RASSEGNA STAMPA
NOVEMBRE 2003
La Stampa
- ttL, 1.11.2003
Il premio
Scerbanenco - Noir in festival per il giallo italiano dell'anno
La giuria di esperti ha selezionato 21 romanzi gialli italiani per sottoporli
al giudizio del pubblico che decreterà i cinque finalisti del Premio
"Giorgio Scerbanenco", realizzato da Noir in Festival e "La Stampa" in
collaborazone con la Libreria del Giallo di Milano. I lettori possono votare
segnalando il titolo preferito al sito web bel Noir in Festival (www.noirfest.com)
entro il 25 novembre. La cinquina sarà presentata a Courmayeur nel
corso di Noir in Festival dal 4 al 10 dicembre. In quell'occasione, la
giuria decreterà il vincitore. Ecco i ventuno prescelti: Natalino
Bruzzone (Tutte le ore uccidono, Hobby & Work), Domenico Cacopardo
(La mano del Pomarancio, Mondadori), Andrea Camilleri (Il giro di boa,
Sellerio), Piero Colaprico (L'estate del Mundial, Marco Tropea), Danila
Comastri Montanari (Saturnalia, Hobby & Work), Sandrone Dazieri (Gorilla
Blues, Mondadori), Giancarlo De Cataldo (Romanzo criminale, Einaudi), Giorgio
Faletti (Io uccido, Baldini & Castoldi), Valentina Gebbia (Estate di
San Martino, e/o), Giuseppe Genna ( Non toccare la pelle del Drago, Mondadori),
Carmen Iarrera (Delitti alla Scala, Fazi), Rossella Martina (Facoltà
di silenzio, Hobby & Work), Maurizio Matrone (Erba alta, Frassinelli),
Alessandro Perissinotto (Treno 8017, Sellerio), Santo Piazzese (Il soffio
della valanga, Sellerio), Vieri Razzini (Il dono dell'amante, Baldini &
Castoldi), Andrea Santini (L'inganno, Marco Tropea), Piero Soria (La Primula
di Cavour, Mondadori), Stefano Tura (Non spegnere la luce, Fazi), Valerio
Varesi (Il fiume delle nebbie, Frassinelli), Marco Vichi (Una brutta faccenda,
Guanda).
Stilos, 4.11.2003
Ritratti di donna, la galleria è questa (Il gineceo di Camilleri)
Madamina,
il catalogo è questo. Le figure femminili nell'opera di Andrea Camilleri
Anticipazione del saggio di Simona Demontis Il catalogo è
questo, la cui versione integrale uscirà sul n°4 (settembre
2003) della rivista NAE (edizioni Cuec, Cagliari)
La Repubblica
(ed. di Palermo), 4.11.2003
Imparare a scrivere racconti seguendo le tracce di Pato`
Un personaggio di Sciascia e Camilleri diventa un modello per aspiranti
romanzieri
Tredici allievi di Luigi Bernardi inventano altrettanti finali sulla
scomparsa dell'attore
Patò mette le corna alla moglie, ma scompare prima che lei si
possa vendicare (da Pensieri munnizza di Beatrice Monroy); un fantomatico
killer deve farlo fuori perché ne va della buona riuscita del giallo
del mese (da L´ultimo giorno di Patò di Luca Panzanella):
sono solo alcune delle possibili versioni, il cui denominatore comune è
la morte di uno dei personaggi di Sciascia e di Camilleri, che si leggono
tutte d´un fiato nei tredici racconti di Altre scomparse di Patò
(Edizioni della Battaglia, 84 pag. 12 euro). Il libro, appena uscito, nasce
dal laboratorio di Luigi Bernardi, ospitato da Libr´aria, la libera
scuola di scrittura diretta da Beatrice Monroy. Tredici diverse morti travolgono
il povero Patò, invenzione letteraria di Leonardo Sciascia nel suo
A ciascuno il suo, dove interpreta Giuda ad una rappresentazione teatrale,
ma quando tocca a lui, non viene più fuori da una botola sul palco
perché è scomparso.
Partendo da questo tema comune, Luigi Bernardi ha fatto la spola tra
Palermo e la sua città, Bologna, per spronare il variegato gruppo
dei suoi allievi a costruire, attraverso verifiche collettive, scambi di
opinioni ed esercizi da compilare a casa, un´ulteriore possibilità
per questo personaggio letterario. Ma è possibile, oggi, insegnare
a scrivere attraverso i laboratori di scrittura? A questa domanda, Luigi
Bernardi risponde in modo negativo poiché «si può affinare
un´arte, ma non insegnarla di sana pianta». «Chi ha un´attitudine
a scrivere - continua - attraverso i corsi può imparare a utilizzarla
al meglio. A me non interessa insegnare a diventare scrittori, ma a raccontare
delle storie. Si tratta di due cose diverse».
Il risultato del laboratorio tenuto da Libr´aria, per un totale
di sei incontri ripartiti in tre mesi, è un libro godibile, di facile
fruizione dove salta subito all´occhio la creatività e lo
stile personale che differenziano notevolmente, anche a livello lessicale,
i diversi autori che hanno raccontato in modo nuovo la scomparsa di Patò,
senza subire alcuna influenza da quella già inventata da Camilleri.
Accanto ai racconti degli alunni del laboratorio, il libro ne raccoglie
altri quattro scritti da alcuni ospiti: Beatrice Monroy, Claudia Cincotta,
Simona Dolce e Caterina Spina (tre allieve di altri corsi di Bernardi).
Ogni racconto fa storia a sé: padri nascosti, mogli, ricatti, coppie
gay ed altri loschi intrighi, con una spiazzante rivelazione finale, ad
esempio, creano il plot del racconto come in una telenovela ne La parte
di Patò, firmato da Marco Pomar.
La totale identificazione di Patò con il personaggio che interpreta
per la celebrazione sacra, ovvero il traditore Giuda, e infine la morte
soffocato nella botola sotto il palco costituiscono la trama di La battuta
di Rino Parlapiano. Davvero inusuale è, invece, l´intreccio
di Abdicazione di un libertino dove l´autrice, Caterina Spina, si
serve della tecnica dello straniamento per la sua breve narrazione e solo
alla fine offre uno squarcio di luce e rende chiaro al lettore qual è
il vero protagonista del mini-racconto.
L´ispirazione di tutto questo? Semplicemente, le parole che Sciascia,
nel suo libro, ha scelto per liquidare Patò in una manciata di righe
perché «da quel momento nessuno ne aveva saputo più
niente; e il fatto era passato in proverbio, a indicare misteriose scomparizioni
di persone e oggetti».
Carla Nicolicchia
La Repubblica
(ed. di Palermo), 4.11.2003
Gli alunni della scuola di Ficarazzi scrivono un giallo con due finali
per raccontare la violenza urbana
Droga, il crimine che fa paura ai bambini
I bambini di Ficarazzi hanno scritto un libro ispirato al commissario
Montalbano di Andrea Camilleri per raccontare una loro grande preoccupazione:
«La baby criminalità è in aumento nella nostra regione
- denunciano nell´introduzione al loro racconto - riguarda i ragazzi
delle classi sociali più basse, coinvolti soprattutto nello spaccio
di droga».
«'Na 'nticchia di curaggiu», così si intitola il
libro scritto da nove alunni del Circolo didattico Tesauro di Ficarazzi.
Ed ha già ricevuto il premio Rocco Chinnici. La storia è
quella di un ragazzo, che resta coinvolto in un brutto giro di droga: «Il
suo futuro - spiegano i giovani autori - dipenderà dalla sua scelta,
lasciarsi alla spalle il brutto passato o continuare a commettere crimini.
Da questa scelta dipenderà la sua vita. Il coraggio - precisano
i bambini - è quello che fa la differenza». Il commissario
Montalbano qui si chiama Paolo Sgorbi, giovane investigatore che arriva
da Roma: un po´ poliziotto, un po´ psicologo, la sera anche
narratore. «Iniziò a scrivere - ci dicono di lui i bambini
di Ficarazzi - faceva sempre così quando seguiva un caso. Buttava
giù le sue ipotesi, i dubbi, le riflessioni ed anche le paure e
i pensieri più intimi». Pure Paolo Sgorbi come Salvo Montalbano
ha una fidanzata che abita lontano: «Cara Adriana - gli scrive -
devo scoprire come la droga arrivi a scuola».
La sorpresa è nel finale, che è doppio: «In questo
modo vogliamo far capire che le azioni che decidiamo di compiere possono
cambiare la nostra vita in meglio o in peggio».
Così, quello che era uno dei tanti progetti di educazione alla
legalità sponsorizzato dalla Regione, è diventato un inedito
giallo sulle tracce del commissario Montalbano. Il direttore del Circolo
Tesauro avverte: «Basta offrire ai bambini le occasioni per riflettere
sulle cose del mondo per ottenere considerazioni e pensieri, non solo profondamente
consapevoli e critici, ma anche così reali da apparire agli occhi
disincantati e conformisti dell´adulto veramente rivoluzionari, sconvolgenti
e destabilizzanti». In tempi di trionfalistiche dichiarazioni governative
sulla diminuzione della criminalità, gli alunni di Ficarazzi hanno
voluto dire la loro. «I baby spacciatori sono davvero tanti, troppi».
Il giallo alla Camilleri è presto fatto: l´inizio è
già forte, con un ragazzo in overdose, e un bidello, u zzu Cicciu,
che si dispera. Borgo San Pietro è un terra difficile, e il maresciallo
Agrò sembra ormai stanco, «era amareggiato - ci dicono gli
autori - dopo settimane di appostamenti, ricerche, pedinamenti, non era
venuto a capo di niente, un bel niente». Le speranze per risolvere
il caso sono riposte in Paolo Sgorbi: inizia la sua attività nella
scuola di Borgo San Pietro «sotto copertura», si fingerà
professore per scoprire chi spaccia droga.
I piccoli scrittori sono Chiara Frittitta, Marcella Giornetti, Riccardo
Duminuco, Rosalinda Monastero, Giulia Aurilio, Antonio Cannizzaro, Federica
Angileri, Maria Teresa Segreto e Samuele Muratore. Sono stati coordinati
dagli insegnanti Chiara Saporito e Rosina Anelli.
s.p.
Oggi, 5.11.2003
Vigàta, 1935: mentre la radio annuncia "La presa di Macallè"
(Sellerio) e le varie tappe vittoriose della guerra in Abissinia, Michilino,
nonostante abbia solo sei anni, si sente profondamente soldato di Gesù
e milite di Mussolini. Bambino curioso e molto, molto dotato, percepisce
tutto ma dà ai fatti una lettura infantile, ingenua: unico suo terrore,
ma anche fremente curiosità, è “capiri che erano le cose
vastasi, come si facivano, in cosa consistivano, pirchì alle pirsone
piaciva fari le cose vastasi macari se era piccato”. Non sapendo cosa sia
la malizia, il piccolo non può rendersi conto di quanto gli adulti
che lo circondano, a cominciare dai genitori, siano marci, bugiardi e approfittatori
della sua purezza, mentre lo irretiscono tra frasi fatte, meschinità
e retorica fascista. Per onorare Mussolini, non far soffrire “Gesuzzu”,
Michilino diviene così un assassino che scientemente e senza scrupoli
elimina chi gli viene indicato come nemico. Una volta però aperto
dolorosamente gli occhi, punirà e si punirà, chiudendo tragicamente
la sua infanzia tradita. Subito tra i più venduti, l'ultimo romanzo
di Andrea Camilleri è un pugno nello stomaco volutamente sopra le
righe, un paradosso fremente di indignazione verso la stupidità
del (finto) perbenismo: per quanto violente e ridondanti di “cose vastasi”,
queste pagine caustiche puntano il dito contro chi manipola le menti e
le coscienze. Provi il lettore ad ambientare la storia ai giorni nostri,
sostituisca la radio a galena con la televisione, e il gioco è fatto.
Alessandra Casella
Giornale di Brescia,
6.11.2003
Guardare in faccia la mafia
Sabato convegno di Libera, Pax Christi e PRC
Un convegno su «Potere mafioso e movimento antimafia». Lo
propongono la Federazione provinciale di Rifondazione comunista, Pax Christi
di Brescia e «Libera», rete di associazioni contro le mafie.
«Una piaga quella della mafia che troppo spesso, dopo la conclusione
della stagione dei delitti eclatanti, si ritiene sanata. Ma non è
così». Di qui la proposta del convegno, per parlare a Brescia
di mafia. Sabato 8 novembre, dalle 8.45, alla Sala delle Colonne (dai Missionari
Saveriani, in via Piamarta 9 a Brescia), interverranno personaggi di primo
piano della lotta a Cosa nostra. Sarà Fernando Scarlata, segretario
del Circolo della Seconda circoscrizione del Prc, dopo i saluti, a introdurre
le relazioni dei convenuti. Primo fra questi don Salvatore Lo Bue, dell’Associazione
«La casa dei giovani», che parlerà del riutilizzo a
fini sociali dei beni sequestrati alla mafia. Dopo di lui, Tano Grasso,
nome simbolo della lotta al «pizzo», affronterà proprio
il tema del movimento antiracket. Giovanni Impastato, fratello di Peppino,
il giovane che, oppostosi alla mafia fu assassinato nel 1978, parlerà
di lui e della Commissione parlamentare che si occupa del suo caso. I lavori
riprenderanno poi alle 15 con l’intervento di Licia Scagliarini, sostituto
procuratore della Repubblica di Bologna, che analizzerà l’internazionalizzazione
delle relazioni criminali di stampo mafioso. Umberto Santino, del «Centro
documentazione P. Impastato» delineerà invece il profilo del
movimento antimafia in Italia. Enzo Ciconte, consulente della Commissione
parlamentare antimafia si soffermerà invece sul radicamento della
mafia al Nord. A chiudere i lavori prima del dibattito sarà Francesco
Forgione, membro della Commissione antimafia della Regione Sicilia e della
Direzione nazionale del Prc, che parlerà dell’intreccio tra potere
mafioso, potere politico e potere economico-finanziario. Nella giornata
inoltre, sarà proiettata un’intervista
appositamente rilasciata dal noto scrittore Andrea Camilleri sul tema della
mafia.
La Repubblica
(ed. di Palermo), 7.11.2003
Il libro
La Sicilia di Camilleri in anteprima da Kalòs
Alle 21,15, nell´ambito dei "Venerdì di Kalòs",
ovvero le aperture serali della libreria di XX Settembre, Salvatore Silvano
Nigro e Salvatore Ferlita presentano "La Sicilia di Andrea Camilleri".
Si tratta di un volume, edito da Kalòs, che raccoglie le fotografie
di Giuseppe Leone sui luoghi cari allo scrittore, quelli reali e quelli
citati dai suoi libri. Il libro raccoglie anche i testi di Salvatore Ferlita
e di Paolo Nifosì e un´intervista a Camilleri.
La libreria, come tutti i venerdì, rimarrà aperta fino
alle 23,30.
Il Resto
del Carlino, 7.11.2003
Ferrara
Leo Gullotta con 'Lapilli' porterà al Borgatti la Sicilia
'Lapilli' apre il cartellone de l'Altra musica & musical del teatro
Borgatti, martedì prossimo, alle 21, interpretato da uno dei più
eclettici attori italiani, Leo Gullotta, e da un fantastico ensemble di
musica siciliana antica, gli AL Qantarah.
E' proprio dall'incontro tra Leo Gullotta e gli Al Qantarah che nasce
'Lapilli, voci e suoni dall'isola', un percorso poetico-musicale che parte
da Federico II e Cielo D'Alcamo, incontra Tomasi di Lampedusa e sfocia
nella forza corrosiva dei versi di Buttitta e nella prosa travolgente di
Andrea Camilleri. 'Lapilli' è un inno d'amore per un'isola affascinante
e tormentata, scandito al ritmo di un ricchissimo apparato strumentale.
Il gruppo Al Qantarah (termine arabo che significa 'il ponte') svolge
da qualche tempo un attento lavoro di ricerca e riproposta musicale, centrato
sulla Sicilia medievale. Il risultato finale, così come si può
ascoltare nei concerti che il gruppo oramai da più di un decennio
porta in giro nel mondo, è un tentativo di ricognizione sonora di
una Sicilia multiforme e multietnica, che, di fatto, sopravvive fino ai
nostri giorni. Proprio in forza di questo convincimento, nel percorrere
quella che è stata definita la Scuola poetica siciliana, che ebbe
le sue origini dalla corte di Federico II, l'imperatore svevo-normanno
che governò da illuminato politico e mecenate, con figure rappresentative
come Cielo D'Alcamo, Giacomo da Lentini e lo stesso Federico II, qui rappresentato
dalla sua lirica 'Dolce lo mio drudo'. Nella ricognizione non ci si può
esimere dalla produzione letteraria di Camilleri, da quella di Tomasi di
Lampedusa, che con il suo Gattopardo ha ritagliato con gran maestria l'anima
dei conterranei. Termina questo nostro viaggio l'ultimo tra i più
grandi poeti siciliani: Ignazio Buttitta, che con la sua lirica caustica
ed orgogliosa, definisce l'opera del suo popolo, senza risparmiare lodi
e disapprovazioni alla sua terra. Percorso letterario, questo che si avvale
della forza evocativa, offerta attraverso una splendida lettura, di cui
è interprete Leo Gullotta. Biglietti: posto unico 15 euro. Prevendita
oggi alla Pandurera dalle 16,30 alle 19 (tel. 051-6858902); sabato al Borgatti
dalle 17 alle 19,30 (tel. 051-6858901); nei giorni di spettacolo dalle
19.30. Dal lunedì al venerdì in tutte le filiali di Cassa
di Risparmio di Cento, Cassa di Risparmio di Ferrara.
Tutti
i colori del giallo, 8-9.11.2003
Camilleri si racconta ai suoi fans a "Tutti i colori del giallo"
A poche settimane di distanza dalla pubblicazione del suo ultimo romanzo
storico "La presa di Makalè" (Sellerio) il popolare scrittore Andrea
Camilleri incontrerà in diretta radiofonica i suoi fans durante
due puntate speciali di "Tutti i colori del giallo" (che andranno in onda
i prossimi 8 e 9 novembre dalle 13 alle 13. 30) l'appuntamento bisettimanale
con la suspense di Radiodue, condotto da Luca Crovi per la regia di Alberto
Fognini e la produzione di Fabrizia Boiardi. Due folti plotoni di camilleriani
doc iscritti al suo fan club ufficiale vigata.org (associazione culturale
che si occupa 365 giorni l'anno dello scrittore siciliano e del suo immaginario
promuovendo incontri, dibattiti e sviluppando rassegne critiche e saggistiche)
saranno infatti invitati a chiacchierare con Camilleri dalle città
di Milano e Palermo. Il pubblico potrà invece intervenire da
casa mandando domande all'indirizzo mail: tuttiicoloridelgiallo@rai.it.
Sarà un'occasione unica per
poter scoprire i segreti e le passioni dello scrittore italiano più
letto e tradotto degli ultimi anni. E in particolare le due puntate di
"Tutti i colori del giallo" cercheranno di scandagliare la figura del commissario
Montalbano che tanta fortuna ha portato al suo autore.
"Sono sempre stato un grande lettore di gialli. Il mio primo Simenon
l'ho letto che avevo sette anni e mezzo" confessa Camilleri e a proposito
della creazione del personaggio di Montalbano (arrivato al grande pubblico
anche grazie alla magistrale interpretazione televisiva che di lui ne ha
dato l'attore Luca Zingaretti) l'autore ammette: "feci una scommessa con
me stesso: 'Ma tu sei capace di scrivere un romanzo dalla A alla Z come
Dio comanda: capitolo primo - "Era una notte buia e tempestosa..., Chiamatemi
Ismaele"...-, trecento pagine o quelle che sono, e poi la fine?' Allora
cominciai a ragionare su che cosa potesse aiutarmi, a ricercare una gabbia.
Ricordavo che Sciascia aveva scritto: "Il romanzo giallo in fondo è
la migliore gabbia dentro alla quale uno scrittore possa mettersi, perché
ci sono delle regole, per esempio che non puoi barare sul rapporto logico,
temporale, spaziale del racconto". Sicché mi sono provato a scrivere
un romanzo giallo - "La forma dell'acqua" - come una sorta di pensum, di
compito che mi ero dato, perché avevo tra le mani "Il birraio di
Preston" del quale non riuscivo a calibrare la struttura. La lettura di
un romanzo di Vazquez Montálban "Il pianista" - che non ha nulla
a che fare con i suoi Pepe Carvalho - mi aveva suggerito una strada possibile
per strutturare "Il birraio di Preston". Io rimasi grato a questo autore
spagnolo che non conoscevo e decisi di chiamare il commissario, del quale
stavo scrivendo questa prima avventura, Montalbano, che è anche
un cognome siciliano diffusissimo. Così pigliavo due piccioni con
una fava: pagavo un certo debito a Montálban e nello stesso tempo
davo un nome siciliano preciso a questo commissario. Quando pubblicai "La
forma dell'acqua" ebbe successo, e all'inizio decisi di non continuare
con Montalbano. Sennonché questo personaggio non era risolto dentro
di me: abituato come sono stato per trent'anni e passa al teatro, io ho
bisogno di un personaggio a tutto tondo, qualcuno che possa poi incarnarsi
in un attore, come ce lo si immagina quando si legge un copione teatrale
e a poco a poco il personaggio si "alza" dalla pagina, comincia ad avere
un aspetto fisico preciso, i suoi tic, la sua psicologia. Questo personaggio
era ancora troppo una funzione, la funzione di colui che risolve un caso.
Così ho scritto il secondo libro: "Un cane di terracotta". A questo
punto ci fu veramente un grosso successo. Montalbano cominciò a
essere una sorta di apripista per gli altri romanzi storici, se li portò
dietro ed è cominciata questa situazione a volte imbarazzante, perché
Montalbano è un serial killer di eventuali altri personaggi. È
invadente: mentre stai pensando a un'altra cosa, arriva e dice "tu devi
scrivere solo di me". Da ragazzo ho letto un romanzo di avventure russo,
"Come divenni calmucco", in cui c'era una slitta inseguita dai lupi. Ma
c'è uno furbo che si è portato della carne congelata dentro
un sacco, butta pezzi di carne ai lupi che si fermano a mangiare e la slitta
può proseguire. Ecco: i racconti sono come la carne per il lupo
Montalbano, ogni tanto gli scrivo un racconto per tenerlo buono e permettermi
di continuare a scrivere altro.
La Sicilia, 8.11.2003
Fiera del libro a Montevergini
La III fiera del libro, «Pagine blu: i libri e il mare»,
promossa dal comune di Siracusa e curata dall'associazione culturale «Gli
editori del sole», Lombardi, Lussografica, Sanfilippo, Bonanno e
Sciascia, apre i battenti oggi ed a seguire una serie di incontri sino
al 16 novembre.
[...]
Sabato, alle 18, il convegno «Scrivere la Sicilia: nel teatro,
nella prosa, nella poesia», con Andrea Camilleri, Laura Falco e Lucio
Piccolo e con gli interventi di Antonio Di Grado, Giuseppe Dipasquale,
Salvatore Ferlita, Ferdinando Gioviale, Gioia Pace, Natale Tedesco e Mario
Tropea, con la coordinazione di Enzo Papa.
[...]
Giorgio Italia
Corriere della sera,
9.11.2003
La pagella
Smarriti nel labirinto di Macallè
Camilleri alterna le storie di Montalbano con ricostruzioni storiche,
sempre ancorate allo spazio di una fetta della sua Sicilia. Spesso i libri
migliori (da «Un filo di fumo» al «Birraio di Preston»)
vengono da questo filone. Ma ciò non accade qui, dove la pretesa
(ambiziosa) di montare un romanzo di pura scrittura naufraga miseramente
in un pasticciaccio stilistico. La storia (se tale si può chiamare)
è quella di un bambino di sei anni su cui si sfoga tutta l’infamia
degli adulti. Ma poiché il tutto avviene durante la conquista dell’Etiopia,
nel libro entra una satira del regime che gioca su un linguaggio il quale
più che grottesco è spericolato nella propria velleità
di sperimentazione. Non c’è solo questo: si affollano personaggi
e storie parallele, considerazioni sui massimi sistemi in un groviglio
in cui si asfissia. Senza contare il gusto delle descrizioni erotiche che,
nonostante la tinteggiatura frettolosa di una scrittura intellettualistica,
scivola nella pornografia.
Gli
indesiderabili, 11.11.2003
Alle ore 17:30, presso la sala congressi Fondazione CARIGE (via G.
D'Annunzio 103, Genova) presentazione del film tratto dal libro di Giancarlo
Fusco edito da Sellerio.
Saranno presenti saranno presenti il direttore del Secolo XIX Antonio
Di Rosa, Arnaldo Bagnasco, Beppe Benvenuto, il regista Pasquale Scimeca
e gli attori Vincent Schiavelli, Marica Coco e Marcello Mazzarella.
Gli
indesiderabili, 12.11.2003
Alle ore 17:30, presso la libreria Feltrinelli (via Maqueda, Palermo),
presentazione del film tratto dal libro di Giancarlo Fusco Gli indesiderabili
(Sellerio).
Saranno presenti Beppe Benvenuto, il regista Pasquale Scimeca e gli
attori Marica Coco e Marcello Mazzarella.
Il Mattino,
14.11.2003
La nuova serie
Dopo il numero zero, distribuito in maggio da «Il Mattino»,
alla fine di novembre uscirà il numero 1 della nuova serie di «Sud»,
la rivista diretta da Eleonora Puntillo e pubblicata dalle edizioni Dante&Descartes
di Raimondo Di Maio. Tra le chicche della rivista, rinata grazie all’irrefrenabile
entusiasmo di Francesco Forlani e resa possibile dall’appoggio di Giuseppe
Catenacci e della Nunziatella, c’è l’articolo di Camilleri qui pubblicato
in anteprima.
Io, Camilleri, e l’incubo della jettatura
Ai primi di novembre del 1947 terminai un poemetto, Tempo, al
quale avevo intensamente lavorato per alcuni mesi, e lo spedii subito a
Pasquale Prunas per la sua rivista «Sud». Di «Sud»,
misteriosamente, arrivavano in un’edicola di Agrigento (io allora vivevo
a Porto Empedocle, a pochi chilometri dal capoluogo) tutti i numeri che
venivano via via editi e la lettura di quelle pagine mi provocava, ogni
volta, un’emozione fortissima, coinvolgente, assai difficile da descrivere.
All’epoca, avevo pubblicato due poesie sul mensile «Mercurio»,
fondato e diretto a Roma dalla scrittrice Alba de Cespedes, qualche racconto
sui quotidiani «L’ora» di Palermo e sul romano «L’Italia
socialista» che dirigeva Aldo Garosci e che aveva una bella terza
pagina. In più, un altro mio poemetto, Due voci per un addio,
era stato appena segnalato al Premio Libera Stampa di Lugano da una giuria
che comprendeva i nomi di Carlo Bo e Giansiro Ferrata. Conservo ancora
il foglietto che mi mandarono da Lugano: quei giurati avevano la vista
lunga perché tra i finalisti c’erano Pier Paolo Pasolini, Andrea
Zanzotto, Davide Maria Turoldo, Danilo Dolci, Maria Corti. Eravamo tutti
molto giovani. Io non conoscevo personalmente nessuno, stavo a Porto Empedocle
e mandavo le mie poesie come messaggi in bottiglia da un sommergibile affondato.
E ogni tanto qualcuno mi rispondeva e pubblicava.
Con «Sud» la cosa però era un pochino diversa. Perché
io mi sentivo perfettamente in sintonia con i poeti di «Sud»
(Compagnone, Porzio, Scognamiglio, La Capria, mi pare Giglio) e con la
loro idea di poesia. Dunque, senza conoscere Prunas, gli inviai il poemetto.
Mi rispose a giro di posta, scrivendomi che Tempo gli era molto
piaciuto, tanto da volergli dedicare addirittura la pagina centrale del
numero in preparazione.
Che non vide mai la luce. Con molta cortesia, la sorella di Prunas,
Renata, mi ha mandato la fotocopia del poemetto. Vedo che nella prima pagina,
in alto a sinistra, ci sono delle indicazioni tipografiche per la stampa:
segno che Prunas aveva veramente sperato di pubblicarlo. I miei rapporti
con Prunas (che, ripeto, non ho mai conosciuto di persona) finirono lì.
Apprendo ora, con una certa commozione, che l’organigramma redazionale
di un ventilato nuovo «Sud» aveva compreso il mio nome, come
corrispondente dalla Sicilia. Per completezza d’informazione, il poemetto
venne integralmente pubblicato nel n. 6 della rivista di poesia «Momenti»
(giugno 1952). Una disavventura assai simile mi capitò con «Il
Politecnico» di Vittorini. Anche a lui mandai alcune mie poesie.
Mi rispose che tre o quattro di esse le avrebbe pubblicate presto su «Il
Politecnico» in una sorta di antologia di poeti nuovi che meditava
di fare. Preso da incontenibile entusiasmo, mi recai a Milano per conoscerlo.
Mi presentai in redazione alla mattina e appena seppe che arrivavo dalla
Sicilia mi invitò a pranzo.
Non mi lasciò più fin verso le cinque del pomeriggio.
Camminavamo per Milano, ma lui era con la testa in Sicilia e continuamente
mi chiedeva di paesi e città dell’Isola e ogni tanto si perdeva
dietro a un suo pensiero.
Insomma, viaggiai con lui, quel giorno per le «città del
mondo». Nel lasciarci, in redazione, mi rinnovò l’intenzione
di pubblicare alcune mie poesie. Poi mi chiese se avevo letto l’articolo
di Alicata apparso quel giorno su «L’Unità» (o su «Rinascita»?)
e alla mia risposta negativa ne prese una copia e me la diede con un sorriso
che sul momento non decifrai.
Lo capii dopo aver letto l’articolo: era chiaramente il principio della
fine de «Il Politecnico». E capii anche perché aveva
voluto passare la giornata con me: lo aiutavo a rifugiarsi per qualche
ora, in vista dell’imminente tempesta, nella mitica realtà della
sua e mia terra. Naturalmente «Il Politecnico» da lì
a poco chiuse e le mie poesie non vennero pubblicate.
In conclusione: avevo mandato un poemetto a «Sud» e «Sud»
non ce l’aveva fatta a sopravvivere. Avevo mandato delle poesie a «Il
Politecnico» e «Il Politecnico» aveva dovuto chiudere.
Da buon meridionale, a volte vengo pigliato da botte di superstizione:
vuoi vedere "mi chiesi" che le mie poesie portano jella? Poi, fortunatamente,
la mia supposizione venne smentita da altri fatti. Ma collaboratore di
«Sud», anche se il mio nome non è mai più apparso
sulla rivista, lo sono diventato, come dire, ad honorem. Al solito, avevo
mandato, nel 1949, delle poesie a Luigi Berti che dirigeva, a Firenze,
la prestigiosa rivista di letteratura «Inventario». Berti mi
rispose che ne avrebbe pubblicate due sul numero d’autunno di quello stesso
anno (era un trimestrale corposo), all’interno di una "piccola antologia
di poeti nuovi".
E lo fece. E con mio grande stupore e piacere vidi che i nomi degli
altri quattro poeti che componevano l’antologia erano quelli di Compagnone,
Scognamiglio, Porzio e La Capria col suo Cristo sepolto. Berti aveva con
molta sensibilità capito l’affinità elettiva che mi legava
ai poeti di «Sud» e mi aveva incluso nel gruppo.
Andrea Camilleri
l'Unità, 14.11.2003
“E' una guerra equivoca. I nostri ragazzi tornino a casa”
Una delle sue tre figlie lo ha chiamato per telefono dicendogli di accendere
la tv che dava le primissime notizie. E per Andrea Camilleri è iniziata
una giornata doppiamente grigia. E' consapevole che a molti le sue parole
non saranno gradite. "Mi auguravo che non capitasse. Ma avevo paura vera,
autentica, che un giorno o l'altro capitasse. Negli ultimi giorni c'era
stata questa escalation molto forte delle reazione antiamericana. E comunque
non dobbiamo dimenticare i presupposti."
Quali presupposti?
"Il primo è che questa è una guerra personale dell'amministrazione
Bush. Non dico neanche dell'America, perché offenderei tutti gli
americani e non ho alcuna voglia. Questa terribile guerra è partita
con l'offensiva di Pinocchio. Con le bugie, le bugie di Pinocchio. Colin
Powell che mostrava i mezzi che trasportavano i gas iracheni... La pistola
fumante... Le armi chimiche... O abbiamo già dimenticato? E ha continuato
a essere guerra di Pinocchio anche quando Bush è salito sulla portaerei
per dire che era finita. Invece cominciava, a quanto pare. E la parola
“dopoguerra” non è un'altra delle bugie di Pinocchio?"
Quali le tue impressioni nel giorno della strage.
"Sentivo alla Camera i discorsi di D'Alema, Fassino, Rutelli: è
il giorno della solidarietà – dicevano -, rimandiamo a domani. Ma
io mi sento di dire che una giornata grigia è diventata per me doppiamente
grigia, perché i ragazzi italiani muoiono in conseguenza di Pinocchio.
Io non sono mai stato un pacifista ad oltranza. A esempio, ero perfettamente
d'accordo con la missione in Kossovo e la linea del governo italiano. Non
fui per niente d'accordo con la guerra in Afghanistan perché in
realtà non si faceva la guerra al terrorismo, e a maggior ragione
con questa in Iraq."
Spiega la tua contrarietà.
"C'è una logica tremenda: le nazioni che stanno pagando di più,
in termini di vite umane, sono gli Usa, l'Inghilterra, e ora arriva l'Italia.
Ciò significa che se anche noi non abbiamo combattuto la guerra
in Iraq, ne siamo ritenuti in qualche modo corresponsabili."
Hanno sparato anche sulla Croce Rossa...
"Anche sull'Onu, se è per questo. E dire che l'Onu aveva una
posizione contraria a questa guerra. Ma ciò significa che si è
prodotto ciò che paventano i più critici osservatori. Ricordo
una frase del ministro degli esteri turco: attenzione, state andando a
scoperchiare il vaso di Pandora. Credo che in Iraq stia venendo fuori un
potenziamento di tutti i territori, miscelato a un insorgente nazionalismo
iracheno. Una miscela ad altissimo potenziale esplosivo che sta avendo
un'accelerazione geometrica."
Bush sostiene che il colpo di coda è tanto più forte
quanto maggiori sono i risultati nella normalizzazione del paese.
"Altra bugia. Non si costruisce nulla con l'uso delle armi. Questa
stessa frase potrebbe essere usata da qualsiasi popolo oppressore contro
quelli che difendono la loro libertà."
Non condividi la definizione di “terrorismo” per definire quanto
sta accadendo a Baghdad e dintorni?
"Vorrei prima di tutto che si definisse esattamente, una volta per
tutte, la parola terrorismo. Quando ammazzano D'Antona e Biagi o quando
mandano il pacco esplosivo che scoppi in faccia al povero carabiniere,
io, onestamente, cerco di dare una definizione alla parola: è terrorismo
bello e buono. Ma quando c'è un esercito occupante dentro una nazione,
qual'è la sottile linea di demarcazione fra azione terroristica
e azione bellica? Se non ci chiariamo questi punti, è difficile
combattere il terrorismo."
Potrebbero obiettarti che è l'uso del kamikaze a rendere
terroristica l'azione in sé.
"Non sono d'accordo neanche su questo. La cosa che alla nostra mentalità
ripugna è il fatto che possa costruirsi un uomo che sia una micidiale
macchina da guerra. Ma se tu non hai micidiali armi da guerra che puoi
scindere da te, lasciare in caserma, tornando a essere un uomo fuori dall'orario
di servizio, sei costretto a farti arma. E a esserlo sempre, sin quando
sei vivo. Il soldato combattente, nel momento in cui ingaggia un conflitto
a fuoco, spera sempre di non imbattersi nella pallottola mortale, mentre
il kamikaze sa che l'atto di guerra si identifica fatalmente nella sua
stessa morte."
Dicono che quanto accade sia opera esclusivamente di terroristi.
"Torno a dire: siamo sicuri di questa definizione? Ormai – e lo dico
paradossalmente – vorrei cominciare a vedere qualche carta d'identità
di questi terroristi. Non credo più alla guerra di Pinocchio. L'ipotesi
che siano iracheni delusi dagli americani, iracheni ancora fedeli a Saddam,
l'ipotesi che ci sia ancora un esercito di 300 mila uomini rimasto senza
stipendio, che ci sia ancora la guardia repubblicana... Sarebbe l'ipotesi
ottimale. Ipotesi ben peggiore è che ci sia stata la saldatura con
il terrorismo. E torniamo al vaso di Pandora. Bin Laden compare in filmati
mentre conduce una serena vita di campagna. Nonostante due guerre Saddam
è ancora vivo. Almeno Milosevic è finito di fronte a un tribunale
internazionale."
Quando finirà quest'incubo?
"Auspico che i ragazzi italiani siano ritirati il prima possibile.
Questa nostra missione si innesta su una guerra equivoca. Ancora oggi,
al di là di menzogne e retorica, non ne conosciamo il vero scopo.
Nel Libano non fummo attaccati perché era tutto chiaro. Con le nostre
ambiguità stiamo dando agli iracheni la possibilità di fare
di tutta l'erba un fascio. Concordo con il senatore Andreotti, il quale
ha lucidamente sollevato l'anomalia di questa nostra presenza in Iraq."
Con l'aria che tira non vedi il rischio di gratuite accuse di diserzione?
"E perché? La Germania ha mandato uomini? La Francia ha mandato
uomini? Il Giappone che aveva promesso uomini, non tergiversa ancora oggi?
O forse vorremmo dire per questo che Germania, Francia, Giappone, e tanti
altri stati, siano disertori o renitenti di fronte alla guerra al terrorismo?"
Spiega questa differenza.
"Una cosa è appoggiare alcuni eserciti che senza mandato internazionale
sono andati a occupare un paese. Altra cosa è fare la guerra mondiale
al terrorismo. Noi italiani non possiamo più essere accusati di
niente. Abbiamo dato diciotto simboli, carabinieri, militari, civili che
sono i rappresentanti della migliore Italia. Ora potremmo andarcene. In
Somalia gli americani appena sentirono puzza di bruciato si ritirarono.
Anche all'amministrazione Bush converrebbe seguire quella strada... Da
quando Bush ha detto: “Mission Accomplished”, in Iraq è cominciata
la guerra. E purtroppo non posso fare altro che constatare che la democrazia,
da quelle parti, è una merce che ancora non è arrivata..."
Saverio Lodato
Il Secolo XIX,
14.11.2003
Un gigolò per la malinconica Gerini
Sugli schermi "Al cuore si comanda" esordio del figlio d'arte Giovanni
Morricone
«Ma è il ruolo più distante da me che abbia mai
interpretato»
[...]
Da venerdì 21, su un centinaio di schermi, va in scena "Al cuore
si comanda", film d'esordio di Giovanni Morricone (già regista tv
per "Un posto al sole"), spalleggiato per le musiche dall'illustre padre
Ennio e dal fratello Andrea, sorretto dalla sceneggiatura di Rosa Menduni
e Roberto De Giorni, che porteranno in tv il romanzo di Andrea Camilleri
"La scomparsa di Patò", acquistato dalla Rai.
[...]
Maricla Tagliaferri
Corriere della sera (ed.
di Roma), 14.11.2003
Montecitorio
Gli Indesiderabili, un libro e un film
«Gli Indesiderabili» al cinema e in libreria. Oggi sarà
presentata la nuova edizione del libro di Giancarlo Fusco, che l’editore
Sellerio ripropone con un’introduzione di Andrea Camilleri. Saranno presenti
il regista Pasquale Scimeca e gli attori dell’omonimo film, che sempre
oggi esce nelle sale.
LIBRERIA MONTECITORIO
ore 17.30, piazza Montecitorio 59, tel. 06.6781103
La Nazione,
14.11.2003
Pisa
Pontedera — Il commissario Salvo Montalbano, affascinante eroe di carta
nato dalla penna del giallista Camilleri è oggetto, dell'odierna
lezione per il ciclo «Libri ed autori» in programma all'Università
della Terza Età.
Il dottor Roberto Cerri, curatore del programma, tiene infatti alle
15.30 la prima conferenza su «Giallisti italiani contemporanei: da
Camilleri a Fois». Apuntamento nella sede di via Della Stazione Vecchia,
12.
La Sicilia, 14.11.2003
«Dalla novella al teatro»
Iniziativa teatrale per la scuola al «Pirandello» di Agrigento.
Il sindaco Aldo Piazza, con l'assessore alla Cultura Maurizio Bonomo, ieri
mattina nel foyer del Teatro hanno presentato la rassegna teatrale dedicata
ai giovani e denominata «Dalla novella al teatro».
Gli spettacoli, che offriranno un'interessante opportunità agli
studenti delle scuole medie, prenderanno il via dalla giornata di domattina
alle ore 9 con la Compagnia dell'Isola che metterà in scena la commedia
«La lupa» di Giovanni Verga, e proseguiranno fino al marzo
prossimo.
L'iniziativa dell'Assessorato alla Cultura e del Piccolo teatro Città
di Agrigento, con la collaborazione dei docenti intende offrire un valido
supporto didattico, oltre che occasione per un'attività di ricerca
sul Teatro e sulle opere di Verga e Pirandello.
Il secondo appuntamento è fissato per il 30 e 31 gennaio prossimi
con la commedia: «A birritta cu i ciancianeddi» tratta dalla
novella di Pirandello «Il berretto a sonagli». Il 20 e 21 febbraio
sarà portato in scena «Il Vitalizio» di Andrea Camilleri
sempre tratta dall'omonima novella del drammaturgo agrigentino a cui è
ispirata proprio questa speciale rappresentazione. Il 12 e 13 marzo sarà
la volta de: «Giarra» atto unico tratto dalla novella «A
Giara» ed infine «Amicissimi».
Cinque commedie che potranno essere viste dagli studenti delle scuole
medi e superiori. Cinque spettacoli che sono molto divertenti e che saranno
sicuramente apprezzati dagli studenti.
Per informazioni i vari istituti scolastici, potranno chiamare il numero
0922 - 590273.
«Malgrado i problemi economici - dice l'assessore alla Cultura
Bonomo - siamo riusciti ugualmente ad allestire un programma interessante
che sicuramente entusiasmerà gli studenti che verranno a vedere
le varie rappresentazioni teatrali. Si tratta di cinque rappresentazioni
che riguardano il nostro più illustre cittadino».
Stamattina prima rappresentazione quindi alle ore 9 e già c'è
il tutto esaurito. La Compagnia dell'Isola si è già più
volte esibita nella città dei templi riscuotendo sempre notevolissimi
consensi.
Gaetano Ravanà
Avvenire, 15.11.2003
Andrea Camilleri
La presa di Macallè
Sellerio. Pagine 276. Euro 10,00
Schermato da una lingua di difficile decodificazione, che impasta il
dilagante sostrato dialettale siciliano con gli ingredienti sofisticati
di un laboratorio teso a renderlo ancora più ermetico, il romanzo
"La presa di Macallè" di Andrea Camilleri convoglia in pagine plastificate
e ludiche (ma non difese dal sorriso) i segnali di un micromondo a prima
vista ricavato da una realtà aspra e concreta dalla quale tuttavia
fugge, trascinato dalla sua struttura retorica.
Traspare una gabbia lessicale e stilistica che, deputata a custodire
l'affabulazione, stringe invece la favola per cogliervi gli esiti astratti
e non i metaforici mezzi in grado di configurare destini e storie. Protagonista
improbabile, Michilino, "vicino a se' anni ma sperto", è avviato,
senza alcun plausibile percorso interiore, alla violenza e all'orrore.
Intorno a lui ruotano situazioni crude, aggressive e materiali in cui si
avvicendano le reciproche infedeltà ed effusioni amorose dei genitori,
la proterva impudicizia della cugina Marietta, le "farfanterie" degli altri,
che fanno "piangere a Gesù", e le troppe "cose vastase", profuse
dal rissoso cipiglio del racconto.
Evasioni dal soffocante assedio di brutture sono le scorribande fantastiche
nel "Fariguest", per un "picciliddro" che, vestito da Figlio della Lupa
e armato di moschetto, dà pure la caccia ai feroci "bissini" in
uno scenario di cartapesta.
Corre il 1935, anno della guerra coloniale. A pieno volume Camilleri
rovescia una rappresentazione monocorde e grottesca delle abitudini di
un piccolo centro isolano durante il fascismo.La sbilanciata ottica dissacratoria
non permette la ricostruzione articolata di un'epoca, ma spettacolarizza
luoghi di maniera, sortendo effetti iperbolici. ne consegue un testo adulterato,
folto di personaggi convenzionali. Non sembra credibile neppure Michilino
che, in un delirio mistico e ideologico, trucida un coetaneo, reo di essere
il figlio di un sarto comunista così audace da esprimere un giudizio
negativo sui figuranti di una messinscena pubblica della presa di Macallè.
Mentre una stucchevole tessitura contrappuntistica sciorina i discorsi
radiofonici di Mussolini, le frasi di propaganda e le canzoni del tempo,
il caravanserraglio della narrazione si avvia al diapason. Sentendosi "gran
piccatore", Michilino si accoltella in chiesa ed entra in uno "scuru profunno"
dal quale riemerge guarito, tanto da inviare al padre una "littra nonima",
ritagliando da esperto i caratteri da un vecchio giornale. Ora ha sette
anni: maturo, secondo la logica del libro, per la granguignolesca conclusione.
Giuseppe Amoroso
La Sicilia, 15.11.2003
«Teatro» chiude la Fiera
Il convegno «Scrivere la Sicilia» conclude i lavori della
terza edizione della Fiera del libro. Oltre alla cerimonia di chiusura,
prevista per domani alle 18, oggi stessa ora, nei locali della Galleria
civica d'arte contemporanea Montevergini, l'incontro dedicato alla Sicilia,
intesa anche come riferimento culturale e luogo di ispirazione poetica,
attraverso alcune opere di Andrea Camilleri, Laura Di Falco e Lucio Piccolo,
attinenti il tema e con riguardo al teatro, alla prosa e alla poesia. Il
volume «Teatro» di Camilleri e Giuseppe Dipasquale, edito da
Arnaldo Lombardi, sarà il primo ad essere esemplificato dai relatori,
nel quale sono espresse le versioni teatrali de «Il birraio di Preston»
con il quale Camilleri ha vinto il premio Vittorini nel '96, «Troppu
trafficu ppi nenti» tratta da Shaekspeare e de «La cattura»
di Luigi Prandello.
Nell'ambito della prosa, sono state scelte alcune opere di Annalucia
Carpinteri, meglio conosciuta con il nome d'arte Laura Di Falco. In particolare,
«L'inferriata», edita da Rizzoli, e due delle ultime realizzate
dalla scrittrice scomparsa recentemente: «Figli e fiori» e
«Racconti», edite da Lussografica. Nella seconda, specificatamente,
l'artista canicattinese scrive di Siracusa, di alcuni personaggi aretusei
e della «Malattia di Ortigia», come le stessa definisce nel
testo, vincendo il premio Vittorini dell'edizione 2000.
Per la poesia, gli organizzatori hanno scelto alcuni testi di Lucio
Piccolo, un poeta palermitano, scomparso alla fine degli Anni 60, schivo
e un po' misantropo, come definito dagli estimatori delle sue opere, tratti
da «Poesie» una raccolta di versi edita da Sciascia.
Gli attori Maria Teresa D'Andrea e Pippo Bianca del «Teatro stabile
di Sicilia», interpreteranno alcuni brani dei tre autori. Al convegno
interverranno i docenti universitari Antonio Di Grado, Ferdinando Gioviale,
Natale Tedesco e Mario Tropea, il giornalista de «La Repubblica»
Salvatore Ferlita, il regista Giuseppe Dipasquale ed il presidente della
Società «Dante Alighieri di Siracusa Gioia Pace. Al termine
dell'incontro, organizzato dagli «Editori del sole», sarà
offerto ai partecipanti un rinfresco «marinaro» curato da «Mare
nostrum».
Giorgio Italia
Libertà,
15.11.2003
Protagonisti del romanzo di Varesi
Un commissario buongustaio nelle nebbie del Po
Un commissario amante della buona cucina parmense e del sigaro toscano.
E un fiume, con le sue piene, i suoi misteri, le nebbie. Sono loro,
il commissario Soneri e il grande Po, i protagonisti del noir “Il fiume
delle nebbie”, l'ultimo romanzo di Valerio Varesi, pubblicato dalla casa
editrice Frassinelli. Altri ingredienti: la memoria della lotta partigiana,
gli abitanti bizzarri della Bassa padana, la musica verdiana. Quanto basta
per incuriosire il lettore.
Abbiamo incontrato l'autore in occasione del suo intervento, ieri sera,
al centro di formazione permanente dell'istituto comprensivo di Fiorenzuola
(dove è stato introdotto da Luigi Ragazzi dell'associazione culturale
Aquilone Emilia). Varesi, classe 1959, cresciuto a Parma, lavora a Bologna,
nella redazione di Repubblica. Il suo esordio da scrittore risale al '98,
con “Ultime notizie di una fuga”; nel 2000 Varesi pubblica “Bersaglio l'oblio”
in cui compare la figura del commissario buongustaio Soneri; nel 2002 “Cineclub
del mistero”. Quest'anno arriva “Il fiume delle nebbie”, selezionato per
il più prestigioso premio di narrativa italiano, lo Strega.
Lo definiresti un giallo poliziesco o un noir?
«Un po' tutti e due: in effetti mi muovo al limite del genere,
specie in quest'ultimo lavoro, dove è presente un'investigazione,
che lo riconduce al genere poliziesco, ma dove ci sono anche atmosfere
tipicamente noir. Coniugare i generi ti permette di raccontare storie che
abbiano una vita a sé stante.
Come questa del delitto del fiume, che affonda le sue radici nella
memoria?
«C'è un delitto che si scopre essere una vendetta consumata
dopo oltre 40 anni. Quindi si rivive anche la storia dei repubblichini
di Salò (a confronto con una destra di oggi più cialtrona
e depurata persino degli ideali) e dei comunisti delle Brigate Garibaldi,
dall'altra (alcuni sono diventati socialdemocratici). E' una memoria che
si riverbera sul presente, in un mondo che oggi purtroppo non ha memoria».
Soneri è stato definito un commissario buongustaio. Perché?
«E' un parmense, e l'agroalimentare è la cifra di questa
terra. In questo libro passa molto tempo all'osteria del Sordo, mangiando
spalla cotta e bevendo Fortanina (un vino che si fa nella Bassa, tipico
di San Secondo), ascoltando musica verdiana. Poi c'è Barigazzi,
capo circolo nautico e vero animale di fiume (“Nessuno ribatteva niente
a Barigazzi perché col fiume ci andava a letto”)».
Il fiume Po: svolge una parte importante nell'intreccio investigativo?
«Il fiume entra nella dinamica del delitto, perché i corpi
vengono portati alla deriva da una chiatta che arriva in una golena. Il
Po, con le sue piene, i suoi percorsi dà il ritmo alle indagini
e quindi all'intero romanzo».
Dopo Montalbano di Camilleri, dovremo abituarci alle inchieste del
tuo Soneri?
«Soneri è diverso da Montalbano, non è così
estroverso. Ha accanto una donna, Angela, molto combattiva, avvocatessa,
di grande impeto. E' un commissario intimista, un po' come Ciccio Ingravallo
del “Pasticciaccio” di Gadda».
Hai citato Gadda, tra i padri del giallo nella nostra letteratura.
«C'è una tradizione tutta italiana del giallo, che annovera
appunto “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, Sciascia e soprattutto
Giorgio Scerbanenco; e - tra quelli meno conosciuti - Loriano Macchiavelli,
oppure “La donna della domenica” scritto a quattro mani da Fruttero e Lucentini».
Donata Meneghelli
Gazzetta del Sud,
17.11.2003
“La presa di Macallè” di Andrea Camilleri: un relitto di bolso
neorealismo
Michelino non fa né ridere né piangere È soltanto
una maschera priva di senso
ANDREA CAMILLERI La presa di Macallè - Sellerio pagine 205 -
euro 10,00
Una lingua di non facile decodificazione, che impasta un imponente sostrato
dialettale siciliano con gli ingredienti sofisticati di un laboratorio
attivo nel renderlo ancor più ermetico, fa scendere una barriera
imperforabile tra il lettore e il romanzo di Andrea Camilleri, La presa
di Macallè. Le pagine plastificate e ludiche (ma non difese dal
sorriso) si susseguono i segnali di un micromondo a prima vista ricavato
da cose aspre e concrete, marmorizzate nel buio. Da quel carnale e misero
recinto di tenebrosi affanni e turpitudini fugge la vita piena e il suo
racconto, trascinato dalla propria fattura in vitro, da un atlante di espressioni
criptiche, poco illuminate dalla circolazione di forme enfatiche e artificiali.
Una topografia lessicale e stilistica, deputata all'affabulazione, non
colpisce il bersaglio ma corteggia la favola più per i suoi esiti
astratti e stilizzati che per i metaforici toni e mezzi in grado di configurare,
nell'ampio spettro delle mosse, i destini e le storie. Bambino «vicino
a se' anni ma sperto», Michilino, figlio del camerata Giugiù,
è il protagonista improbabile, avviato senza alcun approfondimento,
verso la violenza e l'orrore, in un teatrale inferno di visioni contorte.
Intorno a lui ruota una realtà cruda, aggressiva e materiale, troppo
affondata nella carne, in cui si avvicendano con un ritmo prevedibile le
reciproche infedeltà e le effusioni amorose dei genitori, la proterva
impudicizia della cugina Marietta, le «farfantarie» degli altri,
che fanno «piangere a Gesù», e le troppe «cose
vastase» profuse dal rissoso cipiglio del racconto, ma stanco di
ripetersi e di ingannarsi. Evasioni dal soffocante assedio di brutture
sono le scorribande fantastiche in un «Fariguest» di indiani
di cartapesta, per un «Picciliddro» che, vestito da Figlio
della Lupa e armato di moschetto, dà pure la caccia ai feroci «bissini».
Corre infatti il 1935 e infuria la guerra coloniale, che lo scrittore non
storicizza ma deforma riducendola a un grossolano fenomeno da baraccone.
A pieno volume Camilleri rovescia un resoconto monocorde e grottesco delle
abitudini di un piccolo centro isolano, la Vigàta dei suoi triti
intrecci romanzeschi, durante il fascismo. La sbilanciata ottica dissacratoria
non permette la ricostruzione articolata e sfumata di un'epoca, ma spettacolarizza
meccanicamente una messe di luoghi comuni, sortendo inevitabili effetti
iperbolici e gratuiti. Ne consegue un testo adulterato, folto di personaggi
convenzionali, di situazioni alle quali il paradosso restringe, se non
azzera, la funzione narrativa. Non giunge sostanza civile e fantastica,
a una virgola di vita ch'esiste solo nell'officina di chi la vuole creare
mediante colori carichi ed espansi, e ossessioni e passioni spesso cartacee,
di repertorio, costrette in schemi rigidi. Per contro, qualche scena sorpassa
la necessaria tenuta strutturale per precipitare in un barocco ingorgo
di vertigine, in cui si stipano tutti gli spunti più plateali e
grevi: «Michilino s'inginucchiò davanti al Crocifisso e si
mise a parlari col Signuruzzo: "Tu lo sai già" disse "quello che
aieri feci per tia". E allura capitò il miraculu. La faccia tormentata
di Gesuzzu si spianò, il sangue sulla fronti scomparse, l'occhi
voltati al cielo si calarono a lento verso di lui, la vucca s'allargò
in un sorriso appena appena accennato. "Tu sei mio" fece Gesù. E
poi la sufferenzia come un armàlo sarbaggio nuovamenti s'avvintò
supa a quella faccia, l'assugliò, la muzzicò, ancora e ancora
la stracangiò in lagrime, sangue, duluri». Qui non si sa più
dove ascoltare il battito della realtà libera, nel solco della sua
sterminata e ambigua misura di vertici e di abiso: non dai laidi manichini
del pedofilo professor Gorgerino e del ragionier Galluzzo, del licenzioso
padre Burruano e della vedova Sucato, presa dai suoi rozzi giochi di seduzione.
E non è credibile Michilino, sessualmente superdotato, che, in un
delirio mistico e ideologico, trucida un coetaneo, reo di essere il figlio
di un sarto comunista così audace e incauto da esprimere un giudizio
negativo sul mal distribuito numero dei figuranti nella messinscena, realizzata
nel campo sportivo, dalla resa del forte di Macallè. Con il contrappunto
dei discorsi alla radio di Mussolini, delle notizie del fronte («Il
jorno sei di ottobiro, di primo doppopranzo, la radio disse che le nostre
truppi che venivano dalla Ritrea avivano occupato Adua. 'U papà
satò dalla seggia ad appizzare la bandierina supra la carta geografica»),
delle canzoni in voga, dei codici della propaganda, il caravanserraglio
della narrazione tocca l'acme. Sentendosi «gran piccatore»
(«Come 'a mamà. Pirchì macari se la mamà era
'nnamurata di patre Burruano, non doviva fari cose vastase con lui. Doviva
assolutamenti farsi pirdonari da Gesuzzo»), Michilino si accoltella
in chiesa cadendo in uno «scuro profunno» da cui riemerge «guarutu»,
pronto ad «andari macari all'adunata del sabato fascista»,
e a scrivere al padre una «littra nonima», preso da gelosia
per il fatto che «Marietta era incatinata con l'occhi in quelli do
papà». Da consumato delatore, ritaglia i caratteri da una
copia di un vecchio giornale («Ci mise un tri quarti d'ura a trovari,
ritagliari e incoddrari le littre del flabeto». Ora ha sette anni:
maturo, secondo la logica del libro, anche per la granguignolesca conclusione,
nello stravolgimento che tutto inghiotte nel gran rogo. Sembra un relitto
del più bolso neorealismo, ma scritto coi segni di un'accademia
triste, questo romanzo senza luce, cupo: perché così lo vuole
la manichea visione di un pezzo della nostra storia che da ben altri più
sereni occhi attende uno sguardo, anche per raccontare le anonime storie
di ancor più anonimi personaggi. E un gran passo in avanti è
stato fatto in tal senso, dal bel romanzo I figli dell'Aquila di Giampaolo
Pansa, in cui si fondono, grazie a una prosa attenta e a volte musicale,
lirismo, pietà e cronaca senza veli.
Giuseppe Amoroso
Gazzetta del Sud,
17.11.2003
La pellicola dedicata al giudice e agli uomini della scorta uccisi
nel 1992
Omaggio agli «Angeli di Borsellino»
Brigitta Boccoli nei panni di Emanuela Loi
ROMA – Per non dimenticare. Per ricordare le vittime della mafia, per
onorare i nostri eroi: in particolare, il giudice Paolo Borsellino e gli
uomini della sua scorta che, il 19 luglio 1992, a Palermo, furono uccisi
in un agguato. Il film «Gli angeli di Borsellino» di Rocco
Cesareo, rievoca quei tragici fatti e anche le settimane che lo precedettero:
quei cinquantasette terribili giorni che trascorsero dall'attentato di
Capaci, dove furono massacrati dalla mafia il giudice Giovanni Falcone,
sua moglie e la sua scorta. Protagonisti de «Gli angeli di Borsellino»,
da venerdì prossimo nei cinema, Tony Garrani nel ruolo di Borsellino,
Pino Insegno in quello del capo scorta Agostino Catalano, Brigitta Boccoli
in quello di Emanuela Loi, uno dei sei agenti della scorta, e ancora Alessandro
Prete, Vincezo Ferrera, Benedicta Boccoli, Cristiano Morroni, Francesco
Guzzo, Sebastiano Lo Monaco, Ernesto Mahieux. «C'è bisogno
di esporsi e oggi, senza strumentalizzare il dolore per l'Iraq per lanciare
questo film – dice Rocco Cesareo – mi sembra che ce ne sia ancora più
bisogno. Abbiamo cercato di fare un film senza retorica né dietrologismi
politici, ma semplicemente pensando che non bisogna dimenticare queste
persone che si sono sacrificate per le istituzioni e che bisogna vigilare
perchè questi orrori sono sempre dietro l'angolo». Il film,
ispirato al libro di Francesco Massaro «La ragazza poliziotto»,
ricostruisce (prendendosi soltanto piccole libertà) i cinquantasette
giorni trascorsi dalla strage di Capaci a quella di via D'Amelio, rivissuti
attraverso la figura di Emanuela Loi, una ragazza di Sestu, in provincia
di Cagliari, nella scorta di Borsellino (in realtà ne era entrata
a far parte soltanto due giorni prima della strage) insieme a Eddie Cosina,
Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano e Antonio Vullo, l'unico
sopravvissuto all'attentato. «La scorta di Borsellino era formata
da ragazzi coraggiosi, solidali, con tanta voglia di vivere. Nessuno di
loro – sottolinea il regista – pensava di morire. Hanno ubbidito a ordini
superiori, portando a termine la missione. Come i notri soldati a Nassirya».
Ugo Barbara, sceneggiatore del film con Mirco Da Lio, Massimo Di Martino
e Paolo Zucca, ricorda il cambiamento di clima sociale innescato dalla
strage di via D'Amelio. «Una sorta di rivoluzione civile che ha cambiato
l'atteggiamento delle persone e delle istituzioni nei confronti della mafia.
Quella strage – dice Barbara – è stata definita da Andrea Camilleri
il nostro Ground Zero. E aveva ragione». Conferma il regista: «Il
sacrificio di quegli eroi ha creato come uno spartiacque nell'atteggiamento
di tutti i cittadini e delle istituzioni nei confronti della mafia».
Alla presentazione del film ha partecipato anche Emilia Catalano, madre
di Agostino Catalano, il capo della scorta. «Ho ancora negli occhi
il sorriso di mio figlio, e Pino Insegno me lo ha restituito», dice
commossa, al termine della proiezione. «Ero una semplice casalinga,
dopo la morte di mio figlio sono diventata una donna battagliera. Vado
nelle scuole – racconta – e parlo ai giovani di amore, pace e solidarietà.
E soprattutto di legalità. Troppe persone sono morte e continuano
a morire per la legalità e la democrazia, ma spero che il loro sacrificio,
il sacrificio di mio figlio, almeno non sia vano».
Beatrice Bertuccioli
Il Mucchio Selvaggio,
n° 555, 18.11.2003
Andrea Camilleri, La presa di Macallè
Sellerio, pp.274, euro 10,00
Ha ottime ragioni per essere fiero del figlio Michelino il camerata
Giugiù Sterlini, camicia nera capoccia nella solita, mitologica
Vigàta di Camilleri colta questa volta intorno alla metà
degli anni '30, pazza di patriottico entusiasmo per la guerra coloniale
con l'Etiopia e orgogliosa di avervi contribuito con il sangue di un unico
caduto (aspettate, vigatesi, aspettate e vedrete): il fanciullo, che sta
crescendo nel culto di Mussolini e di Gesù prestando magari troppa
e malintesa attenzione ai distorti insegnamenti di quest'ultimo, apprende
in fretta, avendo intelligenza vivissima, ed è da tutti benvoluto.
A dire il vero pure se non soprattutto per un'imbarazzante anomalia fisica:
a sei anni, porta fra le gambe la dotazione di un adulto. Il che ne fa
suo malgrado una star in un paese in cui tutti paiono preda di terminale
priapismo, dal babbo che cornifica la mamma con cameriere e parenti strette,
al parroco che dà modo a mammà di render pariglia, al maestro
pedofilo che illustra al ragazzetto, unendo la pratica alla teoria, come
gli spartani fossero i fascisti dell'antichità. Sesso vissuto da
tutti con sensazionale ipocrisisa.
Irresistibilmente farsesco (la voce tonante del Duce sommamente afrodisiaca
per Michelino) fintanto che non comincia a inzupparsi di sangue, La presa
di Macallè potrebbe essere scambiato per una parabola sulla perdita
dell'innocenza. A renderlo terrificante è al contrario proprio il
fatto che il ragazzino conserva fino alla fine quella sua innocenza assoluta
ed è la purezza di cuore in un mondo impuro a renderlo un perfetto
omicida seriale. Fino al rogo purificatore che tutto cancella.
Giudizio: ****
(Legenda: *****imperdibile, ****formidabile, ***adorabile, **apprezzabile,
*leggibile, °prescindibile, °°illeggibile)
Eddy Cilìa
Il Messaggero,
18.11.2003
L’intervista/ Francesco Guccini, cantautore-mito. Il nuovo libro su
Bologna, gli anni 60, l’influenza di Gadda e Dylan. E i luoghi dell’infanzia
«Tornare alle radici, ecco la vita nuova»
TRE libri, una vita. 1989: Cròniche epafàniche , sull'infanzia
a Pàvana, sull'Appennino, dove oggi vive buona parte dell'anno.
1993: Vacca d'un cane , sull'adolescenza a Modena nei tardi Anni Cinquanta.
(Tutt'e due pubblicati da Feltrinelli). 2003: Cittanòva blues ,
sulla Bologna degli Anni Sessanta. L'ultimo atto della trilogia è
in libreria da qualche giorno (Mondadori, 218 pagine, 15 euro). Francesco
Guccini, modenese, 63 anni, cantautore-mito di più di una generazione,
narratore (con Loriano Macchiavelli ha scritto tre romanzi gialli e la
raccolta di racconti Lo spirito e altri briganti ; con Giorgio Celli e
Valerio Massimo Manfredi Racconti d'inverno ), rievoca la vita picaresca
dei “musici” di quel decennio nella città felsinea; i complessi,
«allora si nomavano complessi, ed erano di là da venire i
tempi dei gruppi, e poi quello delle band, come la band d'Affori»;
il sesso (molto parlato); i bar; le morose; la naia; le osterie e le grandi
bevute; la Cento Scudi (la Cinquecento); il tràppolo (la «garsoniera»),
l'Eskimo e l'imbottito McGregor; la deludente esperienza americana (che
non è una stravagante divagazione). E racconta, l'autore, con una
prosa affatto personale, lirica e poetica, imbevuta di dialetto, espressioni
gergali, termini antichi, ampiamente spiegati nel divertente, divertito
e ricco glossario a fondo libro.
Parliamo al telefono. Chiedo:
«... e ti sembra che mala gente imbastardita ti circondi e vuoi
fuggire da un luogo che più non conosci, non senti come tuo...».
Che cosa mortifica e offende oggi Bologna, la Grassa Signora, la Vecchia
Bòsa?
«Era una città a mezza strada fra la grande città
e la città di provincia. Io ci sono andato negli Anni Sessanta ed
era, fuor di retorica, a misura d'uomo: un bellissimo posto nel quale abitare.
Quando mi spostavo a Roma o a Milano non vedevo l'ora di tornare; dicevo
ai romani e ai milanesi: “Sì, si sta bene qui. Ma Bologna è
un'altra dimensione”. E tutti ne convenivano. Era una città po'
sognata: le dimensioni non erano tanto grandi; ci si poteva spostare a
piedi; se si prendeva la macchina per andare al cinema, si parcheggiava
a 100 metri ed era già una grande distanza. Ma questo del traffico
è un problema di tutte le metropoli. Negli Anni Settanta è
arrivata l'eroina: ha prodotto una serie di avvenimenti a catena che le
hanno cambiato il volto; è cambiata anche la mala. Conoscevo persone
di non ottima fama, con le quali si poteva convivere. Adesso...».
La immalinconisce anche che nessuno parli più il dialetto?
«Il bolognese aveva questa caratteristica: diceva una frase in
dialetto e immediatamente la traduceva in italiano. Non accadeva da nessuna
parte. Il dialetto si sente ancora nella cintura, piccoli paesi attorno
a Bologna: Granarolo, Minerbio... A Bologna neanche i giovani lo parlano
più».
Per questo ne ha fatto largo uso in “Cittanòva blues”?
«C'è anche negli altri due romanzi. Uso l'italiano parlato.
Adopero il gergo, che è pro prio di quegli anni. E questo per una
ricerca espressionistica sul linguaggio che faccio da tempo».
Non teme che possa disorientare i lettori di altre regioni?
«E' un problema che mi son posto. Mi è piaciuto scrivere
così. E' un'occasione in più per giocare e lavorare attorno
alle parole, cercare di capire. Penso al gran successo che ha avuto Andrea
Camilleri, che non è di facilissima lettura: soprattutto l'ultimo
romanzo è tutto in siciliano».
[...]
Il maresciallo Santovito, che ha inventato con Macchiavelli, si misurerà
anche con i nostri giorni?
«Con i nostri giorni no, perché sarebbe troppo vecchio,
o addirittura, Dio non voglia, già morto. Noi lo abbiamo datato.
Ma, un po' perché mi dispiace, e forse anche a Loriano, abbandonarlo,
proprio ieri mi è venuta una mezza idea che sottoporrò a
Macchiavelli e vediamo se riusciamo a fare qualcosa a posteriori, a sviluppare
una storia».
[...]
Luigi Vaccari
Libertà,
19.11.2003
L'intervista
«Racconto l'Italia con le sue devianze»
Domenico Cacopardo con “La mano del Pomarancio” domani a Piacenza
[...]
Qualcuno l'ha chiamata “l'anticamilleri”, vedendo nei suoi libri l'antitesi,
o l'antidoto, a quelli di Camilleri. Si ritrova in questa definizione?
«No. Abbiamo tante cose in comune io e Camilleri, come la sicilianità,
il fatto che abbiamo cominciato a scrivere e a pubblicare molto tardi,
il fatto che scriviamo sia romanzi storici che romanzi polizieschi, e purtuttavia
il nostro background culturale è completamente diverso, così
come il lavoro sul linguaggio. Il lavoro sul linguaggio di Agrò
è infatti volto a rendere leggibile il linguaggio della burocrazia,
della conventicola del Palazzo, mentre Camilleri scrive un siciliano visto
con gli occhi di chi dalla Sicilia si è allontanato. Insomma, ci
sono differenze sostanziali eppure ci sono anche tante cose che ci accomunano,
per cui posso dire che “anticamilleri” non mi ci sento affatto».
[...]
Caterina Caravaggi
Carta, 20.11.2003
Tra ricordi e sguardi sulle omissioni del presente
Silenzi di fondo
Intervista ad Andrea Camilleri
L'intervista (del 5 novembre 2003) è stata realizzata per Carta
e Arcoiris Tv in occasione
del convegno Potere mafioso e movimento antimafia tenuto a Brescia
l'8 novembre 2003.
L'intero
video dell'intervista è disponibile sul sito di Arcoiris Tv.
Andrea Camilleri ci riceve in salotto. E non si direbbe un caso, perché
la cordialità e la simpatia che trasmette sono immediate, semplici,
affascinanti. Come quel pupo siciliano, a grandezza quasi naturale, che
ci osserva divertito nell’angolo in cui ci sistemiamo per l’intervista.
La prima domanda è per un amico: Manuel Vázquez Montalbán.
“Non ho voluto dire nulla di Manolo perché sono rimasto molto colpito.
Dovevamo vederci in Sicilia da qui a un mese. Era una mente lucidissima
dal punto di vista politico, un uomo di straordinaria simpatia dal punto
di vista umano. Credo che sia morto come voleva, cioè non curante
del fatto che era stato operato al cuore. So che fino all’ultimo ha continuato
a mangiare le sue cose spaventose. A me è capitato con lui, alle
nove del mattino, alla Boqueria [il mercato delle Ramblas di Barcellona,
ndr] di mangiare sanguinaccio insaccato: una cosa che, alle nove del mattino,
distruggerebbe chiunque. Però posso dire una cosa su una coincidenza
che trovo bellissima. Lui è morto alle 6, corrispondenti alle 18
nostre. Mia figlia mi ha portato alle 18.30 l’ultimo libro che lui mi aveva
mandato. Non sapevo che fosse morto. Ho detto ‘Manolo mi ha mandato l’ultimo
libro suo’. Si chiama Happy end e il sottotitolo è ma la storia
non finisce qui. Più bello di questo…”
Nell’ultimo libro del Commissario Montalbano, Il giro di boa, lei
scrive dei migranti che arrivano in Sicilia e della repressione a Genova,
nel luglio 2001. Perché?
Lei vuole che un poliziotto non sentisse il bisogno di commentare quello
che era successo a Genova o, peggio, quello che era successo a Napoli prima
che a Genova?
Evidentemente Montalbano ne doveva risentire, in qualche modo. Ne risente
al punto che, quando apprende che alla Diaz erano state preparate delle
prove false, pensa di dimettersi. Scrive le dimissioni ed entra in crisi.
Ho avuto il piacere, dopo questo libro, di ricevere fax di vicequestori,
di commissari, di semplici poliziotti orgogliosi di avere un collega come
Montalbano.
Per ciò che riguarda, invece, la legge ‘Bossi-Fini’, i risultati
li vedete. E’ una legge repressiva, che non ha nessun senso, perché
i migranti continueranno ad arrivare. Durante lo sbarco americano del ’43,
io mi trovai in un paese dell’interno, Serradifalco. Ero scappato da una
mia zia. Questa mia zia aveva una pistacchiera enorme circondata da un
muro. Vi si accedeva da un cancello in ferro.
Dopo qualche giorno arrivò il cannoneggiamento degli americani.
Gli americani erano lì, a cento metri, e mia zia disse ‘ Scinni,
Nenè.’ Nenè sono io. ‘Scinni, scinni. Chiuri ù cancellu’.
E io, da fesso, scesi e chiusi il cancello, in maniera che la guerra non
potesse entrare dentro casa. Dopo dodici ore arrivò il generale
Patton, proprio lui, e sparirono la pistacchiera, il cancello, il muro.
Per non parlare delle sciocchezze dette rispetto alla civiltà
musulmana, come se la medicina, l'aritmetica, non le dovessimo a quella
cultura. Non si possono fare divisioni radicali tra civiltà. C'è
un'osmosi continua del sapere, della vita, della convivenza.
Uno scrittore che ruolo può avere nella lotta alla mafia?
Mah... non so se un intellettuale o uno scrittore possa avere un ruolo
nella lotta anti-mafia. Sinceramente, non lo credo. Credo però che
sia importante la testimonianza, credo che sia fondamentale la partecipazione
in quanto cittadino, prima ancora di scrittore, alla lotta contro la mafia.
La mafia prima era analfabeta, ma ha imparato a leggere quando ha cominciato
ad ammazzare i giornalisti.
Ha letto i giornali e ha capito che cosa potevano significare le parole
di giornalisti coraggiosi come Fava o come Francese. Allora impararono
a leggere, ma non oltre questo. Il compito dello scrittore, semmai, è
quello di scrivere, se gli viene, contro la mafia. Se lo scrittore è
un buon cittadino e un buon siciliano, nel caso specifico della Sicilia,
gli viene automaticamente dal suo dna di scrivere contro la mafia. Che
poi questo possa avere un esito, un risultato... io non ho molta fiducia
negli effetti pratici della letteratura.
Ma gli scrittori siciliani che hanno scelto di scrivere della mafia,
come lo hanno fatto, secondo lei?
Questo è un problema molto serio, che ha provocato equivoci
sostanziali. Il primo ad affrontare in un romanzo il problema della mafia
è stato Leonardo Sciascia, con “Il giorno della civetta”.
Se andiamo a rileggere quel libro, ci accorgiamo che rispetto alla
mafia di cui oggi ci parlano le gazzette -quando ne hanno voglia, perché
in genere ne parlano pochissimo- quella di Sciascia è una mafia
quasi preistorica. E che il modo di ragionare di Don Mariano Arena, nel
suo suddividere gli uomini in omini, sott'omini, ominicchi, piglian'culo
e quaqquaraquà, è un modo che può essere anche simpaticamente
condiviso.
Voglio dire che la letteratura corre sempre il rischio di fare di un
puro delinquente un simpatico eroe. Io mi sono rifiutato d'incentrare sulla
mafia un mio romanzo, nel modo più assoluto. Ma ne ho scritto come
disturbo continuo di fondo, come presenza che si intravede con la coda
dell'occhio. Perché porla al centro di un interesse letterario significa
nobilitare degli assassini, e io sinceramente non me la sento.
L'assassino, se è dipinto come un uomo che va tutti i giorni
a mangiare e sta in famiglia, diventa impercettibilmente simpatico. Dei
mafiosi ne scrivano i rapporti dei carabinieri. Tra l'altro polizia e magistrati
scrivono benissimo. Loro possono scrivere meglio di tutti,
sulla mafia.
Perché la mafia vede nei giornalisti dei pericolosi nemici?
Vorrei che la sua domanda fosse più definita. Dovrebbe chiedermi:
'Perché la mafia vede in alcuni giornalisti dei pericolosi nemici?
Quelli che sono stati ammazzati hanno pagato con la vita il loro
essere giornalisti, il loro, si dice, 'coraggio'.
Però in un paese normale quello non dovrebbe essere chiamato
'coraggio'. E ci sono gli altri giornalisti, quelli che lavorano come le
tre scimmiette: non vedono, non sentono, eccetera. Oppure dicono: in fondo,
la guerra contro la mafia è vinta. Sono quelli che ti vengono
a dire: si fa male alla Sicilia parlando della mafia. Sono quelli che ti
vengono a dire: in fondo, ci sono problemi più seri, e con la mafia
bisogna convivere. La maggior parte dei giornalisti è così.
Poi c'è una minoranza che per la mafia è un problema. Ed
è stato detto: 'ogni uomo un problema, eliminato l'uomo, eliminato
il problema'.
È cambiato in questi anni il rapporto tra potere mafioso
e società civile siciliana?
Se scrivo in un mio diario che cosa brutta è la mafia, e poi
lo conservo nel mio cassetto, non frega niente a nessuno. Un giornalista
che scrive, che lucidamente individua certi legami, certi rapporti, porta
le sue intuizioni e le sue conoscenze agli altri: cioè, crea un'opinione
pubblica.
Ora, un'opinione pubblica contro la mafia è per essa un rischio
enorme. Una volta i briganti usavano un metodo: non portare danno a persone
o cose nel territorio nel quale operavano, per avere dalla gente di quel
territorio aiuto e appoggio nel momento del bisogno. La mafia ha agito
così, con l'opinione pubblica. Nella mia giovinezza si diceva: «Ammazzaru
Gaetaniddru, sa... chiddru mafiusu». «Fatti loro», si
rispondeva. E chiudevi le porte, e chiudevi le finestre. Il problema restava
fuori.
Nella casa delle persone perbene, parlare di mafia era come parlare
di diarrea a un pranzo di gala. Ma quante volte questa buona borghesia
si è servita sottobanco della mafia, per certe questioni dove la
polizia, la legge, non potevano arrivare... Quindi, da un lato c'era la
negazione del fenomeno, dal l'altro c'era la richiesta di essere protetti
e appoggiati da questo fenomeno, che poi ti chiedeva un riscontro. Da un
certo momento in poi, grazie proprio all'opera di tanti giornalisti coraggiosissimi
e di qualche magistrato, si è cominciato a risvegliare una certa
coscienza. È caduto il muro dell'omertà, che ancora c'è
ma non è come ai livelli di una volta.
Vede, è capitato, quindici anni fa, che proprio all'ingresso
del mio paese, prepararono un agguato a un maresciallo dei carabinieri.
Era una bellissima giornata, la gente stava per i fatti suoi, al balcone
e per strada. Si resero conto che c'era qualcosa che non andava. Non fecero
in tempo a evitare l'assassinio, però i centralini della polizia
e dei carabinieri saltarono in aria per le decine di telefonate di allarme.
Quando lo dissi, questo fatto, mi risposero 'Sì, ma erano telefonate
anonime'. Probabilmente era vero. Ma cinque anni prima, o dieci, non avrebbero
neanche telefonato. Sono piccoli passi ma ci sono.
La Commissione antimafia, qualche anno fa, scriveva che dove un'organizzazione
mafiosa ha una struttura più frammentata, per esempio in Campania
o in Puglia, tende a svilupparsi con maggiore visibilità; dove invece
è più gerarchizzata come in Sicilia, si manifesta con minore
evidenza. Buscetta aveva affermato che la mafia è un'associazione
segreta. Come fa un cittadino a sapere chi è mafioso?
C'è da fare una piccola precisazione storica. Tommaso Buscetta
si è deciso a parlare perché il suo mondo mafioso andava
in vacca.
Ai tempi di Buscetta e prima, la mafia era un'organizzazione segreta,
con i suoi rituali: il santino bruciato, la 'puncicatura', la goccia di
sangue, il rapporto personale, che era fondamentale: si entrava a far parte
della famiglia.
L'esponente numero uno di questa setta segreta si esponeva in prima
fila. In ogni paese [Favara, Porto Empedocle...] se eri siciliano e se
si fidavano, te lo mostravano, ti dicevano «Vidi chiddru assitatu
au tavolino 'ddra»... il capo era immediatamente individuato.
Ma lì ti fermavi, non conoscevi nessun'altro. Oggi io credo fermamente
che a dare l'idea che la mafia sia abbattuta, frazionata, è il fatto
che non c'è più bisogno di questo rituale.
Sono convinto che oggi esiste un «ufficio ricerche e sperimentazioni»
della mafia, e che funziona come in ogni multinazionale che si rispetti,
fa ricerche di mercato, cerca gli uomini migliori da mettere in campo.
Oggi non c'è più bisogno di conoscersi. Loro ormai lavorano
su internet, non c'è bisogno del santino bruciato, sono stupidaggini
che sono ancora in uso presso i guardiani dell'orto. Dire 'fra poco prenderemo
Bernardo Provenzano' è inutile, a mio avviso, perché Provenzano
è uno specchietto per le allodole. E intanto colletti bianchi, persone
in doppio petto, civilissimi avvocati, onorevoli, sono la vera mafia.
Quali sono le differenze tra la vecchia mafia e la nuova?
Ebbi, da ragazzo, la possibilità di stare per tre ore con un
grossissimo capomafia dell'agrigentino, 'U 'zzu' Nicola Gentile, Nicola
'Nic' Gentile. Era uno degli indesiderabili rispediti in Italia, aveva
vissuto molti anni negli Stati uniti, poi era tornato e aveva fatto le
sue brave cose mafiose. Parlo degli anni '50.
Un mio cugino era proprietario di una gioielleria e mi chiese di tenere
d'occhio il negozio mentre lui non c'era. Se n'era appena andato che arrivò
Gentile, che avevo conosciuto a Porto Empedocle. Cominciamo a parlare e
mi disse una cosa illuminante, che ho cercato di scrivere per far capire
il cambiamento della mafia. Mi disse: «Dutturiè, se io entro
qui dentro, lei è armato, mentre stiamo parlando lei 'scoccia' il
revolbaro e mi dice 'Nicola inginocchiati'. Io sono disarmato, che devo
fare? Mi inginocchio. Ora lei, perché ha fatto inginocchiare Nicola
Gentile, non è un mafioso, lei è semplicemente un fesso con
una pistola. Facciamo un'altra scena. Io entro e sono disarmato,lei è
qui ed è disarmato. Io dico 'Dutture Camilleri, guardi che lei si
deve inginocchiare, lei dice 'Perché?' e io le spiego le ragioni.
E lei si convince e s'inginocchia. Se lei non s'inginocchia io gli devo
sparare, ma non è che ho vinto sparandole. Ho perso». Ecco,
questa era la vecchia mafia. La nuova mafia non viene neanche a discutere
se ti devi inginocchiare o meno, prima ti spara e poi dice 'Non si è
voluto inginocchiare'. Questa è la differenza fondamentale. C'era
un rispetto di certe regole spaventose, terribili, regole di sangue, ma
regole. 'Signora si sposti, per favore, che devo sparare a suo marito'.
Ora ammazzano bambini, li sciolgono nell'acido. Il povero Buscetta non
ci si riconosceva più.
Il ministro Lunardi ha detto che con la mafia bisogna convivere...
Queste frasi mi fanno molto piacere, perché mi danno il senso
della grande devozione, del grande rispetto che questa gente ha per i morti.
Un ministro che dice 'Con la mafia bisogna convivere' dà dell'idiota
a tutti coloro che sono morti e che con la mafia non hanno voluto convivere.
Quando il capo del governo dice che il buon Benito Mussolini, in fondo!,
faceva fare della villeggiatura a delle persone e non ha mai ammazzato
nessuno, si dimentica di quelli ammazzati dai fascisti e onora, a modo
suo, i morti. Quando l'attuale, perché qualche volta ritornano,
ministro Scajola dice che il signor Biagi, ammazzato dalle Brigate rosse,
era un «rompicoglioni», non fa altro che seguire questa linea
di rispetto dei morti. Sembra che sia una linea condivisa da tutto il governo.
Fernando Scarlata
La Sicilia, 20.11.2003
Premi letterari
Andrea Camilleri finalista a Courmayeur
Ancora protagonista lo scrittore empedoclino Andrea Camilleri che con
il suo ultimo libro «La presa di Macallè» è al
secondo posto della hit parade per vendite. Dal 4 al 10 dicembre prossimo
a Courmayeur si terrà l'edizione 2003 del «Noir in festival».
Nell'occasione sarà presentata la cinquina dei finalisti del premio
«Giorgio Scerbanenco», e verrà decretato il vincitore.
La giuria di esperti ha selezionato 21 romanzi gialli italiani da sottoporre
al giudizio dei lettori, i quali possono votare segnalando il titolo preferito
al sito web del «Noir in festival» entro martedì prossimo
25 novembre. Fra i titoli prescelti il romanzo «Il giro di boa»
di Andrea Camilleri che poi è l'ultimo lavoro sul commissario di
polizia più amato dagli italiani, Salvo Montalbano. Assieme all'opera
di Camilleri figurano anche «Il soffio della valanga» di Santo
Piazzese e «Romanzo criminale» di Giancarlo De Cataldo.
Dicembre comunque sarà un mese molto movimentato, tanto per
cambiare, per Andrea Camilleri che sarà ospite in diverse presentazioni
di libri gialli e non solo a Roma e sarà anche protagonista nei
teatri compreso quello di Racalmuto, il «Regina Margherita»
dove il 7 dicembre prossimo avrà inizio la nuova stagione teatrale
2003-2004 sotto la sua direzione artistica.
Gaetano Ravanà
Musica (suppl. di Repubblica,
20.11.2003
Pagine di musica
Paolo Conte nel traffico della vita
Paolo Conte. Parole e canzoni. A cura di Vinenzo Mollica. Einaudi,
118 pp più video 20 euro
Libro e video-intervista per il nostro chansonnier più blasonato
con gli interventi dello scrittore Andrea Camilleri, del premio Oscar Nicola
Piovani, i disegni di Altan, Crepax, Manara, Staino, Pratt.
Si sbagliava da professionisti, firmato Paolo Conte è
curato dal giornalista Vincenzo Mollica e propone un'antologia delle canzoni
con note d'artista. Si scopre che Gelato al limon (1979) è
dedicata alla moglie Egle, che la frase che ama di più in Messico
e Nuvole (88) è "faccia triste dell'America". Si chiude con:
"Si nasce soli, si muore soli, però nell'intervallo c'è un
bel traffico".
Francesco Màndica
l'Unità, 22.11.2003
Oggi la protesta dei magistrati, Camilleri e Scalfaro a fianco delle
toghe
Una “giornata per la giustizia”, oggi al teatro Brancaccio di Roma,
che riunirà non solo magistrati, ma anche politici, leader sindacali,
rappresentanti della società civile e del mondo dello spettacolo.
Un nuovo appuntamento nell'agenda delle iniziative messe in cantiere dall'Associazione
nazionale magistrati contro la riforma proposte dal centro-destra dell'ordinamento
giudiziario che “condiziona l'indipendenza dei magistrati”, e contro i
tagli al settore. Protesta che potrebbe culminare anche con un nuovo sciopero
dei magistrati. “La giustizia è lenta e inadeguata – ha scritto
l'Anm sul manifesto preparato per l'occasione – bisogna riorganizzarla
e darle le risorse necessarie. Ma invece di lavorare in questo senso si
progettano riforme che condizionano l'indipendenza dei magistrati. Così
si va contro la Costituzione, non si garantiscono i diritti dei cittadini,
non si costruisce un Paese al livello europeo”. E per parlarne saliranno
sul palco, tra gli altri, anche l'ex presidente della Repubblica Oscar
Luigi Scalfaro, i leader di Cgil e Uil, Gugliemo Epifani e Luigi Angeletti,
lo scrittore Andrea Camilleri.
Articolo 21
Liberi di, 22.11.2003
Giustizia, per Andrea Camilleri siamo sull’orlo del regime
Siamo sull'orlo di un regime perché si stanno smantellando giustizia
e informazione. E' la denuncia che ha fatto lo scrittore Andrea Camilleri
prendendo la parola alla Giornata della Giustizia indetta dall'Associazione
nazionale magistrati. Un intervento che è stato tra i più
applauditi. "Un regime come quello fascista è assai lontano. Ma
i regimi si modificano: sono come la Sars che ha un virus automodificante",
ha sostenuto Camilleri ricordando che Leonardo Sciascia 38 anni fa aveva
detto che il nuovo fascismo comincia con la distruzione della giustizia.
Un'operazione, che secondo lo scrittore, è già in atto:
"Nei cantieri per lo smantellamento della giustizia e dell'informazione
si lavora alacremente".
Per questo il creatore del commissario Montalbano si è rivolto
direttamente a chi è scettico quando sente parlare di regime: "Se
lo smantellamento della giustizia è l'indispensabile incipit che
si vuole di più? che si arrivi all'arresto dei magistrati come ha
già chiesto un ex sottosegretario?".
Camilleri ha elencato puntigliosamente che cosa vuol dire distruzione
della giustizia: "é innanzitutto far credere che esiste una magistratura
rossa di parte e una incolore e dunque super partes; una magistratura buona,
specialmente quando assolve, e una cattiva, quando condanna.
Ma distruzione della giustizia è anche far diventare legale
ciò che prima era illegale e affermare che con la mafia bisogna
convivere; e ancora: dire che i magistrati sono geneticamente diversi e
limitare i mezzi perché la giustizia rallenti il suo iter". In gioco
dunque ci sono valori fondamentali: "Bisogna chiudere questi cantieri -
ha concluso- per la nostra stessa libertà". Se Camilleri ha usato
i toni più allarmati, sono stati tutti molto critici verso le riforme
del governo gli interventi che si sono susseguiti alla manifestazione dell'Anm.
Il presidente emerito della Corte costituzionale Leopoldo Elia ha denunciato
la "volontà di ridurre l'indipendenza della magistratura" e di rifiutare
"il sistema dei pesi e
contrappesi". A preoccupare non è solo la riforma dell'ordinamento
giudiziario, che Elia ha definito "pericolosa", visto che non si tratta
di un intervento isolato: "Contemporaneamente con un ddl costituzionale
si cerca di influire sull'orientamento della Consulta", ha avvertito l'ex
presidente. Un allarme per le sorti della democrazia è venuto dal
direttore di Micromega Paolo Flores D'Arcais, dal regista Moni Ovadia e
da Paul Ginzburg, che insegna Storia europea all' università di
Firenze.
"Si stanno mettendo a repentaglio le conquiste civili" ha detto Flores,
secondo cui chi accusa i magistrati di politicizzazione "vuole minare lo
Stato di diritto". Ovadia ha voluto esprimere la sua "angoscia di cittadino
che vede attaccata l'indipendenza dei magistrati e teme per il destino
della democrazia". "L'autonomia della magistratura - ha avvertito Ginzburg
- non è negoziabile. Quando è minacciata la democrazia è
in pericolo".
Arcoiris TV
Giornata per la Giustizia organizzata dalla A.N.M. (Associazione Nazionale
Magistrati) - Teatro Brancaccio Roma - 22 novembre 2003.
Video
dell' intervento di Andrea Camilleri
Corriere della sera (ed.
di Roma), 22.11.2003
Un convegno, una mostra, incontri e proiezioni
Il secolo Simenon
Maigret e non solo, a 100 anni dalla nascita
È «Lo strano caso di Monsieur Simenon», il titolo
delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore che
ha dato vita al commissario Maigret e a Monsieur Hire. Convegni, mostre,
incontri e proiezioni dal 28 novembre al 13 dicembre tra «La casa
delle letterature» e il «Teatro Palladium». Uno strano
caso che, dopo anni di successi editoriali, vede l’autentica riscoperta
di Georges Simenon. Convenzionalmente relegato nell’ambito della letteratura
di un genere, il giallo, dopo l’ingresso nella prestigiosa collana francese
«La Pleiade» e un gran numero di libri venduti in tutto il
mondo, ha finalmente trovato il giusto riconoscimento. Eppure l’autore
- nato a Liegi e vissuto in Francia - resta secondo Matteo Codignola della
Adelphi, che in Italia pubblica Simenon dal 1985, «un oggetto difficile
da manovrare per gli studiosi». Avverso alle accademie, noto per
la stravaganza (dava spettacolo in pubblico della sua velocità di
scrittura), ha ispirato e contagiato cineasti e scrittori.
L’amicizia con Federico Fellini, iniziata nel 1960 a Cannes, è
documentata dalle lettere pubblicate da Adelphi nel 1998; Andrea Camilleri
ammette la presenza di Maigret nel Dna di Montalbano: una grande influenza
che Simenon ha esercitato sulla cultura e che le celebrazioni vogliono
evidenziare. Apre la manifestazione l’esposizione alla Casa delle Letterature,
dove si svolgerà anche un convegno organizzato dalle istituzioni
che promuovono gli eventi: il Comune di Roma, l’Università Roma
Tre, la Fondazione Romaeuropa, le Ambasciate di Belgio e Francia, la Casa
delle Letterature, l'editore Adelphi e il Teatro Palladium.
In mostra le rarità della collezione Ansaldi di Genova, fra
cui tutte le prime edizioni francesi, alcune prime edizioni italiane, molte
riviste e i reportage degli anni Trenta con fotografie scattate dallo stesso
Simenon. Il primo dicembre è prevista una maratona di letture, mentre
i più belli fra i moltissimi film tratti dai romanzi dello scrittore
- almeno una cinquantina - saranno proiettati al Palladium dal 2 al 4 dicembre;
autori Chabrol, Tavernier, Leconte e Jean Renoir con una rarità:
«La nuit du carrefour», girato nel 1932 e ritenuto da Simenon
«il miglior Maigret mai apparso sullo schermo». Nella stessa
occasione gli incontri con gli scrittori - Camilleri, Giancarlo de Cataldo,
Carlo Lucarelli - e i critici - Tatti Sanguinetti e Claude Gauteur, il
più autorevole su Simenon -, mentre Silvio Orlando leggerà
dall’ultimo testo tradotto in italiano, «Il fidanzamento di Mr. Hire».
Il Messaggero,
23.11.2003
L’Anm riunita «in difesa d’indipendenza e autonomia»
«Giustizia, riforma da ripensare»: I magistrati pronti
allo sciopero
ROMA - I «cantieri» per «demolire la giustizia»
in Italia sono «sotto gli occhi di tutti». Bisogna fare attenzione,
perché lo «smantellamento della giustizia» è
«l'indispensabile incipit che porta ad un regime». Assieme
all'ex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, è stato lo scrittore
Andrea Camilleri a raccogliere gli applausi più fragorosi dei magistrati
riuniti dall'Anm al teatro Brancaccio di Roma nella “Giornata per la giustizia”.
Per protestare contro le riforme proposte da governo e maggioranza e i
mancati interventi sull'efficienza della giustizia. «Ho voluto esserci
come cittadino italiano particolarmente attento alle sorti del nostro Paese»,
ha spiegato il padre del commissario Montalbano.
L’Anm ha anche ribadito che i magistrati saranno «intransigenti»
nel difendere i principi costituzionali di autonomia e indipendenza. Per
questo, l'Associazione nazionale magistrati è pronta a ricorrere
allo sciopero se non ci saranno ripensamenti su una riforma «fondamentale
e così importante» come quella dell'ordinamento giudiziario.
È questo il segnale principale che arriva dai vertici del “sindacato”
delle toghe che ieri ha chiamato a raccolta colleghi, ma anche rappresentanti
della società civile e del mondo dello spettacolo, proprio per spiegare
le ragioni della protesta contro le riforme che «condizionano l'indipendenza
dei magistrati» e per sostenere la necessità di una «giustizia
più efficiente». Efficienza e indipendenza che sono «una
garanzia per i cittadini». «La giustizia è lenta e inadeguata
- ha scritto l'Anm sul manifesto per l'occasione - bisogna riorganizzarla
e darle le risorse giuste. Ma invece di lavorare in questo senso si progettano
riforme che condizionano l'indipendenza dei magistrati».
S. G.
Corriere della sera,
23.11.2003
Scalfaro attacca il «Lodo Schifani» e infiamma i magistrati
L’ex presidente: «Questa riforma mette il capo dello Stato in
canottiera». Il segretario Anm: la sentenza di Milano dimostra che
non c’è alcun fine persecutorio
ROMA - Mentre il Tribunale di Milano comunicava la sua decisione, a
Roma circa mille toghe hanno partecipato al Teatro Brancaccio a quella
che l’Associazione nazionale magistrati ha voluto chiamare la «Giornata
per la giustizia». Un «abbraccio con la società civile»,
hanno detto gli organizzatori, che si è materializzato nei passaggi
chiave della manifestazione: la commemorazione del giurista Alessandro
Galante Garrone (la sala è scattata in piedi), l’omaggio al figlio
del collega Vittorio Bachelet (il professore assassinato dalle Br all’università
di Roma), l’ovazione tributata allo scrittore Andrea Camilleri che ha parlato
di «un regime incipiente, simile al virus della Sars». Ma il
battimani dei magistrati ha sottolineato anche l’intervento di un grande
avvocato come Franco Coppi, del costituzionalista Leopoldo Elia, del regista
Moni Ovadia, dello storico Paul Ginsborg e di Paolo Flores d’Arcais (MicroMega).
In religioso silenzio e con grandi applausi infine, i magistrati hanno
ascoltato l’intervento di un ex collega che poi è diventato capo
dello Stato. E Oscar Luigi Scalfaro non ha tradito le attese della platea
quando ha parlato del «Lodo Schifani» che blocca i processi
per le 5 più alte cariche dello Stato: «La Costituzione stabilisce
che la legge è uguale per tutti, ma ora una regola costituzionale
trova un’eccezione attraverso una legge normale. A mio parere, è
una bestemmia giuridica». Poi una frecciata a Silvio Berlusconi:
«È una legge che riguarda uno solo ma si sono messi in 5 per
non lasciarlo solo». E ancora, sui progetti di riforme della maggioranza:
«Il capo dello Stato viene messo in canottiera da queste riforme.
Il presidente è garante della Costituzione, si tratta di un ufficio
che deve saper dire dei no. Mi peserebbe all’infinito se nel momento in
cui avessi dovuto pronunciare dei no non li avessi detti. Il capo dello
Stato è garante della Costituzione e io non ho dubbi della garanzia
del mio successore».
Sulla sentenza di Milano, invece, non è stata spesa una sola
parola ufficiale: no comment. Ma in platea ha spiegato il segretario dell’Anm
Carlo Fucci: «La sentenza dimostra che non c’è alcun fine
persecutorio nei confronti di alcuno». Fabio Roia, leader dei moderati
di Unicost, ha aggiunto: «Credo che chi ha accusato i magistrati
di essere politicizzati debba chiedere scusa».
E ora l’Anm torna a combattere sul fronte delle riforme proposte dal
governo: «Saremo intransigenti nella difesa dell’indipendenza della
magistratura», ha avvertito il presidente dell’Anm. Edmondo Bruti
Liberati ha poi fatto una previsione: «Se non ci saranno ripensamenti
sull’ordinamento giudiziario (martedì in aula Senato, ndr) non avremo
altra scelta che manifestare il nostro dissenso. Anche con lo sciopero».
Dino Martirano
New York Times,23.11.2003
Crime
Like other foreign detectives forced to fly under the radar of corrupt police brass and venal government officials, Salvo Montalbano, the volatile Sicilian police inspector in Andrea Camilleri's warmblooded procedurals, is always looking for ways to operate outside the system. In VOICE OF THE VIOLIN (Viking, $21.95), he reproaches himself (''I didn't protest, I didn't rebel'') for letting his bosses take him off a murder case involving a rich couple who had come down from Bologna to build a vacation home. With his eye for beautiful women, his taste for fine literature and a tendency to stop in his tracks to indulge in a meal, the idiosyncratic Montalbano is totally endearing. But he's also a shrewd tactician and a very sensitive man, capable of listening with rapture to a private violin concerto played by a disfigured recluse -- no colorful throwaway scene, but a key piece of the plot. Stephen Sartarelli's light touch with the translation captures the sunny humor of Camilleri's idiomatic Sicilian dialect, even as it conveys the darker nuances of this complicated region.
Marilyn Stasio
Articolo 21
Liberi di, 24.11.2003
Lunedì sera tutti all'Ambra Jovinelli contro la censura
Per una informazione libera e per una giustizia indipendente.
Articolo 21 e Magistratura Democratica saranno, lunedì 24 novembre
2003 alle ore 20:30, all'Ambra Jovinelli di Roma. Ci saranno insieme a
Serena Dandini, Fiorella Mannoia, Giovanna Marini, Paolo Rossi, Andrea
Camilleri, Guglielmo Epifani, Michele Santoro, Livio Pepino, Carlo Smuraglia,
Federico Orlando per dire no a quanto sta accadendo in Italia. E
anche per dire no all'ultima censura: quella di Sabina Guzzanti e RaiOt.
Ma le iniziative non finiscono qui.
Canale 5, 24.11.2003
Verissimo magazine
Intervista ad Andrea Camilleri
Gli hanno chiesto spiegazioni sulle critiche che sta incontrando La
presa di Macallè; lui ha spiegato che è cosciente della
particolarità del suo ultimo lavoro, tant'è vero che ha impiegato
3 anni per riuscire a pubblicarlo quando invece i suoi libri sono "come
uova fresche di giornata".
Gli hanno chiesto: "Alla sua età qual'è il suo sogno"?
Ha fatto riferimento alle bandiere della pace e poi ha aggiunto: "Non
muoio disperato, sa?" ...ovviamente si riferiva alla speranza della pace...
segnalazione di Angela
Rai 3, 24.11.2003
Primo piano
Puntata sulla manifestazione Per una informazione libera e per una
giustizia indipendente
Andrea Camilleri: "Il fatto è che gli unici che oggi possono
dare informazioni vere, al momento attuale, sono i comici. Perchè
molti giornalisti sono dediti alla politica o a fare come le tre scimmiette,
cioè a fingere di non vedere, non sentire e a non parlare."
Il Riformista,
25.11.2003
Ritorni. Sale piene e adunate di successo per la Guzzanti: e si riparla
di candidature europee
Il varietà medio riflessivo rilancia il girotondo carsico
A Paolo Flores d'Arcais la metafora del movimento carsico piace da morire.
La ripete ogni volta che c'è da giustificare il fatto che i movimenti
girotondini appaiono e scompaiono (ultimamente solo la seconda). Scompaiono
alla vista, ha sempre spiegato Flores, perché in realtà proseguono
il loro corso sottoterra e spuntano fuori quando meno te l'aspetti. Il
Flores geologo sta già esultando per la riuscita allo scoperto del
«ceto medio riflessivo»: due sere fa il «varietà
di protesta», l'happening guzzantiano all'Auditorium di Roma, moltiplicato
per i centri d'ascolto sparsi in tutta Italia; ieri, sempre a Roma, una
serata fatta apposta per rinfocolare i teoremi berlusconiani, cioè
l'incontro pubblico all'Ambra Jovinelli (la Palazzina Liberty degli anni
Zero) sul tema «Per un'informazione libera, per una giustizia più
indipendente», organizzato dall'associazione giuliettiana Articolo
21 e da Magistratura democratica (l'abbraccio di Michele Santoro con le
toghe rosse, direbbe Schifani). A fare gli onori di casa Serena Dandini,
poi la solita platea di soliti noti: Fiorella Mannoia (a proposito, tra
i cantanti, la new entry girotondina è Raf), Paolo Rossi, Giovanna
Marini, Andrea Camilleri, il pm Carlo Smuraglia. Con loro, Guglielmo Epifani,
a testimoniare che la stagione movimentista del sindacato non è
archiviata.
Avrà ragione Flores? Si tratta del ritorno in grande stile del
popolo del Palavobis? La resurrezione dei fasti del maxi-girotondo di San
Giovanni? I leaderini del movimento, dopo mesi di flop di piazza e guerre
intestine, ci sperano non poco. E sugli house organ internettiani danno
i numeri: quasi tremila dell'Auditorium e ventimila (dicono) rimasti fuori,
eppoi seicento al Teatro Puccini di Firenze (e duemila fuori), altrettanti
a Bologna (tremila fuori), mille a Palermo (due mila fuori), adunate e
rimpatriate pure a Torino, Napoli, Ravenna, Reggio Emilia, Parma, Trieste,
Pescara, Matera, Ancona. E siccome l'immaginario di riferimento è
glocal, si segnalano con orgoglio sale piene anche a Velletri, Finale Ligure,
Pontassieve, Lastra a Signa. L'auspicio finale degli organizzatori è
unanime: «Che non finisca qui», versione riveduta e corretta
di quel «Non perdiamoci di vista» che Nanni Moretti aveva lanciato,
con scarsa fortuna, dal palco di San Giovanni.
Nelle nuove strategie del girotondismo non c'è però ancora
un'altra madre di tutti i girotondi. Si sperimentano per il momento tecniche
di combattimento più leggere, come il boicottaggio, per esempio.
Daniele Luttazzi, in collegamento esterno con l'Auditorium, ha consigliato
a tutti di digitare sul motore di ricerca Google «big spender»:
appariranno tutte le aziende da boicottare, che fanno pubblicità
sulle reti Mediaset o che appartengono a Berlusconi. Quindi il comico si
è congedato con un “Hasta la victoria”. Per un idolo del dopo Sofia,
tanti padri nobili della prima ora. Anche Dario Fo e Franca Rame non sono
potuti intervenire personalmente all'Auditorium, ma in collegamento da
Milano hanno spiegato alla Guzzanti perché deve sentirsi orgogliosa:
«Deve essere contenta - ha detto Fo - prima qualche stangatina ce
la davano, ma poi ci lasciavano fare, perché non contavamo così
tanto». Il fatto che sia ieri che due sere fa fossero presenti esponenti
del centrosinistra, e che i principali leader dell'opposizione abbiano
inviato la loro solidarietà alla Guzzanti, non è bastato
alla sinistra di palazzo per mondarsi delle sue lordure, che sono solo
meno sozze di quelle del centrodestra, ma pur sempre lordure: «Da
sempre sappiamo - hanno commentato i Girotondi delle Idee - che tutti i
governi e quindi anche quelli di centrosinistra si sono lamentati delle
trasmissioni di approfondimento informativo. Un primo ministro del centrosinistra
pizzicato da “Il Fatto” alzava il telefono e cerca un confronto con Biagi,
quello del centrodestra, invece, fa l'editto bulgaro, accusa di uso criminoso
della televisione in campagna elettorale». Ognuno c'ha i suoi metodi,
insomma.
Intanto la speranza dei movimenti floresiani è di spendere la
ritrovata massa di manovra in vista delle trattative con la Triplice riformista
sul listone. E sull'onda della mobilitazione si è mosso in questo
senso Achille Occhetto, insieme a Raf l'altro grande nuovo acquisto del
girotondismo. Il fondatore del Pds ormai non ha nulla da invidiare a un
Pardi: «Vogliamo un vero processo di lista unitaria di fronte a una
lista che è solo parziale e che parla solo alle oligarchie».
Per questo, aggiunge Occhetto, «serve una costituente che parli alla
società civile, ai girotondi, ai giovani che vanno alle manifestazioni
per la pace».
Liberazione, 26.11.2003
«Il manifesto di Prodi supera l'ambiguità di un riformismo
vago e minimalista. Costituisce un'utile base di discussione per un programma
di governo dell'Ulivo»
Un gruppo di intellettuali, tra cui Enzo Biagi, Andrea Camilleri, Sabina
Guzzanti, Margherita Hack e Mario Monicelli, ha firmato l'appello di Opposizione
civile che rilancia il ruolo della coalizione del centrosinistra. Un duro
attacco al governo attuale («Obiettivo primario è battere
Berlusconi») a partire dalla guerra in Iraq («La tragedia dei
militari italiani è la conseguenza dell'iniziativa dissennata»).
Ce n'è anche per i partiti dell'Ulivo a cui si chiede di dare vita
a una «Costituente».
La Provincia, 26.11.2003
Caffè Letterario. Crema, presentato lunedì ‘A occhi chiusi’
nuovo romanzo del sostituto procuratore
Carofiglio tra bene e male «Il confine è spesso labile»
«Si deve aver fiducia sulle possibilità dei magistrati
di scoprire la verità»
Un pubblico numeroso, partecipe e interessato ha tenuto a battesimo
lunedì sera nell’agorà del bar Gallery di via Mazzini la
prima presentazione nazionale di A occhi chiusi, il nuovo libro di Gianrico
Carofiglio, ospite del Caffé Letterario. Intervistato da Maddalena
Bonaccorso, curatrice della pagina web a lui dedicata sul sito del Camilleri
Fans Club, il quarantaduenne autore barese, che di mestiere fa il sostituto
procuratore antimafia, ha raccontato più di sè stesso che
dell’opera, iniettando comunque negli ascoltatori il desiderio di leggerla.
Carofiglio ha spaziato parlando di giustizia e informazione: «Subiscono
entrambe duri colpi. L’informazione e la giustizia sono strumenti di controllo;
non devono essere identificate col potere, devono avere la loro autonomia».
In seguito ha invitato ad avere uno sguardo positivo verso la magistratura:
«Non si deve essere sfiduciati sulle possibilità dei magistrati
di scoprire la verità».
Detto della sua voglia di mettere in una storia l’indignazione per
le cose che non funzionano, Carofiglio ha tenuto a definire l’avvocato
Guido Guerrieri, protagonista di A occhi chiusi, «un personaggio
di pura invenzione», per porre fine alla caccia agli elementi autobiografici
scatenatasi dopo l’uscita del libro. Nel volume si parla di persecuzione,
un comportamento grave, «che il nostro ordinamento giuridico — come
ha sottolineato l’autore — non riesce a contrastare con efficacia. Il punto
di partenza è il confine, spesso labile, tra la cosiddetta normalità
e il resto, tra il bene e il male, che viene raccontato attraverso la storia
violenta di un ragazzo modello che poco alla volta non lo è più.
E’ una storia sulla dignità, sul senso di colpa e sulla paura.
Dario Dolci
La Gazzetta del Mezzogiorno,
26.11.2003
Carofiglio. Col giallo «Ad occhi chiusi» da Laterza
Bari, così a luci spente torna Guido Guerrieri
A luci spente. Quando c'è una lunga storia di conoscenza si può
presentare un romanzo anche a luci spente. Lo ha detto ieri sera Alessandro
Laterza introducendo al buio la presentazione del secondo fortunato romanzo
del magistrato barese Gianrico Carofiglio, Ad occhi chiusi appena pubblicato
da Sellerio, e presentato nella Libreria Laterza dall'autore, dall'editore
palermitano Antonio Sellerio e da una magnetica interpretazione di alcuni
brani «recitati» da Carmela Vincenti.
«Carofiglio ed il suo protagonista Guido Guerrieri, il giovane
avvocato di Ad occhi chiusi - ha detto Laterza - svelano e descrivono uno
dei tratti più forti dell'autore: il Carofiglio scrittore e giocoliere,
con il suo metodo, la sua passione. Un volume in cui appare molto più
velato l'elemento autobiografico, Bari è ancor più presente
e Carofiglio è ancor più scrittore che nel precedente suo
lavoro, Testimone inconsapevole». «Metodo e passione che -
ha concluso Laterza - in Carofiglio progrediscono col tempo insieme alla
grande varietà di toni, ai tratti di grande ironia».
«In Carofiglio - ha poi spiegato Antonio Sellerio - abbiamo individuato
tre segnali difficilmente riscontrabili in un narratore: il talento, la
professionalità e, più raro, la grande ambizione di vedere
le proprie pagine con gli occhi degli altri».
«Continuo in Ad occhi chiusi a narrare vite parallelle - ha detto
a sua volta Carofiglio - le stesse che sto vivendo da quando mi dedico
alla narrazione e sono un po' magistrato ed un po' scrittore. Un'esperienza
impegnativa, anche psichicamente. Anche per questo motivo il mio terzo
volume non riaprirà le scene sull'esistenza del giovane avvocato
barese che sogna la vecchia pizzeria "Da Nino" sul muretto del fossato
del castello, a Bari vecchia. Non voglio farmi cannibalizzare da Guido
Guerrieri come, per esempio, Camilleri è stato cannibalizzato dal
Commissario Montalbano e come è avvenuto per tutti quei narratori
che hanno inventato dei personaggi seriali».
Che cosa Carofiglio-Guerrieri ricorda più volentieri del suo
Ad occhi chiusi? «I versi di una poetessa inglese che ho voluto citare
nel libro. Sono dedicati ad un cane e recitano: "Se non c'è un Dio
per te non c'è un Dio neanche per me"». E a chiudere la serata,
di nuovo a luci spente, Carmela Vincenti, ancora splendida ed ironica interprete
di un brano di Ad occhi chiusi che racconta di una serata «diversa»
di Guido Guerrieri e di una giovane «baresaccia». Ma, naturalmente,
radical chic.
Maria Paola Porcelli
Il Nuovo, 26.11.2003
I giallisti? Li ho visti crescere
Parla Tecla Dozio, dalla sua libreria milanese sono passati i più
bei nomi della giallistica di casa nostra. Il cliente tipo? Dal trentenne
che legge come un matto alla vecchietta che ama il trucido.
MILANO - "Giovani intorno ai trent'anni. Adulti, forti lettori, di ceto
alto. E poi le vecchiette, che amano le storie trucidissime". Tecla Dozio
fa il ritratto del cliente tipo della sua libreria, la Sherlockiana di
Milano. La prima dedicata esclusivamente ai libri gialli, aperta nel 1985,
una delle poche in Italia. Da anni lotta con il Comune per cercare di tirare
avanti. L'affitto è troppo alto, il mese scorso per pagare i debiti
i più bei nomi della giallistica italiana hanno messo all'asta pezzi
unici o di gran valore. Il 14 dicembre prossimo si replica.
"Gli uomini sono più attenti agli autori del passato. Adorano
i thrilleroni americani e i noir francesi antichi. E poi sono grandi collezionisti
- spiega la Dozio - Alle donne, invece, nell'ultimo periodo è piaciuto
moltissimo Amabili resti di Alice Sebold. Comunque i miei clienti sono
per lo più degli aficionados. Vengono qui, chiedono un consiglio.
Io domando loro quali sono gli ultimi tre libri letti e poi li indirizzo.
Gli habitué invece leggono tutto quello che ho letto io".
Nell'ultimo periodo vanno fortissimo gli scrittori italiani. Sarà
l'effetto Camilleri, con il suo popolarissimo Commissario Montalbano, sarà
il boom di Faletti con Io uccido, fatto sta che ormai alla Sherlockiana
sempre più spesso chiedono autori di casa. "Sicuramente a Camilleri
va riconosciuto il fatto, non da poco, di aver sdoganato il giallo da scritto
di serie B". E poi la qualità. "Una volta gli appassionati della
giallistica - fa notare la Dozio - si accontentavano della storia. Ora
"pretendono" anche una buona scrittura. Dimostrano di premiare gli autori
che sanno scavare nei personaggi, che sanno raccontare le realtà.
E anche in termini di vendite, gli autori di buona penna sono in testa
alle top ten".
Inutile dire che Tecla Dozio sia una pasionaria del giallo, non chè
una miniera di informazioni e dati. Oganizzatrice di convegni e iniziative
che promuovono il genere la si può anche definire una talent scout.
E` lei infatti che ha scoperto Barbara Garlaschelli. Dalla sua libreria
sono partiti Pinketts, Fois, Carlotto, Lucarelli... E oggi il suo fiuto
le dice di tenere d'occhio Roberto Valentini e Massimo Marcotullio.
Ed oggi cosa ci consiglierebbe di leggere? Gianrico Carofiglio con
Testimone inconsapevole, edito da Sellerio (sta per uscire un suo secondo
romanzo) e Flavio Soriga, con Neropioggia, Garzanti. Li ho venduti alla
grande e sono davvero dei capolavori. E se lo dice lei...
Silvia Perazzino
Corriere della sera,
28.11.2003
Film e dibattiti sul padre di Maigret
[...]
I viaggi di Simenon sono l’oggetto del documentario che verrà
proiettato per la prima volta martedì 2 dicembre alle 19.30 al Teatro
Palladium di Roma. Autori, i cineasti francesi Jean-Claude Riga e Léon
Michaux. Altre proiezioni di film ed eventi si tengono, sempre al Palladium,
ancora martedì alle 17.30 (La nuit du carrefour) e alle 21.30 (Betty);
mercoledì 3 alle 17.30 (Maigret tend une piège), alle 19.30
(incontro con Augias, Camilleri, de Cataldo e Lucarelli) e alle 21.30 (L’horloger
de Saint-Paul); giovedì 4 alle 19.30 (Il dottor Simenon e Mr Hire,
racconto a due voci di Silvio Orlando e Giorgio Pinotti) e alle 21.30 (Monsieur
Hire).
[...]
La Repubblica
(ed. di Palermo), 28.11.2003
Al teatro Orione la stagione si apre con il quintetto di Jacques Morelenbaum
Jobim, e il Brasile cambiò musica il Brass ricorda il padre
della bossa
Il violoncellista ha partecipato al disco di Sakamoto dedicato al grande
compositore
Un repertorio vasto che comprende anche un successo come "Garota de
Ipanema"
Il 18 marzo toccherà alle musiche di Marco Betta composte per
Camilleri
Con il "Tribute to Antonio Carlos Jobim" proposto stasera in anteprima
siciliana al teatro Orione (via Don Orione, ore 21,35, biglietto 16 euro)
dal Quinteto Jacques Morelenbaum, il Brass Group inaugura la nuova stagione
"Musiche del nostro tempo", interrompendo così un digiuno durato
parecchi inverni.
[...]
Decisamente insolito il prossimo appuntamento della rassegna del Brass,
il 18 dicembre, con la prima nazionale del film-concerto dedicato a "Il
ritorno di Cagliostro" di Ciprì e Maresco. Presenti i registi ed
altri personaggi del film; le immagini, molte delle quali inedite, saranno
commentate dal pianista Salvatore Bonafede, autore della colonna sonora,
e dall´Orchestra jazz siciliana.
[...]
Gigi Razete
Panorama, 28.11.2003
Cinema e Spettacoli
Nanni Moretti, fatti più in là
Vita e gesta di Sabina Guzzanti. Una ragazza, come dichiara lei stessa,
«confusa a prescindere». Ma con un talento per il potere.
[...]
Così adesso Serena, Sabina e il gruppo di martiri del regime
(riquadro in alto) che si è riunito domenica 23 novembre all’Auditorium,
gentilmente fornito dal sindaco di Roma Veltroni, sta pensando al vero
Telesogno, con Michele Santoro, Carlo Freccero, Serena Dandini.
[...]
SE QUESTI SONO MARTIRI
Libri, film, programmi tv: tutto con i soldi del nemico
[...]
Andrea Camilleri: ha pubblicato 10 libri con la Mondadori.
[...]
Silvia Grilli
Emergency
Cessate
il fuoco
I cittadini del mondo non riescono neppure più a piangere
le tragedie del terrore: a una bomba segue un'autobomba, a ogni morto una
vendetta che genera altri morti e altre vendette.
Nomi diversi - guerra, terrorismo, violenza - si traducono poi,
tutti, in corpi umani fatti a pezzi e in pezzi di umanità perduti
per sempre.
Non vogliamo più vedere atrocità: è disumano
che gli esseri umani continuino ad ammazzarsi.
Fermiamo questa spirale, o alla fine non resterà più
niente, nessuno avrà avuto ragione o torto, ci sarà solo
una catena infinita di lutti e distruzioni. Chiediamo a tutti coloro che
stanno praticando e progettando attentati e guerre di fermarsi.
Chiediamo il tempo per riflettere, non possiamo assistere impotenti
al dilagare della follia omicida.
A tutti coloro che promuovono la violenza, clandestini organizzatori
di stragi o visibilissimi dittatori o presidenti, noi cittadini chiediamo:
«Cessate il fuoco!».
Fra
i promotori dell'appello anche Andrea Camilleri.
Avvenire, 29.11.2003
Se Eco e Baricco diventano le Liale 2003
Nel 1963 nasceva il Gruppo 63, che si proponeva di svecchiare fragorosamente
la letteratura italiana. Ne facevano parte, tra gli altri, Umberto Eco
e Edoardo Sanguineti. Questi avanguardisti italiani furono subito bollati
da Franco Fortini come "avanguardieri", dato che secondo lui non facevano
che riproporre le formule fritte e rifritte delle primissime avanguardie
del Novecento. Nello stesso anno, quasi negli stessi giorni, scoppiava
la diga del Vajont, facendo più di 2000 morti in una sola notte.
Quindici giorni prima io mi trovavo a Erto, a cento passi dalla diga, per
motivi personali che qui non interessano. Che legame c'è tra la
diga e il Gruppo 63? Entrambi erano il frutto avvelenato del capitalismo
rampante e selvaggio, ma non lo sapevano. Anzi, credevano di essere moderni
e progressisti. Per alcuni anni sono stato un fiancheggiatore del Gruppo
'63, ma da distante, con scetticismo e ironia. Mi divertiva. Specie quando
definiva Cassola e Bassani le Liale degli anni Sessanta. E per altre amenità
del genere. Adesso, alcuni reduci attempatissimi di quel Gruppo si ritrovano
a Palermo per una rimpatriata letteraria e dovranno nominare le Liale del
2003. Anche questa volta mi sto divertendo. Le Liale del 2003? Non c'è
che l'imbarazzo della scelta. Liala era una narratrice eminentemente consolatoria
e involontariamente ruffiana. Chi sono, oggi, i suoi eredi? Facile. Tutti
i giallisti, in primis. Poi Eco e Citati. Poi Baricco (un Lialone, direi).
Quindi, in ordine sparso, la Tamaro, la Mazzantini, Camilleri, De Carlo.
Poi tutti vincitori dello Strega degli ultimi vent'anni. Tutti i vincitori
del Campiello degli ultimi due secoli (sic!). Ma io non mi fermerei alla
letteratura. Per esempio, Francesco Alberoni è da almeno duemila
anni che è una Lialissima ilare e impenitente. E dove vogliamo mettere
i libri dei politici? Nello scaffale delle Liale, si capisce. Con la differenza
che Liala faceva piangere, mentre i politici che scrivono libri fanno ridere.
Giuseppe Bonura
Il Messaggero,
30.11.2003
Nell’ambito della rassegna “Lo strano caso di Monsieur Simenon”, organizzata
dal Comune di Roma per commemorare il centenario della nascita dello scrittore
belga, mercoledì alle 19,30 si svolgerà al Palladium un incontro
dedicato a “L’eredità Simenon”, coordinato da Corrado Augias. Con
Giancarlo de Cataldo, Carlo Lucarelli e - in video - Andrea Camilleri.
I tre romanzieri racconteranno la loro esperienza con Simenon, che “frequentano”
da lungo tempo. Riportiamo ampia parte dell’intervista a Camilleri realizzata
da Lisa Ginzburg, organizzatrice del progetto insieme con Maria Ida Gaeta.
Anticipazioni/ Andrea Camilleri parla del suo rapporto letterario con
il grande romanziere, in un’intervista in video che sarà presentata
mercoledì al Palladium. E dà la pagella: voti altissimi allo
scrittore, appena buoni al celebre commissario
«Amo Simenon più di Maigret»
Camilleri, come Simenon, lei è scrittore di gialli ma anche di
romanzi. E, come lui, ha saputo raccontare magistralmente certi scorci
di vita di provincia. Ma, lasciando da parte facili associazioni, quando
è che ha incontrato la scrittura di Simenon?
«Avevo sette anni, e avevo esaurito i libri che c'erano in casa
(ce n'erano parecchi, mio padre leggeva moltissimo, e alla mia domanda
su quali libri potevo leggere dava la risposta che uso sempre anche io:
”tutti”). Scoprii per caso che nel cosiddetto tetto morto (il solaio),
c'erano dei sacchi di iuta con dentro libri non rilegati, fascicoli...
Un giorno presi la chiave, andai su, aprii uno di questi sacchi. C’erano
dei fascicoli meravigliosi di Nick Carter, pubblicati mi pare da Nerbini,
e più in basso dei libri dalla copertina per niente spessa, della
economica Sonzogno. Il primo che mi capitò tra le mani era La follia
di Allmayer di Conrad, e subito dopo un romanzo di un tale Georges Sim.
Devo dire che Georges Sim mi interessò moltissimo, anche se mi piacque
di più quel signore che si chiamava Conrad. Però dopo un
po', in quello stesso sacco di iuta trovai altri libri, questa volta firmati
Georges Simenon, e cominciai a leggerli. Quindi l'ipotesi di George Steiner,
cioè che non siamo noi a leggere un libro, ma il libro legge noi
e quindi in realtà ti sceglie, credo che abbia una qualche validità.
Io sono stato chiamato nel solaio per andare a trovare questi libri».
In seguito, lei ha amato soprattutto Maigret, o il Simenon romanziere?
«Ho amato soprattutto il Simenon romanziere. Era quello che a
me interessava; Maigret è venuto molto tempo dopo, e devo dire che,
nella mia personale valutazione, Maigret era subalterno rispetto ai grandi
romanzi che andavo leggendo di Simenon. Anche perché trovavo una
straordinaria affinità tra la provincia nella quale mi trovavo a
vivere, e la provincia che raccontava Simenon. Erano il più delle
volte province del nord della Francia, eppure certi modi di pensare, certe
chiusure mentali, beh erano identici. In genere, la provincia del mondo
credo sia uguale, abbia straordinarie cose in comune. Certe avarizie...
C'era la sua capacità di dare a un bambino (perché io otto,
nove anni avevo) la possibilità di potersi rappresentare questi
personaggi immediatamente, come su un teatro, come vedendoli agire su un
palcoscenico. Questa sensazione me la davano solo due cose: uno era Simenon,
l'altro era l 'Orlando Furioso letto e riletto, con le illustrazioni di
Gustavo Doré, che guardavo attentamente, per ben altre ragioni,
dato che aveva delle splendide ragazze nude che venivano salvate da paladini
bravissimi, e concupite da frati orrendi».
Qual è il romanzo di Simenon che lei può dire di avere
amato di più in assoluto?
«Il testamento Donadieu . Per me è di difficile raggiungimento
quel libro; perché poi, tra l'altro, c'è questa ingannevole
semplicità. Questa cosa che io ammiro più che altro: la semplicità
apparente del racconto, il senza sforzo, il senza intoppo col quale il
racconto fluisce. Questa è una cosa che mi è sempre piaciuta
negli scrittori che prediligo. Ciò che io chiamo la trapezista.
La trapezista nel circo equestre esegue con un’eleganza che ci affascina,
una leggerezza, con un triplo salto mortale si agguanta all'altro trapezio,
e nulla ci lascia vedere dell'esercizio quotidiano, del sudore, della paura,
della tensione, della fatica fisica, di tutto ciò che precede l'esercizio.
Ecco, amo gli scrittori che ci consegnano il momento del triplo salto mortale
della ballerina che continua a sorridere; e non ci lasciano vedere la fatica,
le sudate carte».
Nel caso di Simenon, e io direi anche nel suo caso, questo sforzo invisibile
è anche la capacità di immettere subito il lettore in un
ambiente, e non farlo uscire più fino a quando il libro è
finito. E' proprio un ambiente fisico...
«In Simenon è un esercizio che gli riesce, maledetto lui,
con una facilità estrema. In me non so, non vorrei fare paragoni.
Ma a lui riesce sempre. Entri dentro il suo ambiente, quale che esso sia.
D'altra parte, credo che sia l'unico scrittore di romanzi gialli, in cui
il commissario (Maigret) può mettersi dalla parte del morto. Le
indagini di Maigret spesso nascono perché il commissario riesce
a mettersi dalla parte del morto, a vedere le cose come le aveva viste
il morto. Ed è lo sguardo di Simenon nei riguardi della provincia,
ed è lo sguardo che ti comunica, che ti contagia. E' straordinario:
non te ne dà l'idea, però organizza il tuo sguardo, così
come lo sguardo viene organizzato da un disegno, da un quadro».
Per lei l'amore per il Simenon giallista è arrivato più
tardi?
«E' arrivato dopo. Quando il romanzo giallo conobbe una certa
diffusione in Italia, cominciò a essere comprato un po' da tutti,
anche da mio padre. Mio padre comprava i gialli nella economica Mondadori,
ma sin da subito Simenon venne pubblicato in una collana a parte, come
se avesse una statura diversa (e in realtà l'aveva). Il momento
nel quale cominciai a leggere Maigret lo presi di petto, un po' come faccio
oggi. Oggi vado in libreria a cercare se Adelphi ha pubblicato l'ultimo
Maigret. Nel ’95 per cento dei casi, fino a questo momento sono romanzi
che conosco già, ma attenzione: in una traduzione nuova, di versa,
più attenta. Perché a leggerlo nell'originale, il Maigret
di Simenon, ti accorgi che c'è qualche cosa che non funziona nel
senso dell'ovvietà della scrittura. Queste nuove traduzioni sono
più attente a quella che è la lingua originaria di Simenon».
Lisa Ginzburg
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