anche per
togliere all'uso di tale lingua i connotati macchiettistici legati a stereotipi
ormai abusati. È un siciliano che attinge a termini di un po' tutta l'isola, che
appartiene a tutti, al di là delle campanilistiche divisioni, tipiche delle
regioni italiane. Se quindi il consiglio di leggere Camilleri vale per tutta la
sua produzione, in questo articolo mi voglio concentrare su una trilogia di
romanzi che, nella tradizione del “cunto”, affrontano tematiche fantastiche e
mitologiche a noi affini. Nella fascetta del terzo dei
volumi di cui parlerò c'è scritto “il meglio di me risiede in questa trilogia
fantastica”, a firma ovviamente dello stesso Camilleri. A parte l'intento
promozionale, è nella lettura che si avverte il desiderio di fissare dei
racconti che rischiavano di essere perduti nel tempo. Si passa sempre meno tempo
ad ascoltare i racconti degli “anziani”. Si passa sempre meno tempo ad ascoltare
oggigiorno.
Maruzza Musumeci,
pubblicato nel 2007 è il primo di questi volumi. Comincia come il racconto del
ritorno di un emigrante dall'America. Gnazio torna nel 1890 nella natia Vigàta.
Non è ricco, ma ha quanto basta per comprarsi un pezzo di terra. Nel terreno,
che dà sul mare, risiede un ulivo saraceno, albero che ricorrerà spesso anche
nei romanzi di Montalbano. Ha 45 anni, per l'epoca non era giovane, ma cerca di
accasarsi cercando moglie. La “gnà” Pina, una di quelle vecchie pratiche della
vita, esperta di erbe e guarigioni e di chissà quante arti misteriose, viene
incaricata del compito da Gnazio. La scelta, non dopo qualche tentativo andato a
vuoto, cadrà su Maruzza, una giovane trentenne bella, bellissima. Forse troppo
per Gnazio. Ma l'amore trionferà nonostante alcune bizzarrie. Intanto l'esigenza
della ragazza di fare molto spesso dei bagni in acqua di mare. Ma non può farli
direttamente a mare. Gnazio sarà costretto a realizzare una vasca per occultare
la giovane alla vista dei curiosi. E poi c'è la figura della “catananna”
(bisnonna) di Maruzza, Minica, vecchia di una età indecifrabile, ma dalla voce
giovane e melodiosa. Come d'altra parte è melodiosa e incantatrice la voce di
Maruzza, che è convinta in realtà di essere una Sirena. Non sappiamo se durante
i bagni a Maruzza spunti la coda, ma come donna non sembra essere menomata.
Anzi, bizzarrie ed eventi misteriosi non impediranno alla famiglia di crescere,
con la nascita di ben quattro figli, Cola, Resina – che sembra avere la stessa
voce ammaliante di madre e trisavola – Calorio e Ciccina. Trisavola, madre e
pronipote sembrano avere una memoria atavica, non collegata alle loro vite, ma a
vite passate (forse), che risalgono ai tempi di Ulisse del quale le donne
parlano al presente. Sono eredi delle sirene o sirene anch'esse? Vigàta trae le
sue stesse origini nella Magna Grecia, tutto è possibile. La vicenda è di ampio
respiro e si concluderà durante la seconda guerra mondiale, nel 1943. La
famiglia verrà ovviamente coinvolta dai tragici eventi del periodo ma troverà
nella trasformazione e nel ritorno di alcuni personaggi alle proprie origini, al
mare. È un “cunto” che ha dei momenti poetici e commossi, che l'autore si è
voluto regalare con partecipazione. Una partecipazione che tocca anche il
lettore però. E il lettore a questo punto
continua il viaggio quasi senza soluzione di continuità. Il
Casellante sembra essere una continuazione tematica e cronologica di
Maruzza Musumeci. Edito nel 2008, narra delle vicende, a partire dal 1942, del
casellante Nino Zarcuto e della moglie Minica. Non riescono ad avere figli e
ricorreranno anche in questo caso alle arti di una donna anziana, Donna Ciccina,
anch'essa pratica di arti antiche, al confine con la magia. Minica rimane
incinta. Ma anche in questo caso la tragedia della guerra incombe. Il fascismo
in prima istanza, con il quale il suonatore Nino si troverà in contrapposizione
non tanto per spirito antifascista, ma solo per la sua mera volontà di vivere in
modo "normale" la sua passione per la musica. Alle tragedie storiche si
aggiungeranno le tragedie personali e Minica cercherà anch'ella la salvezza nel
ritorno alle proprie origini. Questa volta la terra. Minica cercherà di mettere
radici, di farsi albero, perché almeno così potrà dare frutti. Ma pur sempre di
favola si tratta. Se anche in questo caso crudo e realistico è il racconto, che
sulle tragedie non calca la mano, ma non lesina di farci percepire odori, colori
e sensazioni forti, è anche vero che una speranza a Minica l'autore la vorrà
dare. Ecco quindi la seconda anima dei siciliani emergere in questo romanzo, il
rapporto con la terra. La Sicilia non è solo terra di mare e sole. Ma anche di
campagne e di montagne di struggente bellezza. La cultura contadina e la cultura
marinara convivono e in alcuni casi sono osmoticamente collegate. È però da una contrapposizione
tra i due ambienti, mare e terra, che trae spunto il terzo romanzo di quella che
poi Camilleri definì “la trilogia della trasformazione”, Il
Sonaglio. Edito nel 2009, la vicenda comincia ai primi del '900,
sempre a Vigàta. L'estrema povertà delle famiglie era sfruttata dei reclutatori
di “carusi”, bambini impiegati nelle miniere di zolfo, per poter scavare nelle
gallerie più piccole, dove gli adulti non potevano entrare. Ma piuttosto che
darlo ai reclutatori, i genitori di Giurlà accettano la proposta di mandarlo a
lavorare come capraio nei feudi di un nobile. Giurlà, che ha quattordici anni è
in estrema confidenza con il mare, capace persino di pescare a mani nude. Ma
imparerà non solo ad amare odori e colori della montagna e della campagna, ma si
sentirà sempre più a disagio lontano da questi elementi. Il romanzo è anche il
racconto della sua crescita e della sua educazione sentimentale. Ma i sentimenti
sono cosa ben strana. Se la natura ha le sue inclinazioni, forti sono le
pulsioni che Giurlà prova, ricambiato per Beba. Ma Beba non è un essere umano. È una capra. Sono i toni delicati
e allo stesso tempo realistici di Camilleri a non fare scivolare la vicenda nel
grottesco. C'è una profonda consapevolezza sia dell'autore che del personaggio,
che cresce anche emotivamente con la lettura del poeta Lucrezio, che con il suo
agire Giurlà strappa a Beba la sua vera natura. Una scena emblematica in questo
senso è la descrizione dei rituali di accoppiamento del gregge di capre. Una
scena viva e intensa, della quale il lettore sembra percepire persino gli odori. Ma anche in questo caso
irromperanno eventi che cambieranno il destino dei protagonisti. La figlia del
nobile, Anita, entrerà nella vita di Giurlà. Eventi tragici porteranno Anita e
Beba a stringere un muto patto che porterà a una nuova trasformazione, che darà
un lieto fine anche a questa storia d'amore. A prescindere dai personaggi e
dalle storie raccontate, è comune a tutt'e tre i romanzi una forte componente
realistica. La pratica cultura popolare emerge al suo meglio. Le vicende
scorrono senza ridondanze. E le parti approfondite non lo sono mai per mero
riempimento delle pagine. Se poi i personaggi principali sono ben costruiti,
anche molti dei personaggi collaterali riescono ad emergere anche con poche
battute. Se quindi volete immergervi in un "realismo magico" capace di toccare i
cuori ma anche soddisfare la mente e gli appassionati della buona scrittura,
sono libri che fanno per voi.
Emanuele Manco
Una novela insólita del creador
de numerosas obras policiacas y de variado tono testimonial. “La captura de
Macalé” indaga en un microcosmos que gira en torno al muy desarrollado —y
deseado— pene de un niño; los placeres carnales desandan caminos y dan lugar a
encuentros morbosos y crímenes sangrientos para que el chaval “bien armado”
también pierda la inocencia. Tendrá que proveerse de armas que defiendan las
enseñanzas de Jesús, el Señor que le habla desde que va a la catequesis y con el
que entra en éxtasis, pero además hay otra voz que le hace temblar y le provoca
fantástica excitación: el vozarrón del Duce en la radio. Uno y otro serán la
clave para que el chico vaya pasando por diversas circunstancias hasta
convertirse en un individuo peligroso, decisivo producto de una sociedad que
alterna el fervor patriótico con la corrupción. Amoralidad, hipocresía, cinismo,
violencia y sexualidad espontánea de un poderoso ambiente fascista en una novela
sorprendente.
Andrea Camilleri (Sicilia,
1925-2019) es el escritor italiano más popular de los últimos 25 años. Toda la
vida enredado en la literatura, el teatro y la docencia, a partir de 1992
adquiere un éxito extraordinario, ya con 70 años. Sus publicaciones son
imparables, las tiene de todo tipo, predominando el factor social entre los
siglos XIX y XX, y entre sus numerosas obras crea una serie con el comisario
Montalbano (en homenaje a su admirado escritor español Manuel Vázquez Montalbán
[1939-2003]). Un
hombre íntegro, valiente, de una vitalidad sorprendente; fue perdiendo la vista,
y ya ciego dictó artículos y ficciones a una secretaria hasta poco antes de
morir en julio de 2019 a la edad de 93 años. Sus 100 libros —27 dedicados a la
serie de Montalbano—, se han traducido a 120 idiomas y han vendido cerca 10
millones de copias; solo en Italia 31 millones. Como nota curiosa, resulta
interesante que fue rechazado por varias casas editoriales hasta empezar su
carrera literaria con 53 años, gracias a la publicación El
curso de las cosasen
1978 y el gran éxito le llegó en 1994 a los setenta años con La
forma del agua. La increíble historia de
Michelino En
2003 publica La
captura de Macalé. Transcurre en un pueblo, y se desarrolla con
una panorámica costumbrista muy lograda; su protagonista es un niño de unos 6
años con un pene tan desarrollado que entusiasma a hombres y mujeres de diversa
condición, y sobre todo a Marietta, su prima bondadosa, guapa y muy ardiente con
novio muerto en una de las guerras de Mussolini. Y
es el carisma de este líder, célebre por propagar discursos altamente
emocionales, el factor desencadenante de la novela: ante su voz radiofónica el
niño se estremece, se excita de tal manera que se le pone tiesa, y esta erección
no será más que un instrumento del diablo y de dios en un mundo de hipocresía
católica en la que el amado cura y la buena madre son amantes encendidos y todos
los rincones del pueblo respiran pringosas humedades de lo condenable: secretos
a voces, fugas poco menos que carcelarias, fogosos encuentros en los altares de
la sacrosanta misión fascista. En
torno al Gran Pene del infante, los placeres carnales desandan caminos y dan
lugar a crímenes sangrientos para que el chaval “bien armado” también pierda la
inocencia y se provea de armas blancas que defiendan la voz de Jesús que le
habla desde que va a la catequesis, y a su vez la del Duce: uno y otro serán la
clave para que el chico se convierta en un ser ferozmente peligroso al que, sin
embargo, muchos quieren disfrutar, incluso un ilustre profesor que le convence
de que practicar la sodomía es tan importante que lo llevaron a cabo valientes
espartanos. Lo
admirable de la novela reside en la falta de interés sexual de Michelino: él se
deja hacer, siempre sorprendido por la lujuria que despierta; va descubriendo
los placeres ajenos sin entender por qué gusta tanto su “pajarito”, pero con él
—como ser vivo independiente— crece, se divierte como un crío y, sin perder un
ápice de su ingenuidad, mezcla lo humano y lo divino haciendo de lo terrible un
ingenioso juego de chiquillos. Mientras, de fondo, los éxitos del nuevo imperio
viven su mejor momento, incluida la captura de la ciudad de Macalé en Abisinia,
hoy Etiopía. Los
desastres del fascismo tras su estridente cantidad de promesas se exhiben desde
la vida cotidiana con su sobrecarga de nacional-catolicismo, exacerbado con un
empoderamiento trágico del “Haz lo que yo digo pero no lo que yo hago”, de
manera que la barbarie se va adueñando de todas las cosas. Una
novela trepidante que combina un alto dominio del costumbrismo siciliano con
aportes narrativos de hoy, y una notable fuerza imaginativa en el devenir del
pequeño protagonista convertido en un salvaje entre un raro dios católico y el
fervor nacional comandado por Mussolini. «A
la mañana siguiente de la confesión, cuando su madre salió a hacer la compra,
Michelino encendió el aparato de radio, se encaramó en un taburete y puso un
disco de Mussolini. Bajó del taburete y subió el volumen al máximo. La poderosa
voz del Duce lo dejó aturdido, le perforó los oídos, le penetró en el cerebro y
le provocó escalofríos por toda la espalda. No entendía las palabras porque el
sonido era demasiado fuerte, pero era como encontrarse en medio de una tempestad
llena de truenos, como sentirse azotado por un viento huracanado, de esos que te
levantan del suelo y te elevan al cielo. Impulsado por los truenos y el viento,
aturdido, embriagado, empezó a dar vueltas de habitación en habitación, con las
piernas como de requesón, golpeándose la cabeza contra puertas y paredes,
cayendo, volviendo a levantarse, con el pajarito tan duro y tan grande y tan
largo que tuvo que desabrocharse los pantalones y dejarlo fuera, en libertad,
porque le hacía daño mantenerlo aprisionado en los calzoncillos. Cuando terminó
el disco y se detuvo, se encontró sentado en el suelo, cubierto de sudor y casi
sin resuello, como después de una carrera. Tuvo que ir al cuarto de baño y poner
el pajarito bajo el chorro de agua fría para ablandarlo y poder devolverlo a su
sitio.
Aquello le gustó mucho. Lo repetiría a la primera ocasión».
Horacio Otheguy Riveira
L’episodio ‘Un covo di vipere’ de ‘Il Commissario Montalbano’, trasmesso da
Rai1, si è aggiudicato gli ascolti della prima serata di ieri, domenica 4
febbraio 2024, con 2.539.000 telespettatori e il 16,6% di share, battendo di un
soffio ‘Lo show dei record’ di Canale 5 che ha ottenuto invece 2.355.000
telespettatori e il 16,5%.
[…]
Un tempo mi sembrava di non essere un tipo che
sentiva la mancanza. Mi sembrava di essere un tipo che sentiva la
presenza, e se no non se ne lamentava. Ora che sono vecchio anche questa
sensazione è cambiata. Dev’essere inevitabile, dal momento che tante persone di
cui sento la mancanza non ci sono più e posso sperare solo che vengano a
trovarmi in sogno. Potevo fare senz’altro a meno di questo pensierino, ma era
per dire che non di rado io sento la mancanza di Andrea
Camilleri. Della sua persona, e dei suoi scritti. Sapete con che
prontezza Camilleri si impadroniva dei cambiamenti per infilarli nelle sue
storie, imprimendo loro la sua peculiare piega. Pensate che cosa avrebbe tirato
fuori dall’intelligenza artificiale, che non ha fatto in tempo a vedere
sviluppata, ma che sembra più una cosa sua e di Catarella che, non so, di Elon
Musk. Insomma, ieri ho letto tre racconti di
Camilleri appena pubblicati da Sellerio col titolo “Il giudice Surra e altre
indagini in Sicilia”. Non sono inediti, erano usciti, ma per delle raccolte
Einaudi, nel 2005 e nel 2011, su sollecitazione di Giancarlo De Cataldo, che per
questa riedizione ha scritto la prefazione. Il secondo racconto, quello che dà
il titolo, mi ha ancora una volta esilarato e fatto pensare. Non ne dico troppo,
perché è già breve e rovinerei tutto, solo che si tratta di un giudice mandato
da Torino a Montelusa, dal Regno dell’Italia appena unificata, a rimettere in
servizio il tribunale già borbonico. Il
tema è usato. Ma il giudice Surra ha un debole per i dolci, e
non ha mai visto certi tubi marrone di pasta croccante lunghi una ventina di
centimetri e ripieni di una crema bianca coperta ai lati da pezzetti di frutta
candita. Come si chiamano? – chiede. “Cannoli!”, diranno subito i miei piccoli
lettori, magari con l’accento del compianto dottor Pasquano. “Cannoli, cillenza”,
risponde il cameriere dietro il bancone al giudice Surra, che sui due piedi ne
mangia uno, poi un altro, poi rifiuta seccamente l’intrusione di un don Nené che
vuole pagarglieli. Il
giudice ha occhi limpidi e anima candida, e non ha ancora letto
Ulloa su Sicilia e maffia, e quando per strada il cappello gli vola via non si
accorge nemmeno che gli hanno sparato e pensa a un colpo di vento. E quando
tutti, sbalorditi dalla sua imperturbabilità, prendono con lui un comportamento
strano, e due colleghi gli dicono che “Dopo quanto è successo, non potevamo non
essere qui”, si chiede che cosa sia successo, e di nuovo quando un degno collega
anziano gli dice “Mi sarebbe tanto piaciuto avere il vostro coraggio”, non se ne
capacita. E poi, dopo che ha comprato e fatto incartare altri due cannoli, trova
che anche la gente per strada abbia un atteggiamento cambiato e si dice che i
siciliani devono essere un po’ esagerati, e qualcuno l’aveva avvertito che sono
più volubili di quanto vogliano apparire, ma insomma. Sarà perché si è mostrato
ghiotto dei cannoli? Il resto a voi. P.S. (Poche pagine più in là al giudice viene
recapitato in tribunale un pacco che contiene una testa d’agnello recisa di
netto e sanguinolenta. Fra gli astanti sbigottiti, il giudice Surra: “Toh! Una
testina d’agnello!” e sorrise. Da bambino, a
volte la nonna gliel’aveva cucinata. E la regala al capousciere,
a casa sua qualcuno se la mangerà. Questo poscritto è dovuto al fatto che
domenica ho letto il racconto e lunedì ho letto sulla Gazzetta del Mezzogiorno
che a Lecce “una testa di capretto insanguinata e infilzata con un coltello da
macellaio, accompagnata da un biglietto in cui è scritto ‘Così’, è stata
lasciata davanti alla porta di casa della giudice Maria Francesca M., sotto
scorta da mesi dopo alcune lettere minatorie ricevute… Le intimidazioni
sarebbero legate alle indagini che hanno portato all’operazione antimafia con
cui lo scorso luglio furono arrestate 22 persone del clan Lamendola-Cantanna
ritenuto organico alla Sacra Corona Unita”. Ecco, auguri
alla giudice. Quanto alla mancanza di Andrea Camilleri, lui si fa
vivo). Adriano Sofri
Maurizio de Giovanni meets the genius of Andrea Camilleri, who lives again in
his words from the masterpiece Maruzza Musumeci. A new version, in a
language accessible to everyone, of the myth of the sirens: the story of
extraordinary women in the memory of the great classical myths.
A new narrative with the imaginative ability of Andrea Camilleri from an author
like Maurizio de Giovanni who takes up his legacy. All of this, with
illustrations by Mariolina Camilleri.
It is the rereading of an extraordinary story: a fairy tale in which myth and
history, but also art, architecture and astrology are intertwined. A book that
the literary critic Salvatore Silvano Nigro defined as Camilleri’s most poetic
novel. The book sheet
In the village behind the Dry Hill, inside the Casa Strana, old Nonnamà has
always lived, who, while she peels fruit and vegetables, holds everyone’s
children, and tells them the most beautiful stories, the ones that are even a
little true but are not you never know how much. And so Nonnamà tells the story
of Gnazio, who long, long ago lived in that village and loved the land and
plants, but who then had to leave across the sea, and had been away so long that
when he returned he was perhaps too old. to have a wife, but then he found one,
Maruzza. Beautiful, beautiful Maruzza, who loves Gnazio and she also loves the
sea, and she has that strange attraction to water. Who is that lady?, the
children ask Nonnamà, but she doesn’t answer, and continues to trim the green
beans with a smile. Maurizio de Giovanni, like a musical version on the piano
reinterpreted, Maruzza says again Musumeci by Andrea Camilleri, and
pays homage to the greatest Italian narrator in an edition embellished with
drawings by Mariolina Camilleri. The rereading of an extraordinary story: a
fairy tale in which myth, history and much more are intertwined. A book that has
been defined as Camilleri’s most poetic novel, sweet and unpredictable like sea
water.
Barbara
Salani pubblica Il
canto del mare, reinterpretazione di Maurizio
De Giovanni di Maruzza
Musumeci, novella fantastica di Andrea
Camilleri, pubblicata originariamente nel 2007 in siciliano, come quasi
tutta la produzione dello scrittore di Porto Empedocle, scomparso nel 2019.
Questa versione, a differenza di quella originale, è in italiano anziché in
siciliano, e presenta le illustrazioni di Mariolina
Camilleri, figlia di Andrea. Sinossi Nel villaggio dietro la Collina
Secca, dentro la Casa Strana, vive da sempre la vecchia Nonnamà, che mentre
sbuccia frutta e verdure tiene i bambini di tutti, e racconta loro le storie più
belle, quelle che sono anche un po’ vere ma non si sa mai fino a quanto. E così
Nonnamà racconta la storia di Gnazio, che tanto tanto tempo fa viveva in quel
villaggio e amava la terra e le piante, ma che poi era dovuto partire oltre il
mare, ed era stato via così tanto che quando era tornato era forse troppo
vecchio per avere una moglie, ma poi ne aveva trovata una, Maruzza. Maruzza
bella, bellissima, che ama Gnazio e ama anche il mare, e ha quella strana
attrazione per l’acqua. Chi è quella signora?, chiedono i bambini a Nonnamà, ma
lei non risponde, e con un sorriso continua a spuntare i fagiolini. Maurizio de Giovanni, come una
versione musicale al piano reinterpretata, rinarra Maruzza Musumeci di Andrea
Camilleri, e rende omaggio al più grande narratore italiano in
un’edizione impreziosita dai disegni di Mariolina Camilleri. La rilettura di una
storia straordinaria: una favola in cui si intrecciano mito, storia e molto
altro. Un libro che è stato definito il più poetico romanzo di Camilleri, dolce
e imprevedibile come l’acqua del mare. Strilli La rilettura di una storia
straordinaria: una favola in cui si intrecciano mito e storia, ma anche arte,
architettura, astrologia. Un libro che il critico
letterario Salvatore Silvano Nigro ha definito il più poetico romanzo di
Camilleri. Maurizio de Giovanni, un autore
da oltre 3 milioni e mezzo di copie vendute, incontra il genio di Andrea
Camilleri, che rivive nelle sue parole dal capolavoro Maruzza Musumeci. Una nuova versione, in una lingua
alla portata di tutti del mito delle sirene: la storia di donne straordinarie
nel ricordo dei grandi miti classici. Una nuova narrazione con la
capacità immaginifica di Andrea Camilleri da un autore come Maurizio de Giovanni
che ne raccoglie l’eredità. Presentazioni 18/2 ore 11.30 – Roma, Spazio
Sette, via dei Barbieri 7 con Stefano Bartezzaghi [Rinviata a
data da destinarsi, NdCFC, 10.2.2024] 19/2 ore 18.00 – Napoli, Musap,
Piazza Trieste e Trento 48 con Elisabetta Moro [Rinviata a
data da destinarsi, NdCFC, 10.2.2024] Il libro originale Della produzione fantastica di
Camilleri parlammo anni fa, in un articolo pubblicato su Effemme,
che estraiamo oggi dai nostri archivi. [vedi articolo del 5.2.2024, NdCFC]
Emanuele Manco
Due
delle illustrazioni realizzate per Il canto del mare da Mariolina Camilleri,
figlia dell’autore
Napoli.
Chi ha detto che le sirene sono cattive? Ammaliatrici dei naviganti che vanno a
sbattere e spaccano la prua, storditi dal loro canto sovrumano, come le dipinge Omero.
O, ancora, metà uccello e metà donne, come le voleva Apollonio Rodio. Sono
ibridi dell’animalità, né umane né bestiali, e Kafka ne svelerà il segreto:
Ulisse si tappò le orecchie ma non sentì niente solo perché furono loro, le
perfide, a smettere di cantare. Peggio per chi non sa ascoltare i cunti o
la voce del mare. Chissà se la voce delle sirene
arriva davvero dalle foche monache, parenti del lamantino servito a tavola
proprio come sirena in La pelle di Malaparte. Maurizio
de Giovanni, nella sua favola per bambini Il canto del mare,
rilegge alla sua maniera un testo molto amato di Andrea
Camilleri, Maruzza Musumeci, intessuto dall’editore
Salani con le splendide illustrazioni di
Mariolina Camilleri, figlia dello scrittore siciliano. E ci riconsegna l’incanto
delle sirene “buone”, voce della natura positiva che fa ritrovare agli umani
l’armonia nel vissuto.
Quello che colpisce di questo racconto è che è un testo “orale”, letto o
recitato a voce alta. Perché l’ha concepito così? «È come un monologo. La storia di
questa pubblicazione è particolare. Tra i regali più belli che mi ha fatto la
scrittura c’è stata l’amicizia con Camilleri: ero spesso a cena da lui ed era un
piacere ascoltarlo. È stato un incredibile raccontatore con un’aneddotica
sterminata. Quando la figlia Mariolina mi ha chiesto di scrivere questa storia,
ho sentito un fortissimo senso di inadeguatezza. Ma la famiglia ha insistito e
non potevo dire di no. Chiedo scusa, perciò, a tutti gli innamorati di Andrea,
tra cui anche io stesso. L’ho fatta unicamente per supportare le bellissime
illustrazioni di Mariolina. È un racconto che ha anche aspetti “neri”, ma l’ho
adattato a un pubblico di lettori bambini. Le storie di Andrea Camilleri, anche
per la lingua usata, hanno sempre una componente di racconto orale, che è il
migliore dei racconti: quello che la madre fa al proprio bambino, su cui si
costruisce ogni successiva forma di narrazione. Ho pensato perciò di
ripercorrere il racconto di una nonna a un gruppo di piccoli. E, come sempre
succede, all’interno di questo racconto ci sono le bellezze ma anche le cose
orribili che ci circondano: terrori ripercorsi attraverso i sentimenti e le
emozioni».
Lei quindi introduce una cantastorie che prende il posto di Camilleri, una Nonnamà,
cioè nonna e madre per ogni età, “antenata” di tutti, che racconta favole e
meraviglia, insieme al paesaggio dove la favola si svolge. Intrattiene i bambini
con le storie e la natura, due argomenti che non sembrano difficili da proporre
ai giovanissimi.
«Mi è parso il modo giusto: tutte le donne del villaggio mandano i figli ad
ascoltare l’anziana. Credo che non faccia bene ai piccoli allontanarsi da questi
elementi primari: e infatti, quando glieli riproponi insieme con l’elemento
naturalistico, ne sono affascinati. Mi è piaciuto molto raccontare il mare,
l’albero, la casa, la terra, come attraversamento della realtà fisica aiutato
dalla fantasia».
C’è un forte contrasto tra il personaggio di Gnazio, giardiniere per vocazione,
e la mafia, che, per consentirsi una speculazione edilizia, vuole costringerlo
ad “avvelenare” il verde. «È il considerare l’albero come
rinunciabile, mentre dall’altro lato viene vissuto come essere vivente. Questo
differenzia il protagonista “ingenuo” dal mafioso. Nel dualismo si rispecchia
l’intera società: il vedere una cosa per quello che è o, al contrario, solo per
quello che sembra».
Lei scrive: «I bambini non restavano delusi perché pure il silenzio era un
racconto». Torna il silenzio delle sirene kafkiane. Chi racconta e non viene
ascoltato, tace. Quanto è vero per i bambini, così abituati al rumore odierno? «Secondo me è vero per tutti. Il
silenzio è un momento narrativo bellissimo. E anche la pausa, se la togli, il
racconto perde fascino. Credo che l’utilizzo della pausa sia la differenza che
c’è tra l’intelligenza umana, meravigliosamente imperfetta, e l’intelligenza
artificiale, che non ha bisogno di pause perché non ne riconosce l’importanza».
«Stare a sentire le storie e raccontare» lei scrive, «sono due pezzi della
stessa cosa». Perché? «Nessuna storia ha senso, se
raccontata al nulla. Il racconto e l’ascolto del racconto sono due metà dello
stesso processo, sembra banale ma non lo è».
Come è nata la scelta di Maruzza
Musumeci, un
racconto del 2007 che tratta della schiera delle sirene che decisero di
diventare donne, come accade in La
sirena di
Giuseppe Tomasi di Lampedusa? «È uno dei primi e più amati di
Camilleri. Mi ha sempre intrigato la violenza sottostante al racconto, una
violenza naturale, che esiste, e che lui non rinuncia a raccontare,
riconoscendola, come è tipico del grande narratore. Mi sono limitato a
omaggiarlo a modo mio con una storia sua: non mi sarei mai permesso di
scimmiottarlo. Siamo in presenza di uno dei più grandi narratori italiani, che
ha cambiato il rapporto dei lettori con la letteratura. Per me c’è un a.C. e un
d.C.: un avanti e un dopo Camilleri».
Che rapporto ha lei con le sirene? «Noi napoletani siamo loro figli,
più dei siciliani. Trovo che la sirena sia la natura materna di un luogo. Se
Napoli è madre, allora è una sirena, un luogo generante, né buono né cattivo,
piuttosto egoista. È un supporto se sei in linea con lei, ma arriva a
distruggerti se ti contrapponi».
Un suo ricordo personale di Camilleri? «Era di una intelligenza, di un
umorismo, di un’ironia flemmatica, tutta anglosassone, incredibili. Mi piaceva
particolarmente ascoltare il racconto della sua amicizia con Eduardo De Filippo,
col quale si davano del voi. Avevano un grande rapporto di amicizia, perché
Camilleri si era occupato da funzionario Rai di tutte le commedie nella
riduzione televisiva. La figlia Mariolina è una donna sensibilissima, di grande
intelligenza ed esserle amico per me è stato un ulteriore privilegio. Mi sono
divertito molto in quest’impresa. Mi auguro che si senta».
Stella Cervasio
Portare
per la prima volta in teatro il commissario più famoso della narrativa
contemporanea italiana? Un'idea nata in seguito allo straordinario successo
ottenuto dagli audiolibri pubblicati dalla Storytel, interpretati proprio da
colui che il prossimo giovedì 15 febbraio (ore 21:00) porterà in scena La
prima indagine di Montalbano al
Teatro del Ciliegio
di Monterotondo Marittimo:
Massimo Venturiello.. In
questo spettacolo, la lingua di Camilleri, carica di musicalità, arriva nella
sua interezza a chiunque la ascolti: la parola diventa immagine ammaliante e la
trama inchioda e non consente distrazione alcuna. Un reading unico per la prima
indagine del celeberrimo commissario Montalbano, nella quale nascono tutti i
personaggi dei successivi numerosi romanzi che hanno conquistato l’interesse di
milioni di lettori.. Una
produzione Officina Teatrale.
INFORMAZIONI UTILI.
Biglietto intero: 10€.
Biglietto ridotto (over 65, possessori Carta dello spettatore FTS - solo per i
biglietti, possessori Carta dello Studente della Toscana, biglietto futuro under
35 in collaborazione con Unicoop Firenze): 8€
Io non snobbo affatto Sanremo.
L’ho sempre seguito a spezzoni. E fino a una certa, ho sempre delibato anche la
serata/alba della finalona del sabato. I like it. Punto. E tuttavia … Mistero. La prima
uscita di Sanremo 2024 può vantare un discreto successo: più di dieci milioni di
telespettatori mediamente e il 65%di share. Mica kotike! In assoluto fu un
successo, ma rispetto al nostro Montalbano nazionale non primeggia nella
classifica. Non mi riferisco alle repliche di questi ultimi anni, che eppure
possono vantare un loro perché. Molti episodi del decennio scorso superavano in
scioltezza i numeri canterini dello show dei fiori. Dato ancora più lusinghiero
e sorprendente, se consideriamo che la programmazione dei canali competitor
quando c’è Sanremo si intimidisce o annichilisce quasi (credo di aver intravisto
su un canale importante la replica di un kolossal del 1983 con Lino Banfi).
Diciamocelo. Il vero Sanremo è qui. Ecco, non vorrei che si creasse
uno spiacevole equivoco. Lo
dico ai miei contatti continentali di Facebook. Noi qui non siamo soliti solcare
a febbraio lo splendido mare di Punta Secca a grandi bracciate. Io almeno non me
la sento. Montalbano è pur sempre una fiction. Tonificante. Ma sempre fiction è.
Non
siamo usi fare colazione con cinque cassate e dodici cannoli. Almeno la glicemia
a me lo sconsiglia. Perracchio è pur sempre un personaggio. Egli può.
Meraviglioso. Ma pur sempre fictionario. Non
beviamo solo vino e non ci addobbiamo quotidianamente di scampi e gamberoni
freschissimi. Mi costerebbe una Germania. Non me la sento. E comunque sono
ubriaco già di mio. È solo una fiction. È gratis. Non
giocheremmo mai a scopone scientifico sotto un bassorilievo del 1600 o dietro
una caffettiera emozionata da un paesaggio mozzafumo. Pur sempre di fiction
trattasi. E
tuttavia, questa è una finzione che pirandellianamente racconta una parabola.
Più autentica delle mille pirotecnie del circo mediatico. E forse anche dei
Sanremo a venire.
Forse questo è il segreto dei record metafisici di Montalbanone. Anche della
recente millesima replica. Milioni e spiccioli di sguardi abbacinati da questo
spigolo del pianeta. E da un mandarino di psicologie barocche mai scontate.
In
un incanto da scanto.
A manco due fichi d’india da casa mia.
L’evento letterario
italiano più importante di questo inizio d’anno è sicuramente la pubblicazione
postuma di un romanzo giovanile finora inedito dello scrittore siciliano Stefano
D’Arrigo (1919-1992), autore di “Horcynus Orca” (1975), uno dei vertici della
narrativa del XX secolo. Uscito per i
tipi Rizzoli il 31 gennaio scorso a cura di Siriana Sgavicchia, che ha anche
firmato l’ampio e prezioso saggio “Una trama d’autore” stampato in coda al
volume, “Il compratore di anime morte” risale alla seconda metà degli anni
Quaranta del secolo scorso e probabilmente costituiva per il non ancora
trentenne D’Arrigo una sorta di soggetto cinematografico sotto forma di romanzo
breve da proporre a Luchino Visconti come adattamento per il grande schermo
delle “Anime morte” (1842), il capolavoro dello scrittore russo-ucraino Nikolaj
Gogol’. Il
dattiloscritto, una bella copia senza altro materiale preparatorio che presenta
solo lievi ritocchi a mano da parte dell’autore (protrattisi fino al 1976,
quando D’Arrigo, prima di abbandonarlo del tutto, pensò addirittura di
consegnarlo al suo amico Andrea Camilleri, che tuttavia pare non l’abbia mai
ricevuto), è stato a disposizione degli studiosi sin dal 2007, allorché la
moglie Jutta Bruto lo donò all’Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti” del
Gabinetto Vieusseux di Firenze. […]
Marco Trainito
Siamo alle solite, ormai quando si va a teatro, una volta su due, il testo
rappresentato non è un testo scritto per il teatro. Non che la cosa sia
necessariamente negativa, ma certamente è un fatto strano che ci siano pochi
nuovi testi e pochi autori che scrivano solo per il teatro: “La concessione del
telefono” da Andrea Camilleri, per l’arrangiamento di Giuseppe Dipasquale, che è
anche il regista dello spettacolo andato in scena la scorsa settimana allo
Sterhler di Milano, non fa eccezione e ancora una volta si pesca nel mare magnum
della narrativa per allestire una commedia. Al centro della trama degli equivoci
del testo di Camilleri è Pippo Genuardi che, sul finire del 1800 nella provincia
siciliana più profonda, chiede l’installazione di una linea telefonica con
l’unico scopo di organizzare incontri clandestini con l’amata Lillina. Il
fondale che accoglie lo spettatore, altro non è che la gigantografia di una
lettera che ispirò lo stesso Camilleri, quella di un suo lontano parente, datata
1929 proprio per l’installazione di una linea telefonica. Certo Camilleri ci
ricama un po’ su, tuttavia è palese che la protagonista di tutta la pièce è la
burocrazia ottusa dell’Italia post-unitaria che è più o meno la stessa
burocrazia ottusa dell’Italia contemporanea. Tutto ciò potrebbe apparire un
paradosso, ma naturalmente non lo è, anche perché di mezzo c’è, naturalmente, la
mafia impersonata dalla figura di Don Lollò Longhitano al quale, Pippo Genuardi
protagonista del romanzo e richiedente la linea telefonica, rivela il luogo dove
è nascosto il suo ex amico Sasà La Ferlita che ha con il mafioso un ingente
debito. Il Genuardi, naturalmente, viene accusato di essere un sovversivo
socialista a causa di varie imprecisioni nella richiesta avanzata al prefetto
Marascianno per la concessione del telefono. Una storia grottesca dell’Italia
post-unitaria, forse dell’Italia burocratica e ottusa tra Ottocento e Novecento,
o forse una storia italiana e basta. Quella della burocrazia è certamente una
forma della stupidità umana, una delle forme più indistruttibili, visto che non
molto è cambiato dall’epoca in cui è ambientato il romanzo di Camilleri ad oggi.
E lo spettacolo? Decisamente riuscito, anche se è evidente che la lingua
eminentemente letteraria di Camilleri, sia di difficile adattamento per una
rappresentazione teatrale. Si tratta, per usare un termine michelangiolesco, di
allestire una pièce “per via di levare” poiché, rispetto alla ricchezza del
testo, la scena depaupera un po’ la lingua. Occorre però dire che il regista
Giuseppe Dipasquale è riuscito a riequilibrare questa perdita, con una messa in
scena di grande qualità che strizza più di un occhio alla commedia dell’arte, a
cominciare dalla connotazione dei personaggi sulla scena, come un magnifico
Pippo Genuardi (interpretato da Alessio Vassallo) di rosso vestito e con tanto
di bombetta che sembra un Arlecchino (effettivamente servitore di due padroni),
ma anche al grande teatro comico napoletano, come la figura del prefetto
Marascianno che sembra uscito da una commedia di Eduardo Scarpetta. La scena di
Antonio Fiorentino, sobria ma molto mirata, e l’allestimento del Teatro Biondo
di Palermo sono sicuramente degni di nota. Ora però mi piacerebbe tornare ad
assistere a nuovi testi possibilmente scritti per il teatro, ma so di andare a
caccia di merce rara…
Mario Grella
A Andrea Camilleri lo conoce el gran público por su Montalbano, el inspector de
policía siciliano que resuelve crímenes mientras disfruta de la gastronomía
mediterránea entre caso y caso. Un doble guiño del maestro italiano a otro de
los grandes de la novela negra sureña: Manuel Vázquez Montalbán, que cedió al
personaje de Camilleri tanto su apellido italianizado como la gula de Pepe
Carvalho, su famoso detective.
Pero Camilleri
tiene una obra ingente, más allá de los títulos dedicados al
comisario, que han tenido también el empuje de la exitosa serie de la RAI que en
España ha emitido La 2, sus libros no han dejado de reeditarse en España tras su
muerte en el año 2019. Traducido a treinta y seis idiomas y con más de treinta
millones de ejemplares vendidos, uno
de los escritores más leídos de Europa, la editorial Destinoprepara
la reedición de dos de sus libros más interesantes: La
masacre olvidada y La desaparición de
Pató, que llegarán a las librerías este mismo mes de febrero.
La masacre olvidada
Si Montalbano, al fin y al cabo, radiografía la idiosincrasia Siciliana
desde la escena del crimen, Camilleri también hace lo mismo a partir de hechos
históricos más o menos olvidados. El autor, antes
de dedicarse de lleno a la escritura y de alcanzar la fama
internacional, publicó
en 1984 La masacre olvidada, un
ejercicio que hoy denominaríamos de «memoria histórica», en el que a través de
los recuerdos de familiares reconstruye
unos hechos terribles silenciadosen
su día por las autoridades y olvidados por la historiografía
oficial.
Tras una exhaustiva documentación, donde tiene mucha importancia las fuentes
orales, Camilleri revive las masacres
de 1848 en Sicilia: en su localidad de origen, Porto Empedocle,
el mayor Sarzana liberó a 114 prisioneros para después asfixiarlos y quemarlos
vivos en una celda común. La otra masacre fue el asesinato en Pantellería de
quince agricultores acusados injustamente por varios terratenientes mafiosos.
Ocultadas ambas atrocidades, tanto por las autoridades borbónicas del reino de
las Dos Sicilias como por los gobernantes de la nueva Italia que surgiría poco
después, los asesinos y los cómplices prosperarán posteriormente mientras la
memoria de las víctimas quedaba relegada al recuerdo, cada vez más lejano, de
las familias. Camilleri
hacejusticia
a través de un humor negro y amargo, en una de sus obras más
interesantes y, sin embargo, menos conocida. La desaparición de Pató
Vigàta, Viernes Santo de 1890. Durante la tradicional representación de
la Pasión de Cristo, el
director de la sede local del Banco de Trinacria, Antonio Pató, Judas
en la obra teatral, se
precipita por el escotillón. La ejecución del guión de la obra
es de tal perfección que, ante la confusión general de los asistentes,
desaparece completamente.
¿Estará muerto? ¿se ha fugado? Nadie entiende qué ha pasado con el
irreprochable trabajador, esposo y padre de dos hijos, especialmente su afligida
mujer, Elisabetta, que clama junto al resto del pueblo por aclarar lo acontecido.
Policías y periódicos engordan la historia intentando arrojar luz sobre un misterio
del que nada se sabe y todo son hipótesis: ¿Un loco lo ha
confundido con Judas y se ha querido deshacer de él? ¿Está involucrado en algún
embrollo del Banco? ¿Ha sufrido una pérdida de memoria? ¿O es la sombra de la
mafia?
Publicada originalmente en el año 2000, La
desaparición de Pató es una de las obras más especiales del escritor
italiano. Novela
negra cargada de humor, escrita en forma de hilarante dossier,
constituye un tratado humorístico sobre el poder y la estupidez humana, teniendo
en Sicilia, otra vez, un escenario que es a su vez un personaje, quizás el
principal, del texto. Una historia particular que, al fin y al cabo, es
también unahistoria
universal sobre el ser humano y sus defectos.
La obra desaparecida
Tras la publicación de Riccardino (Salamandra, 2022), obra
póstuma y última de la saga Montalbano, y de La
conciencia de Montalbano (Salamandra, 2023), un volumen que recoge seis
casos inéditos escritos por Camilleri con este personaje como protagonista, el
legado del siciliano vuelve a crecer al salir recientemente a la luz una obra
teatral que creíamos desaparecida.
Se trata de El juicio a medianoche,
una obrita de un acto escrita con apenas 22 años y que resultó ganadora del
premio Faber en 1947. Contó Camilleri en una ocasión que el texto se había
perdido: lo lanzó desde la ventana del tren que le traía de vuelta a casa tras
recoger el premio, cabreado por lo que él creía falta de talento. Hace unos
meses su hija Andreina encontró una copia entre la montaña de papeles que su
padre guardaba en su casa de Roma, pronto verá la luz en italiano. Cristóbal Villalobos
Stuttgarter
Nachrichten, 12.2.2024
Neue Bestseller von Bernhard Schlink und Andrea Camilleri
Stirb nach einem anderen Buch
„Junge Frau liebt alten Mann“ ist weiterhin ein beliebtes Motiv alternder
Schriftsteller. In Bernhard Schlinks „Das späte Leben“ erfährt der Protagonist,
dass er bald sterben muss. Ein anderer Autor ist derweil schon tot.
Wer gehofft hatte, mit dem Hinscheiden von Martin Walser sei der literarische
Topos „Junge Frau liebt alten Mann“ von der Bestsellerliste verschwunden, muss
enttäuscht werden. Offenbar erfreut sich das Thema weiter einiger Beliebtheit –
nicht so sehr bei jungen Schriftstellerinnen, sondern eher bei den weisen alten
Männern der deutschen Literatur.
[…]
So richtig glaubwürdig wirkt dieses Setting nicht
Andrea Camilleri, der
italienische Bestsellerautor, ist hingegen schon länger tot. Camilleri, der auch
Drehbücher schrieb und Theater- und Fernsehregisseur war, starb vor rund fünf
Jahren. In seinem jetzt postum auf Deutsch erschienenen Roman „Ein
tiefer Blick in die Seele“ („Spiegel“-Bestseller Belletristik Hardcover Platz
32, Lübbe, 304 Seiten, 25 Euro) um den sizilianischen Commissario
Montalbano hat er das Motiv „Älterer Mann liebt junge Frau“ beziehungsweise „Junge
Frau liebt alten Mann“ immerhin in eine Krimihandlung eingebettet.
So richtig korrekt geht der Commissario nicht vor – weder bei seinen
Ermittlungen in einem Mordfall in dem fiktiven Städtchen Vigàta, noch bei der
sexuellen Eroberung der deutlich jüngeren Kollegin Antonia, der zeitweiligen
Chefin der Spurensicherung. Beim Mordopfer handelt es sich um Carmelo
Catalanotti, den wohlhabenden Chef einer privaten Theatergruppe, der
ambitionierten Schauspielerinnen und Schauspielern beim Vorsprechen mithilfe von
Psychomethoden an ihre psychischen und physischen Grenzen gebracht hatte.
Ist er bei der Seelenerforschung einer seiner Rollenbewerberinnen oder -bewerber
zu weit gegangen? Jedenfalls liegt Catalanotti jetzt schick herausgeputzt, aber
ziemlich tot mit einem dolchartigen Brieföffner in der Brust auf seinem Bett.
Statt allerdings ordnungsgemäß die Spuren zu sichern und danach die Wohnung des
Opfers zu versiegeln, treffen sich Commissario Montalbano und die
Spurensicherungschefin Antonia dort mehrfach zum sex haben.
Auch wenn man seine Hand für süditalienische Polizeimethoden nicht ins Feuer
legen möchte: So richtig glaubwürdig wirkt dieses Setting nicht, und der Leser
wird das Gefühl nicht los, dass hier mal wieder ein älterer Autor die Form des
Romans nutzte, um sich mit seiner Libido und seinem Altersprozess
auseinanderzusetzen.
Gespannt warten wir jetzt, wann endlich eine reifere Schriftstellerin von einer
Dame in ihren Siebzigern und ihrem 25-jährigen Liebhaber erzählt.
Markus Reiter
Nuovi bestseller di Bernhard Schlink e Andrea Camilleri
Morire dopo un altro libro
"Una giovane donna ama un vecchio" continua ad essere un argomento popolare tra
gli scrittori che invecchiano. In "La vita tarda" di Bernhard Schlink, il
protagonista apprende che presto dovrà morire. Nel frattempo, un altro autore è
già morto.
Chi aveva sperato che il topos letterario "Una giovane donna ama un vecchio"
sarebbe scomparso dalla lista dei bestseller con la scomparsa di Martin Walser
rimarrà deluso. A quanto pare, l'argomento continua a godere di una certa
popolarità, non tanto tra le giovani scrittrici, quanto piuttosto tra i saggi
della letteratura tedesca.
[…]
Questa impostazione non sembra davvero credibile
Andrea Camilleri,
l'autore italiano di bestseller, invece, è morto da tempo. Camilleri, che ha
scritto anche sceneggiature ed è stato regista teatrale e televisivo, è morto
circa cinque anni fa. Nel suo romanzo “Il metodo Catalanotti” ("Spiegel"
bestseller narrativa copertina rigida posto 32, Lübbe, 304 pagine, 25 euro),
ora pubblicato postumo in tedesco, ha inserito il motivo "L'uomo anziano ama la
giovane donna" o "La giovane donna ama il vecchio" in una storia criminale.
Il commissario non procede nel modo giusto, né nelle sue indagini su un caso di
omicidio nella città immaginaria di Vigàta, né nella conquista sessuale della
sua collega Antonia, molto più giovane, il capo temporaneo della scientifica. La
vittima dell'omicidio è Carmelo Catalanotti, il ricco capo di una compagnia
teatrale privata, che durante le audizioni usava metodi psicologici per spingere
attori e attrici ambiziosi ai loro limiti psicologici e fisici.
Si è spinto troppo in là nel cercare l'anima di uno dei suoi candidati al ruolo?
In ogni caso, Catalanotti è ora sdraiato sul suo letto, elegantemente vestito,
ma quasi morto con un tagliacarte simile a un pugnale nel petto. Tuttavia,
invece di mettere al sicuro le prove e poi sigillare l'appartamento della
vittima, il commissario Montalbano e il capo della scientifica Antonia si
incontrano lì più volte per fare sesso.
Anche se non si vuole mettere mano al fuoco per i metodi della polizia del sud
Italia: questa ambientazione non sembra davvero credibile, e il lettore non
riesce a scrollarsi di dosso la sensazione che un autore più anziano abbia usato
ancora una volta la forma del romanzo per affrontare la sua libido e il suo
processo di invecchiamento.
Ora aspettiamo con impazienza di vedere quando uno scrittore più maturo
racconterà finalmente la storia di una signora di settant'anni e del suo amante
di 25 anni.
[Traduzione a cura del CFC]
Un volume di pregio che raccoglie tre indimenticabili avventure: Topolino e la
promessa del gatto, Topolino e lo zio d’America e Topolino e la giara di Cariddi.
Scritte da Francesco Artibani e disegnate da Giorgio Cavazzano, Giampaolo
Soldati e Paolo Mottura, raccontano le vicende e le indagini del Commissario
Topalbano, ispirato al personaggio del Commissario Montalbano, nato dalla penna
di Andrea Camilleri.
Le tre storie contenute nel volume rappresentano un approccio
particolare alla caratterizzazione dei personaggi. Solitamente quando si
adattano a Topolino storie e soggetti preesistente, i personaggi stessi di
queste opere vengono “topolizzati” o “paperizzati”. Si dà cioè ai personaggi le
fattezze di topi o paperi per narrarne le vicende in chiave disneyana.
Le storie di Montalbano, invece, presentano un’anomalia in questo senso:
il Commissario Montalbano e Topolino coesistono, sullo stesso piano temporale.
Uno vive a Vigata, come nella tradizione dei romanzi di Camilleri, mentre
l’altro è sempre l’abitante di Topolinia che tutti siamo stati abituati a
conoscere.
Una scelta ponderata ma soprattutto funzionante: i due personaggi non si
sovrappongono mai e nessuno dei due risulta prevaricare mai in nessuna delle tre
storie. Entrambi mantengono la loro identità narrativa ed anzi, proprio durante
la lettura, i due personaggi risultano molto simili tra di loro. Entrambi hanno
una ragazza alla quale sono legati ma, che al momento non hanno intenzione di
sposare. Inoltre Quaquarella e Pippo sono due personaggi similissimi tra di
loro. Inaspettatamente tutto funziona a dovere, ed in questo Francesco
Artibaniè davvero bravo.
Le ambientazioni della prima e terza storia sono un omaggio alla terra
che Camilleriha
amato e ha fatto amare tutti noi: la Sicilia. Molti dei posti presenti in queste
storie risulteranno famigliari a chi ha seguito in tv la serie del commissario
Montalbano o letto i relativi romanzi.
Davvero apprezzato il cameo dello stesso Camilleri nella prima storia
“Topolino e la promessa del gatto”. Lo vediamo nei panni del gestore della pensione
Patò, base logistica di Topolino, in trasferta in Italia.
Chiude il volume un corposo apparato redazionale con interviste agli
autori della storia, commenti e testimonianze di Camilleri e disegni inediti,
tra cui le matite della storia La promessa del gatto, di Cavazzano. Marcello Senatore
La Nazione (ed. di
Grosseto), 13.2.2024
Montalbano sul palco del Ciliegio
Giovedì a Monterotondo, Massimo Venturiello porterà in scena "La prima indagine
di Montalbano" di Andrea Camilleri, in un reading teatrale che darà vita ai
famosi personaggi dei romanzi. Prenotazioni online o presso la biglietteria del
teatro.
Il palcoscenico del teatro del Ciliegio di Monterotondo ospiterà un reading
delll’attore Massimo Venturiello (nella foto), una delle più importanti voci del
romanzo giallo dei nostri tempi. Giovedì l’attore porterà in scena "La prima
indagine di Montalbano" di Andrea Camilleri, accompagnato dalla tastiera di
Alessandro Greggia. Il commissario più famoso della narrativa contemporanea
italiana arriva in teatro grazie a un reading teatrale capace di far rivivere i
racconti del grande scrittore siciliano. La lingua di Camilleri carica di
musicalità, arriva nella sua interezza a chiunque, la parola diventa immagine e
la trama avvincente non lascia spazio a distrazioni. Dopo il successo ottenuto
dagli audiolibri, recentemente pubblicati dalla Storytel, che Venturiello stesso
ha avuto il privilegio di interpretare "La prima indagine di Montalbano" prende
vita sul palco e insieme ad essa tutti i personaggi divenuti poi famosi nei
numerosi romanzi che hanno conquistato l’interesse di milioni di lettori. La
prevendita è online su liveticket.it e il giorno di spettacolo presso la
biglietteria del teatro dalle 20.
La prenotazione dei biglietti è tramite mail a prenotazioni@officinepapage.it, tramite chiamata o messaggio al numero 334.2698007 il giorno
che precede lo spettacolo e il giorno di spettacolo nel seguente orario 16 – 18.
Dietro la macchina da
presa Margherita Buy ha vinto qualcosa di più dell’aviofobia. L’esperienza l’ha
resa più sicura, libera, aperta, e più autoironica che mai. Presentato alla
Festa di Roma, Volare arriva in sala il 22 febbraio con Fandango.
Protagonista della storia Anna Bi, attrice sessantenne di successo che deve
vincere la paura di volare che le tarpa le occasioni professionali – un regista
di culto coreano la vorrebbe sul set – e la vita privata: la figlia si sta
trasferendo negli Stati Uniti. […] A proposito dell’Accademia,
fu provvidenziale l’incontro con Andrea Camilleri. “Mi piaceva il teatro, avevo una
zia che aveva una compagnia, andavo a vederla era un mondo così diverso. Dopo il
liceo non sapevo cosa fare e prendendo ripetizioni dalla moglie di Camilleri
scoprii quel mondo, lui mi parlava dell’Accademia. Dentro di me c’era già
qualcosa, il mio prof di liceo diceva “devi fare l’attrice”. Ero somara,
evidentemente facevo delle sceneggiate, scene per farmi dare mezzo voto di più,
perché non avevo portato delle cose. Ero rimandata ogni anno in quattro materie
ho vissuto male la scuola, non sapevo cosa fare. Poi ho studiato lo stesso, ma
facendo una cosa meravigliosa. Delle lezioni di Camilleri ricordo che fumava le
sue sigarette, le dita ingiallite. Era ancora regista televisivo, scrittore,
sceneggiatore lontano dalla fama, che ha avuto in tardissima età. Non gli andava
di insegnare, fumava tanto, ci intratteneva con racconti meravigliosi”. […]
Arianna Finos
Continua la stagione teatrale 2023 – 2024 al Teatro
Bambi di Coreglia Antelminelli, il calendario di appuntamenti
che nasce dalla collaborazione tra l’amministrazione comunale e la Fondazione
Toscana Spettacolo Onlus. Venerdì (16
febbraio) alle 21, il sipario si alzerà sulla Prima indagine
di Montalbano,uno
spettacolo del grande Andrea Camilleri interpretato da Massimo Venturiello e
accompagnato dalle melodie di Alessandro Greggia. Lo spettacolo
trasforma in immagini ammaliatrici e trame coinvolgenti le parole di Camilleri. Massimo
Venturiello, nel ruolo del commissario Montalbano,condurrà
gli spettatori attraverso la sua prima indagine, dando vita ai personaggi che
hanno conquistato il cuore di milioni di lettori. In
scena una performance teatrale che nasce dall’incredibile successo degli
audiolibri recentemente pubblicati dalla Storytel, dove Venturiello ha dato voce
al commissario.Un’esperienza unica che ora prende vita
sul palcoscenico, regalando al pubblico l’opportunità di vivere la magia della
narrativa di Camilleri in un modo del tutto nuovo, dove la lingua musicale dello
scrittore siciliano si fonde con la maestria di Massimo Venturiello e le
suggestive note di Alessandro Greggia
alle tastiere. L’appuntamento viene
anticipato, anche in questa occasione, dal nuovo incontro di Convers-azioni,
la rassegna curata da Francesco Tomei che contente ai cittadini di incontrare da
vicino attori e artisti: alle 18,30
nel foyer del Teatro Bambi sarà possibile quindi conversare con l’attore Massimo
Venturiello. Costo biglietti 8
euro (posto unico). Info e prevendite Ufficio Cultura Comune di Coreglia
Antelminelli tel. 0583/78152 int.4 mail i.pellegrini@comune.coreglia.lu.it comune.coreglia.lu.it
toscanaspettacolo.it
L’idea di portare per la prima
volta in teatro il commissario più famoso della narrativa contemporanea italiana
è nata in seguito allo straordinario successo che hanno ottenuto gli audiolibri,
recentemente pubblicati dalla Storytel, che Venturiello stesso ha avuto il
privilegio di interpretare. La lingua di Camilleri carica di
musicalità, arriva nella sua interezza a chiunque, la parola diventa immagine
ammaliante e la trama inchioda e non consente distrazione alcuna. Un reading per la prima indagine
del famoso commissario nella quale nascono tutti i personaggi dei successivi
numerosi romanzi che hanno conquistato l’interesse di milioni di lettori.
durata: lo spettacolo debutta nel corso della stagione
Dopo il successo delle prime due, la terza
serie di ‘Makari’ andrà in onda su Rai 1 suddivisa in 4 nuovi episodi da
domenica 18 febbraio a domenica 10 marzo. In attesa del ritorno degli splendidi
panorami del trapanese e di Claudio Gioè nel ruolo di Saverio Lamanna, di
Domenico Centamore in quello di Piccionello e di Ester Pantano nei panni di
Suleima abbiamo incontrato l’autore dei libri editi da Sellerio da cui la serie
è tratta: Gaetano Savatteri. […] Lei ha conosciuto Sciascia e Camilleri: in qualche modo se ne sente
epigono? "Quelli sono grandi padri senza eredi. Nel
senso che chi scrive oggi, in tutta Italia, non può prescindere dal lascito di
questi ed altri enormi autori. Nel caso di un siciliano come me, poi, scrivere è
come trovarsi in una casa di famiglia dalle cui pareti i ritratti di Pirandello,
Brancati, Camilleri e altri ti sussurrano silenziosamente: cosa fai? Abbiamo già
detto tutto noi, da anni ed anni. Allora tieni conto di questi progenitori e
ammetti: farò quello che posso. Chi si può permettere un’operazione così
affascinante e raffinata come l’invenzione della lingua di Camilleri? Io stesso
uso pochissimo il dialetto nei miei libri: è impensabile confrontarsi con certi
esempi. Inoltre sono cresciuto in una casa ed in ambienti in cui si parlava
italiano, come avviene nella Sicilia moderna. Mentre Camilleri apparteneva ad
una generazione diversa ed il suo orecchio era allenato all’ascolto di una
lingua che molti anni fa, prima del crescere dell’alfabetizzazione, era
estremamente diffusa e trasversale." […] Marco Piscitello
Si torna a 'Makari',
intesa sia come località marina della estrema Sicilia occidentale, sia come
titolo della serie tv tratta dai romanzi di Gaetano
Savatteri e ambientati appunto nel tratto di costa che da Palermo arriva
fino a Trapani e Mazara del Vallo, passando per luoghi come Scopello, San Vito
lo Capo, il sito di Gibellina e l'isola di Favignana, oltre alla meno nota
Makari già meta di un nuovo turismo, trainato dal successo televisivo, un po'
come accaduto in passato con la Sicilia barocca
sud-orientale fra le province di Ragusa e Siracusa grazie alla serie del
'Commissario Montalbano' e ai romanzi di Andrea Camilleri. […]
"Appartengo a una generazione che è cresciuta con l'italiano, in casa si parlava
italiano: per la famiglia alfabetizzata, l'uso dell'italiano al posto del
dialetto era considerato una conquista. Io stesso 'penso' in italiano, non in
siciliano...". Lo scrittore Gaetano Savatteri,
autore dei romanzi da cui è tratta la serie tv 'Makari' risponde poi così all'AdnKronos,
in relazione allo scarso uso della lingua siciliana che si fa, ad esempio
rispetto alla serie tv del 'Commissario Montalbano' tratta
dai romanzi di Andrea Camilleri con Luca
Zingaretti nel ruolo del titolo.
"Il dialetto di Camilleri oramai è
una forma di letteratura e nessuno può pensare di
riprodurlo - premette Savatteri - I miei personaggi parlano come si parla oggi nella quotidianità in Sicilia,
ovvero in italiano pur con le cadenze, gli accenti, le sintassi e le costruzioni
grammaticali e i modi di dire tipici del siciliano.
L'uso del dialetto per fortuna non è andato perduto, ma sempre per fortuna si
riesce con estrema facilità a 'entrare' e 'uscire' sia in italiano che in
siciliano, passando fra gli idiomi con estrema naturalezza".
Enzo Bonaiuto
[…]
«Tanti luoghi - aggiunge Gioè - in cui abbiamo girato li ho visti per la prima
volta, ma negli anni Ottanta i siciliani giravano tanto la propria regione.
Girando abbiamo incontrato tantissime persone che da Bologna, Milano, Brescia e
Bergamo sono andate a Màkari». Sulla scelta di limitare l’uso del dialetto
rispetto a Montalbano (il produttore è lo stesso), Savatteri replica: «Io sono
di una generazione cresciuta con l’italiano. I personaggi hanno una lingua molto
simile a quella che si usa. Il dialetto di Camilleri è insuperabile, è una
scrittura sublime sua che nessuno può pensare di riprodurre». Max Gusberti,
produttore insieme a Degli Esposti: «C'è un piccolo racconto di Camilleri, 'La
calza della Befanà in cui Montalbano abbandonato da tutte le sue donne si prende
un momento di relax e fa un viaggio nel ristorante di Marilù. Qui
viene servito con spaghetti ai ricci da una bellissima ragazza, Suleima. Lui
stesso la nota, ma scopre che nei suoi occhi brilla una luce che vive solo per
Lamanna. Montalbano torna a casa e gli rimane come consolazione Fazio».
[…]
Adora la campagna, i cani e i cavalli e aborre Roma, ma soprattutto i romani. Ha
una passione per i particolari e il gioco che instaura con i suoi lettori
fedelissimi dopo decine di racconti e puntate tv delle avventure del suo Rocco
Schiavone. Antonio Manzini in studio per dirci del suo primo Giallo Mondadori "Tutti
i particolari in cronaca" - già amatissimo e in testa alle classifiche della
narrativa italiana - ci racconta la differenza tra Legge e Giustizia, quali
indagini lo affascinano (non le intercettazioni) e come vede l'Italia di
destracentro e gli italiani (tv e trattori compresi) da un punto di osservazione
decisamente particolare.
L’idea di portare per la prima volta in teatro il commissario più famoso della
narrativa contemporanea italiana è nata in seguito allo straordinario successo
che hanno ottenuto gli audiolibri, recentemente pubblicati dalla Storytel, che
Venturiello stesso ha avuto il privilegio di interpretare.
La lingua di Camilleri, carica di musicalità, arriva nella sua interezza a chiunque, la
parola diventa immagine ammaliante e la trama inchioda e non consente
distrazione alcuna.
Un reading per la prima indagine del famoso commissario
nella quale nascono tutti i personaggi dei successivi numerosi romanzi che hanno
conquistato l’interesse di milioni di lettori
[…]
Perché la Rai l’ha tenuto lontano dai palinsesti per due anni?
«C’è stata una disattenzione verso il mio modo di narrare, forse un po’ in
malafede, eppure in 23 anni di Rai, non da interno, ho fatto ascolti, ho vinto
premi, come quelli internazionali a Berlino, Los Angeles e Montecarlo per il
documentario sui migranti Lontano dagli occhi,
con la voce narrante di Andrea Camilleri. Mi hanno anche chiesto di andare
altrove, di lasciare la Rai, ma per me sarebbe stato come rinnegare tutto il mio
passato. E allora mi sono difeso da quest’ingiustizia aspettando. E facendo
teatro, che è una forma di resistenza». […]
Gabriele Bojano
L’idea di portare per la prima volta in teatro il commissario più famoso della
narrativa contemporanea italiana è nata in seguito allo straordinario successo
che hanno ottenuto gli audiolibri, recentemente pubblicati dalla Storytel, che
Venturiello stesso ha avuto il privilegio di interpretare.
La lingua di Camilleri, carica di musicalità, arriva nella sua interezza a chiunque, la
parola diventa immagine ammaliante e la trama inchioda e non consente
distrazione alcuna.
Un reading per la prima indagine del famoso commissario
nella quale nascono tutti i personaggi dei successivi numerosi romanzi che hanno
conquistato l’interesse di milioni di lettori
A Palermo il “muro della
legalità” sorto due anni fa nel quartiere Capo, in via San Gregorio, in
prossimità della Caserma dei Carabinieri “G. Carini”, presenta in una mostra a
cielo aperto i volti dei caduti nella lotta contro la mafia e di alcuni
personaggi della letteratura siciliana.
Il “muro della legalità” a Palermo
L’altra sera, osservando questi encomiabili “murales”, ho notato che il primo
personaggio rappresentato all’inizio del muro è Andrea Camilleri; e in effetti
innegabilmente il tema della mafia è stato sempre trattato dallo scrittore
empedoclino con attenzione, acutezza, disincanto e anche spesso con una buona
dose di dolente ironia.
Il
commissario Montalbano, personaggio “scomodo” a tanti livelli, è consapevole di
dover lottare su più fronti e li elenca lucidamente al suo vice Mimì Augello: «Uno,
la sdilinquenza comuni; dù, gli omicidi occasionali; tri, la mafia; quattro, i
deputati collusi con la mafia» (“Una voce di notte”, Sellerio 2012, p. 71).
Scenario delle indagini di Montalbano è la Sicilia (e con lei l’Italia)
contemporanea, con le ben note piaghe che l’affliggono, inclusa ovviamente la
mafia; tuttavia Montalbano sembra distinguere fra la mafia “tradizionale” degli
anziani (come il boss Balduccio Sinagra), legata comunque a certi “valori” (per
quanto distorti), e la mafia “emergente” dei “picciotti” sanguinari, violenti,
dediti a traffici sporchi di droga, organi, esseri umani, armi, senza alcun
freno morale: «La nova mafia spara a tinchitè, a dritta e a manca, a vecchi e
a picciliddri, indove capita capita e non si degna mai di dari ‘na spiegazioni
di quello che ha fatto. La vecchia mafia no: spiegava, cuntava, chiariva. Certo
non a voci o mittenno nìvuro sopra bianco, chisto no, ma a segni» (“Il campo
del vasaio”, Sellerio 2008, p. 110). Il
tema non è nuovo: anche il capitano Bellodi ne “Il giorno della civetta”
riconosce al mafioso don Mariano l’onore delle armi e ne riceve attestazioni di
palese stima; ma in Camilleri (autore nato nel 1925) emerge ancor di più questa
tendenza alla “distinzione” fra le due diverse mafie: «La mafia antica aveva
un codice d’onore, delirante quanto si vuole, criminale quanto si vuole, ma
codice. Un vecchio mafioso, dovendo ammazzare uno che passeggia sottobraccio
alla moglie, avrebbe detto alla donna, prima di sparare: “Signora si scosti”. La
mafia nuova non avrebbe aperto bocca e avrebbe ammazzato tutti e due» (cfr.
“Quaderni Camilleriani” 2, 2016, p. 16). In
realtà questo cliché ha fondamenti piuttosto evanescenti: gli innumerevoli ed
inqualificabili episodi di ferocia da parte della mafia “antica” dovrebbero
bastare a smontarlo. Del resto, l’autore stesso collegava questo suo modo di
intendere la mafia con la sua decennale assenza dalla Sicilia, che gli aveva
fatto perdere il contatto con l’evoluzione sanguinaria della nuova mafia dei
kalashnikov e del tritolo; i suoi “uomini d’onore” (Balduccio Sinagra in primis)
sembrano trascritti dal modello sciasciano di don Mariano Arena, con una
rappresentazione che è stata severamente avversata da certa critica (basti
ricordare un’esplicita polemica condotta in proposito da Sebastiano Vassalli,
che in essa accomunava anche Sciascia). Non
va taciuta inoltre, per questo aspetto, la perplessità tenace di Camilleri
davanti all’inserimento di tematiche mafiose nella sua produzione letteraria,
sia pure per motivi ideologici. Ad esempio, era fortissima in lui l’avversione
ad opere come “Il padrino” di Mario Puzo, che a suo parere conducevano a vere
forme apologetiche nei confronti della mafia: «Non intendo parlare di mafia –
l’ho detto e lo ripeto – se non in forma marginale, nei miei romanzi. Farne i
protagonisti di un romanzo anche scadente significa sempre e comunque
nobilitarli. E io questo titolo non voglio concederglielo» (da un’intervista
ad Andrea Camilleri, in G. Bonina, “Il carico da undici – Le carte di Andrea
Camilleri”, Siena 2007, p. 267).
Anche in “Riccardino” (il romanzo pubblicato postumo nel 2020) Camilleri sembra
infastidito dal “fritto e rifritto rapporto mafia-politica”, come dice
esplicitamente al suo personaggio: «Insomma, stai lustrando i soliti pupi del
tuo consueto teatrino dell’opera dei pupi. E cioè quello dove s’inscena il
fritto e rifritto rapporto mafia-politica sul quale i miei lettori cominciano a
dare più che giustificabili segni di stanchezza. Sai quanti mi chiedono “una
bella storia gialla” che sia semplicemente tale, vale a dire senza che c’entri
la politica o la mafia?» (“Riccardino”, Sellerio 2020, p. 247).
Forse anche a causa di questa impostazione di fondo del suo autore, Montalbano –
pur essendo profondamente avverso alla mentalità mafiosa e pur detestando ogni
forma di omertà – non riesce ad incidere sullo strapotere della criminalità
organizzata; le due famiglie rivali dei Sinagra e dei Cuffaro, che
spadroneggiano a Vigàta, nonostante qualche occasionale colpo ricevuto dalla
giustizia, perpetuano senza intoppi il loro dominio criminale.
Dalle indagini sui delitti di mafia anche Montalbano esce “con le corna rotte”,
come si legge nel racconto “Par condicio”: «Nel primo anno di commissariato a
Vigàta, Salvo Montalbano, che non aveva voluto abbracciare la scuola di pinsèro
del collega che l’aveva preceduto, “lasciali ammazzare tra di loro, non
t’intromettere, è tanto di guadagnato per noi e per la gente onesta”, sulle
indagini per quegli omicidi si era gettato cavallo e carretto, ma era uscito con
le corna rotte. Nessuno aveva visto, nessuno aveva sentito, nessuno sospettava,
nessuno immaginava, nessuno conosceva nessuno. “Ecco perché Ulisse, proprio in
terra di Sicilia, disse al Ciclope di chiamarsi Nessuno” arrivò un giorno a
farneticare il commissario davanti a quella nebbia fitta» (da “Un mese con
Montalbano”, Sellerio 2017, p. 63).
Conseguentemente Montalbano non si fa illusioni, conosce i limiti dell’azione
investigativa nel nostro Paese; sa che certe verità sono scomode, che la legge
non è uguale per tutti, che per chi fa il suo dovere non esistono premi e
gratifiche. Ad esempio, quando sente parlare di un nuovo integerrimo giudice
arrivato a Montelusa, tale Barrafato, lo compiange apertamente: «Poviro
Barrafato! […] Un jorno o l’altro, a forza di scassare i cabasisi alla mafia,
Barrafato s’attroverà deferito al CSM per ‘na intercettazioni che, secunno
qualichi deputato, lui non avrebbi dovuto fari, il so nomi sarà sputtanato da
tutti i giornali e le tilevisioni, e alla fini verrà trasfirito per
incompatibilità ambientali» (“Una voce di notte”, Sellerio 2012, p. 100). La
convinzione che i funzionari onesti e scrupolosi rischino sanzioni,
trasferimenti punitivi e aspre critiche è radicata anche nella produzione
“storica” camilleriana: figure come il delegato Puglisi ne “Il birraio di
Preston” (Sellerio 1995) o il delegato Antonio Spinoso ne “La concessione del
telefono” (Sellerio 1998) ne sono esempi evidenti. Per
dimostrare (se ce ne fosse bisogno) l’impegno antimafioso di Camilleri, basterà
ricordare alcuni esempi fra i tanti tratti dalla sua immensa produzione
letteraria e saggistica. In
uno dei suoi articoli (“Storie di mafia e DC a uso degli smemorati”, in “Come la
penso”, Milano, Chiarelettere, 2013, pp. 79-89), l’autore esaminava la
penetrazione della criminalità nella sfera politica, con riferimento in
particolare alla vicinanza fra mafia e Democrazia Cristiana negli anni ‘50 e
’60. In un altro volume Camilleri, studiando il contesto della fine degli anni
‘70 e dei primi anni ‘80, affrontava il caso Sindona leggendolo come «un
esempio del malaffare italiano, dove si vengono a trovare coinvolti uomini
politici e delinquenti comuni, banchieri e mafiosi» (“Un onorevole
siciliano. Le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia”, Bompiani, Milano
2009, p. 23).
Esiste inoltre una pubblicazione di Camilleri totalmente dedicata all’argomento
mafioso; si tratta di “Voi non sapete” (Mondadori 2007), una specie di
abbecedario mafioso costruito in base ai “pizzini” di Bernardo Provenzano: «a
Camilleri sembra anche interessare la messa in discussione dell’aura che
circonda il boss mafioso e più in generale l’organizzazione da lui diretta.
Attraverso l’ironia, Camilleri decostruisce, disincanta, dismaga l’uomo, il suo
linguaggio e i suoi principi. Con l’ironia, egli mette in crisi il senso
dell’assoluto mafioso che l’organizzazione ha tentato fin dalla sua nascita di
propagandare come composto da una sorta di sacri principi indiscutibili che
starebbero a fondamento della sua legittimità: l’onore, la famiglia, il
silenzio, la gerarchia, il rispetto per le donne e i bambini… Tutto il lavoro di
Camilleri è costellato di esempi di questo suo abbassamento del linguaggio
ottenuto tramite l’ironia» (C. Milanesi, “Rappresentazioni della mafia nella
non-fiction di Andrea Camilleri”, in “Quaderni Camilleriani 2”, 2016, pp.
56-57). In
definitiva, è assolutamente scorretto minimizzare (come pure qualcuno ha fatto)
l’impegno antimafioso di Camilleri; soltanto occorre ammettere che, nella sua
analisi a tutto campo, lo scrittore considera il tema mafioso «un segmento
importante, ma non l’unico, della realtà»; infatti «ciò che traspare dai
racconti montalbaniani è, ancor più di una Cosa nostra strutturata, una
“mafiosità” diffusa che condiziona la quotidianità di tutti i personaggi» (F.
La Licata, La mafia – che non c’è – nei romanzi di Camilleri, in
“Quaderni camilleriani” 2, 2016, p. 14).
P.S.: Per queste e altre riflessioni, rimando al mio volume “Camilleriade – I
luoghi, il commissario, i romanzi storici”, scritto con Vito Lo Scrudato e
Bernardo Puleio e pubblicato lo scorso anno da Diogene Multimedia (in
particolare, cfr. pp. 175-179).
Mario Pintacuda
Il romanzo è
scaturito dall’ispirazione di Camilleri, che ha trovato un decreto ministeriale
nella sua casa estiva del 1995, riguardante la concessione di una linea
telefonica privata. Quello che potrebbe sembrare un banale documento burocratico
diventa il punto di partenza per una storia ricca di fantasia e umorismo tipici
dello stile unico dell’autore. Camilleri trasforma
la banalità della burocrazia in un’occasione per esplorare i personaggi e il
contesto sociale dell’epoca. Il protagonista si trova immerso in una rete
intricata di procedure e adempimenti, spesso assurdi e deliranti, che sono resi
con il tocco inconfondibile di Camilleri. L’autore riesce a trasformare la
frustrazione della burocrazia in una divertente commedia, in cui ogni intoppo è
l’occasione per un’intricata avventura. La trama si
sviluppa con maestria, conducendo il lettore attraverso una serie di situazioni
esilaranti e imprevedibili. Il romanzo è arricchito dalla capacità di Camilleri
di delineare personaggi vividi, ognuno con la propria personalità e peculiarità,
che si scontrano in un caos di situazioni comiche e surreali.
La Concessione del Telefono non è solo un’opera divertente
e intelligente, ma offre anche uno sguardo satirico sulla società italiana e
sulla sua propensione per la burocrazia e le complicazioni amministrative.
L’autore, con la sua prosa fluida e arguta, riesce a far riflettere il lettore
sulla natura umana di fronte alle sfide della burocrazia, rendendo il romanzo
non solo un intrattenimento brillante ma anche una riflessione sociale.
In questa nuova edizione accresciuta, il romanzo di Camilleri continua a
brillare, confermandosi come un’opera che, nonostante il tempo trascorso dalla
sua prima pubblicazione nel 1998, mantiene intatta la sua freschezza e il suo
fascino unico.
«Adolf
Eichmann, el responsable supremo de la “solución final”, no pudo ocultar, cuando
lo juzgaron, una nota de orgullo en la voz: había trabajado a lo grande, a
escala de millones, sin cometer un solo error desde el punto de vista
logístico-organizativo, ni menos aún desde el punto de vista humano. Pero
admitió que para planificar científicamente el exterminio de seis millones de
personas había tenido que “sudar”». Así
arranca La
masacre olvidada, una de las obras más especiales de Andrea
Camilleri. Tras una exhaustiva documentación y partiendo de recuerdos
transmitidos por su familia, el célebre autor siciliano revive, en una historia
de humor amargo, la masacre de 1848 en Sicilia oscurecida por las autoridades e
ignorada por los historiadores. La
masacre olvidada rescata
esos nombres del olvido, rastrea a los asesinos y reconstruye los motivos. Nos
recuerda, una vez más, que el relato que busca la verdad incómoda, trágica y
humilde nos enseña mucho más sobre la vida que el de las lápidas o los libros.
Como afirmó el propio autor: «Me
interesa que la segunda masacre, la de la memoria, sea redimida de alguna manera.
Recordar los acontecimientos, recordar a estas personas es un pequeño acto hacia
ellos, es una pequeña forma de recordar, de pedir disculpas».
Inspirada en hechos reales, esta obra es un grandísimo homenaje a la defensa de
la memoria histórica del fallecido maestro de la novela negra y creador del
comisario Montalbano. Una
novela histórica sobre 114 cuerpos enterrados sin lápida. 114 nombres que
perdieron la vida de la forma más terrible. 114 personas a las que ahora se les
restituye su honor. Los ingredientes marca de la casa Camilleri están muy
presentes: amor por el lenguaje, por la agilidad, los giros narrativos y un
elenco muy amplio de personajes con muchas aristas.
Pilar M. Mananares
La Repubblica (ed. di
Palermo), 20.2.2024 Dal “Belfagor” di
Pirandello alla suora scaccia Belzebù di Tomasi Pagine siciliane
sul demonio portato alla ribalta dalla strage di Altavilla Diavolo d’un romanzo
Quando il maligno diventa protagonista
Il Diavolo era
talmente stanco – si legge nel “Cavaliere e la morte” di Leonardo Sciascia – da
lasciar tutto agli uomini, che sapevano fare meglio di lui». A dare ragione allo
scrittore di Racalmuto oggi sono Giovanni Barreca, Massimo Carandente e Sabrina
Fina, gli autori del massacro di Altavilla Milicia che, a sentir loro, volevano
liberare le tre vittime dal demonio. […] Nelle pagine di Andrea Camilleri,
l’“odore del diavolo” (come recita il titolo di un racconto allineato nel volume
“Un mese con Montalbano”) ha invece tutt’altro effluvio: quello tradizionale di
zolfo, misto a un puzzo di fogna. La signora Clementina Vasile Cozzo, che ha già
dato una mano a Montalbano in altre indagini, confida al commissario che la sua
insegnante delle elementari, Antonietta, ormai novantenne, è braccata dal
maligno di cui avverte la presenza per l’odore disgustoso che si propaga
nell’abitazione. Montalbano non è uno che crede nelle presenze demoniache (pur
avendo letto e apprezzato “Il diavolo innamorato” di Cazotte): incomincia a
indagare sullo strano fenomeno cogliendo sul fatto il nipote dell’anziana
signora mentre prova a introdursi in casa della zia, munito di un costume da
diavolo e di una boccetta contenente un composto chimico. La messinscena aveva
come fine quello di far vendere a basso prezzo dalla zia l’abitazione “infestata
dal diavolo” ad alcuni suoi soci in affare. Bacab invece, che ritroviamo nel
racconto “Il diavolo tentatore” sempre firmato da Camilleri, ha tutta l’aria di
essere un demonio in piena regola, con la missione impossibile di tentare niente
meno che la pronipote della monaca di Monza.
Salvatore Ferlita
Non ha mai fatto mistero del legame affettivo che lo ha legato ad Andrea
Camilleri e di come lo consideri un maestro. Lo ha omaggiato anche dando a un
suo personaggio privo della vista, Andrea Catapano, il suo nome e la capacità di
ascoltare meglio di chiunque altro. E più volte ha dichiarato che per lui esiste
«un a.C. e un d.C.: avanti e dopo Camilleri».
Maurizio de Giovanni, lo scrittore napoletano che ha dato vita a personaggi
straordinari come il commissario Ricciardi, i Bastardi di Pizzofalcone, Sara
Morozzi, omaggia Andrea Camilleri nella rilettura di una straordinaria favola in
cui si intrecciano mito, storia, arte, architettura, astrologia, e che è stata
definita dal critico letterario Silvano Nigro “il più poetico romanzo” dello
scrittore siciliano.
Un omaggio, scrive sulla pagina Facebook del suo fan club ufficiale de Giovanni,
«a modo mio con una storia sua: non mi sarei mai permesso di scimmiottarlo».
Per Salani, illustrato da Mariolina Camilleri, è appena uscito in libreria Il
canto del mare, una nuova versione di “Maruzza Musumeci” in una lingua alla
portata di tutti che fa rivivere un capolavoro del genio di Camilleri: il mito
delle sirene, la storia di donne straordinarie nel ricordo dei grandi miti
classici. È la vecchia Nonnamà, che vive nel villaggio dietro la Collina Secca,
dentro la Casa Strana, a raccontare ai bambini, mentre sbuccia frutta e verdura,
le belle storie che sono un po’ vere, ma non si sa mai fino a quanto. Tra
queste, quella di Gnazio, che lì viveva tanto tempo prima, che amava la terra e
le piante, ma che era dovuto partire per il mare e che quando era tornato,
seppur molto vecchio, aveva trovato come moglie Maruzza, bellissima e
innamorata. Innamorata di Gnazio e del mare e attratta in maniera strana
dall’acqua.
Sembra quasi una versione musicale suonata al pianoforte questa rilettura di una
storia di Camilleri fatta da Maurizio de Giovanni, e i disegni di Mariolina
Camilleri sono veri e propri gioielli. Parole e immagini dolci come l’acqua. In
una storia imprevedibile. Come l’acqua. Che diventano davvero Il canto del
mare, e cantano un omaggio a un autore che è, per usare ancora parole di de
Giovanni, «uno dei più grandi narratori italiani, che ha cambiato il rapporto
dei lettori con la letteratura».
sa.m.
L’arrivo a Vigàta, le prime indagini, l’amore per Livia. Ambientata all’inizio
degli anni Novanta, la serie “Il giovane Montalbano” racconta gli eventi che
hanno creato il mondo del commissario nato dalla penna di Andrea Camilleri e
amato in tutto il mondo. Nel corso degli episodi scopriamo Salvo Montalbano come
un giovane che diventa uomo e che, fin da subito, dimostra il suo fiuto e la sua
abilità nel risolvere casi intricati. Nel cast Michele Riondino, Alessio
Vassallo, Andrea Tidona, Fabrizio Pizzuto. Il cofanetto DVD della
serie completa de “Il giovane Montalbano” è disponibile nei negozi e negli store
digitali.
Possiamo parlare fino
a perdere la voce, ma non riusciremo mai a capire fino in fondo le ragioni del
successo del commissario di Vigata, Salvo Montalbano. Un busillis anche per
il suo “papà”, Andrea Camilleri.
Montalbano e Camilleri Lo stesso autore,
Andrea Camilleri, non aveva in animo di scrivere una serie di romanzi incentrata
su Salvo Montalbano. Lo scrittore ha
raccontato in più di una intervista che il commissario era nato per vivere come
opera singola in La forma dell’acqua, solo che al termine del romanzo
si rese conto che aveva lasciato qualcosa di inespresso nel personaggio. Da
questa considerazione aveva tratto ispirazione per Il cane di terracotta e
per lui era finita lì. Ma non lo era per i lettori e per l’editore che gli
chiese di far continuare le indagini del commissario. Un commissario che ha
poi avuto un prequel con il giovane Montalbano, in cui Camilleri, per sua stessa
ammissione, ha messo molto di sé. L’amore per il mare, inteso come suono, una
melodia che l’autore siciliano portava nel cuore. Nato a Porto
Empedocle, Camilleri ha ricordato in uno dei suoi libri il primo allontanamento
dal mare, verso l’entroterra, da bambino, una volta che accompagnò suo padre in
un viaggio. Quella notte non riuscì a prendere sonno e il padre lo imputò alla
nostalgia della mamma. Ma era qualcosa, seppur diverso, di altrettanto
viscerale, l’assenza del rumore del mare. Nel giovane Montalbano lo scrittore ha
delineato lo schema dei rapporti padre/figlio della sua generazione. Tra uomini,
seppur così prossimi, c’era tanta timidezza reciproca, una sorta di pudore:
erano tante le cose che avrebbero voluto dirsi, ma il carattere, il retaggio del
passato impedivano certe tenerezze.
Montalbano fa giustizia anche nella realtà Il commissario ha
scolpito nel suo essere la concezione della giustizia reale, che non sempre
coincide con leggi e cavilli, con la giurisdizione vigente. Se si viene assolti
in un processo, questo non significa automaticamente essere innocenti. A volte
vuol solo dire che la giustizia non ha avuto la forza di arrivare fin là. Allo
stesso modo una persona condannata può essere innocente se le cose vengono
esaminate da un’angolazione diversa. Ma la società ha bisogno di certezze, di
nero su bianco e non di continue eccezioni. Montalbano, qualche
volta, si è preso una licenza dalla giurisprudenza per fare trionfare la
giustizia. E Salvo, in un
crossover tra fiction e realtà, ha, in modo trasversale, agito anche nella vita
reale. Gli appassionati fan di Salvo Montalbano ricorderanno sicuramente un
posto chiamato la mannara. Il luogo, che si trova a Scicli, è protagonista e
sfondo di molti episodi della serie televisiva, tra cui La forma dell’acqua e La
pista di sabbia. La mannara è stata venduta, televisivamente parlando, come
luogo di malaffare, un punto di incontro tra prostitute e clienti. In realtà si tratta
di ciò che resta della Fornace Penna, in località Sampieri, andata semidistrutta
da un incendio il 26 gennaio del 1924.
A quasi cento anni da quell’evento, i resti di ciò che ora si definisce
archeologia industriale, sono stati espropriati dalla Regione Sicilia “ramo
archeologico, artistico e storico”. Un modo per preservarla e tramandarla per le
generazioni future. Ai ventisei eredi della proprietà è stata corrisposta
un’indennità ed ora il sito e i manufatti sono sotto la tutela della Regione.
Come a dire che il commissario e la sua eredità sono un bene prezioso sia per la
Sicilia che per l’Italia intera. Montalbano ne è uscito vincitore.
Digamos
desde el principio que estamos ante un espléndido relato sobre la tormentosa
relación amorosa entre Alma Mahler y el pintor Oskar Kokoschka. «La historia que
vamos a contar –así se inicia el relato- empieza en 1912 en Viena y termina en
1919 en Dresde». Para contextualizar la relación y comprender su complejidad el
autor se remonta al pasado lejano.
Alma Mahler, «con mucho la mujer más conocida en la efervescente Viena de
aquellos años», viuda ya del famoso compositor Gustav Mahler, inicia una
relación apasionada con el pintor Kokoschka.
Apasionada pero tormentosa. Cohesionado el relato con la maestría a que nos
tiene acostumbrados Andrea Camilleri, basa esta pasión amorosa verdadera,
llevada hasta la obsesión y la locura, «en gran parte de documentos auténticos
de una vida real». Su intercalado –epistolario, autobiografía, dibujos…-, de
variedad y riqueza, fortalecen la lectura, haciéndola más intensa, agradable y
veraz.
Cuando Alma rompe brutalmente la relación, Kokoschka, con el corazón destrozado,
decide partir al frente de guerra. A su regreso a casa, herido y traumatizado
por el conflicto y obsesionado aún con el amor perdido, encarga una muñeca de
tamaño natural a una artesana de Múnich con los rasgos de su amada y con la que
el hombre compartirá parte de su vida. Entramos en «el escabroso tema del
simulacro», de la simulación del encanto: «El simulacro, o el fetiche, o la
muñeca, llámese como se quiera, es un Alma perfecta para suscitar recuerdos,
pensamientos, la ilusión de las conversaciones, de la intimidad y de la
camaradería intelectual, y es, sobre todo, un Alma dedicada enteramente a él,
Oskar, sin recuerdos de otras amistades y absolutamente ajena al pasado de
Gustav Mahler. Está libre, por así decirlo, del pecado original».
La nueva vida con Alma –»la señora muda»- es una «inquietante historia» que
tiene un increíble final. O distintos finales posibles. A uno se le ocurre
pensar a estas alturas que estamos ante una «obsesión amorosa llevada a los
límites de la locura» y que la realidad está más arraigada en la ficción que la
ficción misma. Por eso quizá la novela atrapa con mayor intensidad, añadido el
aliciente de que está contada con sencillez y naturalidad, cualidades que
siempre hablan a favor de los grandes.
Alfonso García
Andrea Camilleri e la sua idea di teatro, le sue esperienze di regia, le
lezioni, il rapporto con generazioni di giovani allievi: “Il teatro certamente (Sellerio)
è una conversazione tra il maestro e Giuseppe Dipasquale, suo allievo
all’Accademia Silvio D’Amico, poi regista e autore teatrale. Il libro verrà
presentato alla Feltrinelli di Catania, lunedì alle ore 18.00.
Sarà il giornalista delle “Ienesicule”, Marco Pitrella, a dialogare con
Dipasquale.
[...] La svolta
mediatica nel 1976 con «Bontà loro», il primo talk show italiano e si disse che
si era ispirato ai talk già esistenti negli Usa. «Certo che esistevano —
ribatteva Costanzo —, ma non ne sapevo nulla! Essendo poco portato per le lingue
straniere, anche se l’avessi visto su qualche canale non avrei capito un
accidente!». Un tipo di programma con cui ha lanciato tanti personaggi. Quelli
di cui andava più orgoglioso erano Andrea Camilleri («Lo avevo ospitato perché
avevo letto un suo romanzo che mi era piaciuto molto: mi rivolsi al pubblico
mostrando il libro e dicendo compratelo») e Paolo Villaggio («Quando lo conobbi,
a Genova, era un impiegatuccio che si esibiva in un piccolo locale»).
[...]
Emilia Costantini
Giuseppe Dipasquale, ormai da
tempo regista e drammaturgo più che affermato, è stato allievo prediletto
di Andrea Camilleri e sul rapporto col grande Maestro ha costruito qualcosa che
è molto di più di un rapporto professionale ed affettivo. È stato l'argomento
che ha fatto da sfondo alla chiacchierata condotta dal giornalista-avvocato
Marco Pitrella offerta dalla libreria Feltrinelli di Catania che ha ospitato una
partecipata presentazione del libro edito da Sellerio con cui Giuseppe
Dipasquale racconta il suo rapporto con Andrea Camilleri. Un libro importante e
non consueto, un viaggio nella memoria che è anche la rappresentazione di un
modo di essere, di interpretare se stessi ed il proprio modo di stare al mondo:
con leggerezza. Il loro primo
incontro, tra Dipasquale e Camilleri, ha luogo in una data precisa, durante
il provino presso l'Accademia nazionale d'arte drammatica "Silvio d'Amico" nel
1985: partiamo proprio da questo incontro. «Feci l'esame di
accademia nell'85, mi trovai di fronte a una commissione di professionisti,
c'erano Aldo Trinfo, Paolo Terni e altri. In questa commissione non c'era seduto
Camilleri, era da un'altra parte, dopo un'ora e mezzo di esame mi congedarono,
proprio in quel momento dal fondo della sala sento una voce: "un momento voglio
fare una domanda al candidato", era proprio Camilleri, rimasto in fondo in
silenzio a godersi l'esame di questo ingenuo saputello e mi dice: "lei ha
parlato del libro di linguistica generale di Saussure, cosa dice nella nota 242
dell'appendice", per mia fortuna mi ricordai qualcosa. Più avanti negli anni gli
dissi: "ti ricordi di questa domanda carogna?", lui mi rispose: "sì, le faccio
sempre queste domande per vedere come ve la potreste cavare, se tu mi avessi
detto che questa nota non c'era nel libro, andava comunque bene”. Camilleri
aiutava gli allievi a individuare il proprio percorso, era un vero e proprio
“maestro”». Dipasquale ci racconta
come si svolgevano le lezioni di regia, in maniera del tutto singolare. Erano tre allievi
selezionati su ottanta, le lezioni cominciavano alle 8.30 del mattino e lui
arrivava alle 9.30 -10.00 e appena ci incontrava diceva "andiamo al bar" e
iniziava a raccontare i suoi sogni. Da lì partivano i suoi
racconti, i suoi insegnamenti. «Ho capito dopo
l'importanza di queste lezioni, noi registi siamo esattamente coloro i quali
raccontano al pubblico un sogno, una storia inventata, non nostra. Andrea aveva
una grande capacità di elaborare un mondo meraviglioso». “Il teatro certamente”
nasce grazie ad Antonio Sellerio, a cui Giuseppe Dipasquale propose il progetto
qualche anno fa durante il covid. Negli anni, il suo
rapporto con Camilleri inizia ad essere più assiduo, Dipasquale racconta di
sentirsi ancora un suo allievo e che come una sorta di premonizione chiese ad
Andrea di registrare le loro conversazioni “andavo lì per stare con lui,
avevo accesso libero alla sua casa e non era così facile, era molto schivo”. «Prima della sua
notorietà, Camilleri era snobbato, in particolar modo la sinistra ha avuto
sempre un certo atteggiamento snob per autori sinceri come era Camilleri. Quando
venne riconosciuto e apprezzato, non divenne rancoroso, semplicemente quando
cominciarono a presentarsi persone che si professavano, per convenienza, "grandi
amici", lui fece una cosa molto semplice: mise una segreteria telefonica in cui
si sentivano tali parole: "lasciate pure un messaggio". Noi amici avevamo,
invece, un accesso libero, potevamo andare da lui, suonare e stare in casa a
parlare per ore. Il senso di questo libro è il risultato di una raccolta di
dialoghi reali, non c'è una ricostruzione mnemonica, è esattamente lo
sbobinamento delle conversazioni che abbiamo fatto. Un dialogo tra un allievo ed
un maestro». L’allievo e amico con
il suo maestro e confidente ebbero inoltre una lunga e proficua collaborazione
professionale, hanno scritto per il teatro diverse opere fra cui “La concessione
del telefono”, Troppu trafficu ppi nenti” da Shakespeare, “La signora Leuca” e
“Il birraio di Preston”. «A proposito de "Il
birraio di Preston", il protagonista è un bambino, o almeno possiamo dire che la
vicenda si apre dagli occhi di questo bambino che scopre un incendio e
sveglia il padre alle 4 del mattino dicendogli "è arrivata l'alba guarda", lo
porta alla finestra e il padre si rende conto che c'è un incendio e si è
bruciato il teatro». Dipasquale definisce
quella di Camilleri "poetica dello stupore": guardare i fatti reali con un
occhio ingenuo, un continuo stupore tra le cose, ciò che affascina di più delle
sue straordinarie narrazioni. Tutto questo è determinato dalla sua capacità
innata di stupirsi di se stesso. Un’altra opera che
racconta Dipasquale è “Troppu trafficu ppi nenti”, che nasce dalla lettura
casuale di una notizia su Shakespeare, da cui nasce qualcosa, un colpo di genio. «Avevo appena letto
che un tale professor Martino Juvara di Messina sosteneva con tesi dettagliate
che William Shakespeare in realtà era un tale Michelangelo Florio scappato da
Palermo e, attraversando l’Italia, era finito in Inghilterra da suoi cugini
iniziando così la sua carriera di drammaturgo. Dissi ad Andrea “senti c'è questa
notizia perché non facciamo uno scherzo e prendiamo “molto rumore per nulla” e
lo traduciamo in "troppu trafficu ppi nenti", usando una lingua ben precisa,
prendendo i vocabolari del 500. Camilleri apprezzò la trovata ridendo di gusto
incoraggiandomi a cominciare a scrivere. Iniziai a fare un'opera di traduzione
del testo, debuttammo nel settembre del 2000. Qualche collega, in buona fede,
credette che fosse davvero scritta dall'autore inglese e disse "ritrovato un
testo che è l'archetipo di troppo rumore per nulla di Shakespeare ". La cosa
bizzarra è che oggi molti dei più importanti studiosi di Shakespeare iniziano ad
accreditare la tesi che in realtà si trattasse di un guantaio in realtà
prestanome di un uomo geniale che viene identificato in tale John Florio, al
quale si vorrebbero attribuire tutti i capolavori shakespeariani». Camilleri era anche un
autore “comico” nel senso proprio del teatrale "comédien", e lo è nella
prospettiva del riso, la sua visione è una visione di gioia, una visione
positiva dell'antropologia siciliana. “Sappiamo chi siamo
e siamo votati alla quasi autodistruzione, con insito nella nostra
contraddizione il gene del bene e del male che coesistono e non sono così
separabili, tutto questo non può essere raccontato, nella visione di Camilleri,
con il pianto continuo, anche perché probabilmente il pianto in sè ogni
siciliano se lo fa da solo.” Il pianto, la
disperazione, la rassegnazione possono essere strumenti di elaborazione di
questo lutto, come in Vittorini e Sciascia per citarne due tra i massimi
esponenti della letteratura del novecento siciliano, mentre Camilleri, in
qualche modo più vicino a Brancati, tratta anche di temi drammatici, come anche
di mafia, il dramma per eccellenza della sicilianità contemporanea, ma riuscendo
a trattarli in maniera ironica, persino comica, senza mai svilirsi nella farsa,
ma creando un vero e proprio genere nuovo, definibile con il neologismo di “ironicomico”,
arrivando così a raccontare e castigare costumi e derive più di quanto possa
fare una narrazione tragica. “La libertà di osare e
andare oltre”: Camilleri è stato un grande autore che consegnava le sue opere a
chi le interpretava, spogliandosene della proprietà, senza alcuna gelosia, come
diceva Pirandello "l'opera dello scrittore finisce nel momento in cui mette la
parola fine all'opera, dopo sulla scena c'è l'interprete". A proposito dell’arte
e del teatro, qual è la concezione della creatività oggi? «Siamo molto
creativi e apparentemente molto liberi, sembra un mondo che è andato verso
un'idea di creatività, io purtroppo credo che viviamo in un mondo in cui il
conformismo è diventato la matrice esistenziale che ci trascina, conformismo
pericolosamente tossico per la creatività perché porta ad acquisire idee di
altri e non personali. È una società distopica, noi però siamo dentro questo
meccanismo storico sociale, non sempre ce ne rendiamo conto. Se per creatività
intendiamo quella di Alda Merini, è decisamente sepolta. Camilleri mi ha
lasciato la sua visione semplice delle cose del mondo. Finché c'è un uomo che
vuole raccontare una storia di fronte a un focolaio ci sarà teatro». “Il teatro
certamente” è
quindi un libro di conversazioni, gli interlocutori discutono su quella che
Camilleri chiama «dicibilità teatrale»: su come «trasformare le cose scritte in
cose dette»; sulla teatralizzazione o trasposizione teatrale, in sostanza, di
testi narrativi dello stesso Camilleri o di Pirandello. Dipasquale legge le
opere di Camilleri e Camilleri legge se stesso. Le letture a volte
divergono, ma Camilleri lascia sempre libertà di giudizio. Il maestro scava nei
ricordi.
Un libro che può essere certamente letto come uno scorcio biografico di un
grande autore, ma anche e soprattutto come il dialogo continuo tra Maestro ed
Allievo, come archetipo di un percorso di vita che non si interrompe con la
scomparsa, ma resta immanente e creativo in chi ne prosegue l'opera ed in quelle
che continueranno ad essere rappresentate anche quando non ci sarà più chi ne ha
conosciuto gli autori: la magia del Teatro.
Testo e intervista Giada Pagliari, riprese Christian Costantino
Giuseppe Dipasquale, rinomato regista e drammaturgo, ha da poco regalato al
mondo della letteratura e del teatro un’opera che si distingue per profondità e
intimità: “Il teatro certamente”. Questo libro, frutto dei suoi dialoghi con il
Maestro Andrea Camilleri, di cui è stato allievo prediletto e amico, trascende
il semplice racconto autobiografico per divenire un viaggio nella memoria,
un’esplorazione del significato più profondo di essere artefici e interpreti del
proprio percorso nel mondo, con una leggerezza che solo la vera comprensione può
conferire. La presentazione del volume, edito Sellerio, ospitata dalla libreria
Feltrinelli di Catania, ha visto la partecipazione del giornalista-avvocato
Marco Pitrella, che ha condotto una chiacchierata sull’opera. Come nasce l’idea
di questo libro e cosa ti ha spinto a condividerlo con il mondo? “Il teatro
certamente” è nato dalla necessità di dare voce a un rapporto che ha marcato
profondamente la mia vita e la mia carriera. Andrea Camilleri non è stato solo
un maestro nel senso accademico, è stato un faro, un punto di riferimento umano
e professionale. Questo libro è il tentativo di cristallizzare le nostre
conversazioni, i nostri scambi, in modo che possano ispirare anche altri a
cercare la propria via nel mondo dell’arte e della letteratura con la stessa
passione e curiosità che Andrea ha sempre condiviso con me. Il tuo primo
incontro con Camilleri è stato decisivo. Puoi raccontarci di quell’esperienza?
“Ricordo vividamente quel giorno all’Accademia nazionale d’arte drammatica
nell’85’. Dopo ore di esame, Camilleri, che aveva osservato in silenzio, mi ha
messo alla prova con una domanda inaspettata: “lei ha parlato del libro di
linguistica generale di Saussure, cosa dice nella nota 242 dell’appendice”, per
mia fortuna mi ricordai qualcosa. Più avanti negli anni gli dissi: “ti ricordi
di questa domanda carogna?”, lui mi rispose: “sì, le faccio sempre queste
domande per vedere come ve la potreste cavare, se tu mi avessi detto che questa
nota non c’era nel libro, andava comunque bene”. Camilleri aiutava gli allievi a
individuare il proprio percorso, era un vero e proprio “maestro”. Quel momento
ha segnato l’inizio di un cammino comune fatto di sfide intellettuali e crescita
personale. Era la sua maniera di insegnare: stimolare la curiosità e l’ingegno,
piuttosto che affidarsi a nozioni preconfezionate”. Come descriveresti le
lezioni di regia tenute da Camilleri? “Le lezioni di Andrea erano tutto fuorché
ordinarie. Spesso iniziavano al bar, con lui che condivideva i suoi sogni. Era
il suo modo unico di insegnare: narrare per esempio, mostrando che ogni storia,
ogni sogno, può diventare teatro. Erano tre allievi selezionati su ottanta, le
lezioni cominciavano alle 8.30 del mattino e lui arrivava alle 9.30 -10.00.
Questo approccio ha profondamente influenzato il mio modo di vedere e fare arte,
insegnandomi che la regia è, in fondo, la capacità di raccontare al pubblico un
sogno, una storia inventata”. Il rapporto con Camilleri come è evoluto nel
tempo, specialmente dopo la sua notorietà? “La notorietà di Andrea non ha mai
intaccato la nostra relazione. Se qualcosa, ha solo arricchito il nostro
scambio, mantenendo quella genuinità che ha sempre caratterizzato il nostro
rapporto. Andrea è rimasto la stessa persona integra e profonda che ho
conosciuto all’Accademia, e questo libro vuole essere un tributo a quella
costanza, a quel dialogo aperto e sincero che abbiamo sempre mantenuto”. Qual è
il messaggio principale che vuoi trasmettere attraverso “Il teatro certamente”?
“Il messaggio che spero di trasmettere è l’importanza del dialogo tra maestro e
allievo, tra arte e vita. Andrea Camilleri ha lasciato un segno indelebile non
solo nella letteratura e nel teatro ma anche nelle persone che ha incontrato.
Questo libro è un omaggio a quella traccia luminosa, a quella capacità unica di
ispirare e guidare, che continua a vivere nelle opere e nei cuori di chi ha
avuto la fortuna di conoscerlo e apprezzarlo. Oggi si sente la sua mancanza
umana perché aveva la capacità di guardare il mondo con degli occhi acuti e
semplici allo stesso modo e poi quello che ci manca è la sua visione su difetti
di questa nostra terra, non puntava mai il dito ma con la sua ironia ci faceva
capire dov’era l’errore. Oggi il teatro viaggia e cerca nuove forme di
linguaggio che non sempre sono coerenti con un racconto della realtà come
dovrebbe essere ma c’ è da rilevare positivamente l’atteggiamento della ricerca.
Andrea Camilleri quando iniziò a fare teatro negli anni 50 fu un grande
innovatore, lui teatrante lo è stato, ma il teatro era una casa che abitava
bene, ma nel suo cuore c’era la scrittura”. L’allievo e amico con il suo maestro
e confidente ebbero inoltre una lunga e proficua collaborazione professionale,
hanno scritto per il teatro diverse opere fra cui “La concessione del telefono”,
“Troppu trafficu ppi nenti” da Shakespeare, “La signora Leuca” e “Il birraio di
Preston”.
“Il teatro certamente” si rivela quindi non solo come un tributo a uno dei
grandi maestri della letteratura italiana, ma anche come una fonte di
ispirazione per chi cerca nel teatro e nell’arte non solo una professione, ma
una forma di espressione profondamente umana e personale.
Elisa Petrillo