La Repubblica 01.07.2001
Camilleri rispolvera Sucato
e la truffa si trasforma in giallo
Montalbano invecchia. E con l'età che avanza, si scopre un po' più fragile e meno sicuro. Diventa ambientalista sfegatato, si intenerisce per un figlio mai avuto, quasi si commuove per una fidanzata che – chissà poi perché – gli vuole ancora bene malgrado lui faccia di tutto per perderla. A cinquant'anni suonati, Montalbano sente i primi dolori reumatici (l'hai voluta la villa sul mare? Pedala...) e continua a dare di testa davanti a un bel piatto di polipetti murati o a un'improbabile – e improponibile – zuppa di pirciati che abbrusciano, micidiale mistura di oglio, mezza cipuddra, dù spicchi d'agliu, dù angiovi salati, un cucchiarinu di chiapparina, aulive nìvure, pummadoro, vasilicò, mezzo pipiruncino picanti, sali, caciu picurinu e pipi nìvuro.
Mangia Montalbano, Dio solo sa quanto mangia e, soprattutto, chissà come farà a digerire. Poi, tra una cazziata a Catarella e le solite stilettate al vice Mimì Augello, il commissario più famoso d'Italia incappa in uno strano caso di truffa che riporta l'orologio della memoria all'irripetibile stagione del mago dei soldi. Quel Giovanni Sucato capace di regalare sogni a tanti ingenui palermitani che per mesi gli affidarono tutti i loro risparmi nella speranza di arricchire. I primi "scommettitori" riuscirono anche a raddoppiare il loro capitale. Poi, quando l'eco delle gesta del sedicente avvocato di Villabate cominciò ad espandersi fino a conquistare la prima pagina dei giornali, il giocattolo si ruppe e le speranze lasciarono spazio alla disperazione. Sucato sparì e, dietro di lui, cominciò a scorrere un filo di sangue: quello dei suoi "sensali", i collaboratori incaricati di raccogliere i soldi dei palermitani e uccisi per mano della mafia. E già, perché la storia di Giovanni Sucato si intreccia con gli albori della Cosa nostra imprenditoriale. Per riciclare ingenti capitali, qualche boss si lasciò convincere dalla catena di Sant'Antonio messa su dal mago di Villabate. E quando fu chiaro a tutti che Sucato era scappato con la cassa, i mafiosi truffati si vendicarono a modo loro.
Che c'entra questa storia con l'ultimo giallo di Andrea Camilleri? C'entra, c'entra. Lo spiega lo stesso scrittore di Porto Empedocle (pardon, di Vigata) nella postfazione del volume dal titolo "L'odore della notte", edito da Sellerio, 221 pagine, 18 mila lire, già primo in tutte le classifiche di vendita appena 48 ore dopo l'uscita. «L'idea di far svolgere a Montalbano un'indagine (alquanto anomala, quasi un divertissement) su un mago della finanza – spiega Camilleri – mi fu suggerita dalla lettura di un articolo di Francesco La Licata, intitolato "Multinazionale mafia", dove si accennava alla vicenda di Giovanni Sucato che riuscì con una sorta di catena di Sant'Antonio miliardaria, a metter su un impero. Poi, saltò in aria con l'auto».
In realtà, tra Emanuele Gargano – protagonista de "L'odore della notte" – e l'avvocato di Villabate, le similitudini non sono poi così tante. Intanto Gargano è un bell'uomo, gaudente e molto curato nel vestire. Del povero Sucato, tutto si poteva dire, tranne che fosse una specie di Adone. A parte i differenti gusti sessuali – il truffatore dipinto da Camilleri è omosessuale – la mafia, nel libro, non c'entra nemmeno di striscio. La tira fuori soltanto uno stolto collega di Montalbano, capace solo di sorridere alle conferenze stampa ma fuori pista dalla prima all'ultima pagina del romanzo. Il filo conduttore dell'ultimo giallo di Andrea Camilleri, però, ruota proprio attorno al sogno spezzato di tanti risparmiatori. Il tutto condito dall'attempata segretaria del truffatore, innamorata fino all'inverosimile del suo datore di lavoro, dall'immancabile bellona che tenta (invano) di sedurre il nostro eroe, dall'eterna fidanzata Livia e un suo regalo maltrattato da Montalbano, e dal consueto staff del commissariato di Vigata con un Mimì Augello che – per il momento – riesce a scansare in extremis le tanto temute nozze. A sorpresa, Camilleri rispolvera anche il piccolo Francois del «Ladro di Merendine", quasi a voler rimarcare agli affezionati lettori la continuità con le precedenti avventure vigatesi.
Solo che "L'odore della notte", quello che «cangia a seconda delle ore» e che, quando comincia ad albeggiare «si trasforma in odore leggero, fresco, d'erba giovane, di citronella, di mentuccia», sembra lontano anni luce dai primissimi gialli dello scrittore agrigentino. E' un Montalbano diverso, più moderno, a tratti anche più rilassato. Ma è, soprattutto, un Montalbano che ha la testa pelata e gli occhi piccoli e vivaci di Luca Zingaretti. Insomma, è come se Camilleri abbia scritto questo romanzo sapendo già di vederlo tra qualche mese in tv. Sono diversi i tempi della narrazione, non mancano descrizioni che somigliano tanto a piani sequenza da fiction televisiva. Insomma, è come se lo scrittore, più che un nuovo libro, abbia scritto la sceneggiatura del prossimo film. Il che, per carità, non sminuisce il piacere di una lettura fresca e suggestiva. Solo che il commissario della "Forma dell'acqua" o del "Cane di terracotta" era più convincente, forse anche più vero. Come direbbe Camilleri, quel Moltabano piaceva assà. Questo, un po' meno.
Lucio Luca