L'Unità 05.11.2001
Camilleri - Il vento freddo del potere
Dal nuovo romanzo "Il re di Girgenti" al cattivo governo italiano: intervista a tutto tondo con lo scrittore siciliano

Il re di Girgenti lo si potrebbe definire come una summa dell’opera di Camilleri, è un romanzo storico che racchiude il meglio della sua produzione letteraria, ma per molti versi va oltre. Al centro di questa produzione vi è la storia, come spunto o come punto di riferimento. Dalla storia e dal valore di essa nella scrittura di Andrea Camilleri, prende l’avvio il nostro dialogo con lo scrittore siciliano che rappresenta un fenomeno sui generis nella storia della letteratura italiana della seconda metà del ‘900 e di questi inizi del nuovo millennio.
“In tutta la mia produzione letteraria – spiega Camilleri – la storia assume un valore importante. I miei romanzi hanno dei riferimenti storicotemporali, che poi rielaboro in maniera del tutto soggettiva. Nel Re di Girgenti, in particolar modo, la presenza della storia è un riferimento costante. Una cornice che ha una funzione rilevante nel meccanismo del racconto”.
Qual’è la sua concezione della storia? Qualche anno fa lei parlò di visione dialettica, hegelo-marxista…
“E continuo ad essere della medesima idea. La lettura dei processi storici, priva di un supporto interpretativo, è inconsistente. la storia senza una chiave di lettura sarebbe una successione incomprensibile dei fatti Ritengo che l’importanza della lettura marxista della storia sia essenziale per spiegare la struttura e la dinamica delle classi sociali”.
Nel Re di Girgenti scrive di rivoluzione e di controrivoluzione. Qual è il suo concetto di rivoluzione?
“La rivoluzione la intendo come una forza propulsiva, come il convergere di alcune situazioni storiche che determinano l’esplosione di tutte le valvole di sicurezza. la rivoluzione è un avvenimento che cambia il mondo. Pensi alla Grande Rivoluzione francese, ed ai mutamenti che ha apportato nella storia dell’Occidente. Ed ancora, nell’antichità, alla forza rivoluzionaria di Gesù Cristo”.
Nel suo romanzo vi è invece la storia di una rivoluzione impossibile?
“Esatto, una rivoluzione impossibile. Ma vede, Zosimo ha pienamente coscienza di ciò. Sa benissimo che il suo è un tentativo utopico. Il suo obbiettivo è quello di regalare un sogno ai contadini, che vivono in condizioni disperate, ed in parte ci riesce. E’ chiaro che poi arriva la controrivoluzione, la restaurazione, Zosimo la intuisce, ma non arretra…”.
Determinante nella sconfitta della rivoluzione di contadini è il gioco delle alleanze tra i nobili, o poteri forti dell’epoca. Lei descrive uno Zosimo prudente, accorto, ma che nulla può contro le trappole dei potenti.
“Ho voluto raccontare i meccanismi del funzionamento del potere, le strategie e le alleanze”.
Così come ne La mossa del cavallo?
“Certo. Mi fa piacere che lei abbia colto questa connessione. Per me è importante descrivere e raccontare i meccanismi di costruzione del potere, che sono nodi cruciali dei passaggi e degli accadimenti storici. Vede, le alleanze dei nobili, messe in atto solo quando i loro interessi sono minacciati, esprimono lo spirito autentico di quello che possiamo definire conservazione dell’esistente. L’esigenza che nulla cambi. Ma attenzione questa posizione, che in altri termini è stata espressa nel Gattopardo, non era quelle delle masse di diseredati siciliani. “Il basso verminaio”, voleva cambiare, voleva migliorare le proprie condizioni di vita. Le parole del principe Salina nel Gattopardo sono state assunte ad immagine della cultura siciliana, hanno costituito l’esempio di uno stereotipo in negativo, ma sono il frutto di un fraintendimento”.
Perché fallisce il sogno di Zosimo?
“Mancanza di un progetto politico realistico. Le speranze dei contadini non avevano un collante programmatico, erano solo un sogno. Ricordiamoci che la rivolta di Girgenti è un fatto realmente accaduto agli inizi del Settecento, siamo molto lontani dall’elaborazione di culture politiche che rappresenteranno in seguito le masse popolari. E vi è anche un’altra cosa da dire. La legittimazione del potere nell’epoca presa in considerazione avveniva dall’alto, ogni ipotesi rivoluzionaria era del tutto utopica”.
Lei ha parlato di rivoluzione e non di semplice rivolta. Perché?
“Sul piano letterario non vi sono i vincoli del linguaggio storiografico, ma vi è comunque una ragione sul mio insistere sul termine rivoluzione. Molte rivolte contadine sono state considerate avvenimenti minori della storia, roba da mettere quasi fra parentesi. Ora senza entrare nel merito delle categorie storiografiche, ho letto studi seri e rigorosi nei quali queste rivolte vengono rivalutate o meglio valutate per quel che realmente sono state. Ho voluto ridare dignità ai moti contadini, spesso sottovalutati e dimenticati”.
Dalla visione storica alla filosofia. In questo suo ultimo romanzo storico, emerge una concezione della vita umana, quale esistenza individuale affidata al gioco del destino. Mi riferisco alla metafora delle formiche…
“Non è la mia, è quella del personaggio. Il protagonista Michele Zosimo, capisce di fronte alla morte, di essere una formica. Mentre sale sul patibolo, su uno dei gradini vi è una fila di formiche, lui può decidere quale far vivere o quale far morire. come Dio. O come il destino, il caso. E’ un’immagine forte, relativa al romanzo”.
In questo scritto affronta in maniera evidente il concetto della morte. L’idea della morte coincide con la metafora delle ossa del bambino che “si sfarinano”?
“L’idea della morte è proprio quella della grande siccità, nella quale vi è l’immagine delle ossa del bambino che si sfarinano. E’ la metafora della morte passiva. Quella di Zosimo è invece una morte attiva, rielaborata intellettualmente e vissuta istintualmente dal protagonista del romanzo che ascende al patibolo, salendo i 5 gradini che lo separano dalla fine della sua esistenza. L’affidarsi alla memoria, è la volontà dell’uomo di non scomparire. E quando la conoscenza si arresta, subentrano i sensi, che alimentano la fantasia”.
Crede nella metafisica?
“Non in quella classica, trascendente, che deriva dalla tradizione greca, successivamente ripresa da quella cristiana. Credo in una metafisica laica, che possiamo identificare nella memoria collettiva. Vede, una volta Ruggero Jacobbi mi definì un materialista storico, il quale crede che il materialismo sia una metafisica come le altre”.
Lei prima accennava in maniera critica agli stereotipi ed ai pregiudizi culturali sulla Sicilia. Vi sono, però, autorevoli opinionisti, che sostengono che Camilleri rappresenta nei suoi testi una visione in negativo dell’isola. Qual è la sua posizione?
“Non ho mai rappresentato in negativo la Sicilia. I giornali tedeschi, francesi, inglesi, hanno scritto che Camilleri evita i luoghi comuni, descrive una Sicilia diversa da quella della Piovra, non utilizza vecchi e triti stereotipi. Non capisco perché in Italia vi siano alcuni autorevoli commentatori che scrivono il contrario. Siccome ho rispetto culturale per alcuni di questi opinionisti, li invito a leggere con più attenzione i miei libri. E non vi è alcuna intenzione polemica in queste dichiarazioni. Non vi sono venature ironiche. Vorrei che lo scrivesse”.
Si è chiesto perché una parte della critica letteraria snobba i suoi romanzi storici?
“Vede, la critica letteraria, o parte di essa, predilige le classificazioni schematiche, dentro le quali si addormenta. Allora Camilleri è stato classificato come scrittore di gialli. tutto deve rientrare in questo schemino. Pensi, anche la biografia su Pirandello è stata definita un giallo. La concessione del telefono, un giallo, e così via. E’ uno schema che viene applicato in maniera acritica e ripetitiva”.
Tempo fa disse che tirava una bruta aria in Italia. Dopo l’intervento di Tabucchi pubblicato in Italia su l’Unità e le reazioni che ha suscitato, qual’è la sua percezione?
“Che continua a tirare un vento peggiore. Tabucchi non è un pèolitico e non ha usato mezzi termini. L’Unità ha fatto benissimo a pubblicare il suo intervento. Mi ritrovo nelle posizioni di Tabucchi e apprezzo moltissimo la scelta di Furio Colombo di pubblicarlo. L’altro giorno c’era un intervento di Giovanni Sartori sul Corriere della sera, che riprendeva lo stesso tema di Tabucchi. Usava un linguaggio diverso, ma poneva lo stesso problema. E’ importante riflettere su questi argomenti in maniera libera e critica”.
Ne deduco che è preoccupato per il clima che si è venuto a creare in Italia.
“Tutto quello che attiene al modo di procedere di questo governo è veramente pericoloso, a tratti inconsciamente pericoloso. Mi spiego meglio. Si sono resi conto del valore di Tano Grasso solo dopo le polemiche, evidentemente prima non lo avevano capito. Nessuno può pensare che un governo intenda favorire l’usura, questo sarebbe assurdo. Ecco perché dico che sono inconsciamente pericolosi, perché spesso non si rendono conto di quello che fanno. Vi sono cose che appartengono ad un comune denominatore di non conoscenza. Ad esempio quando il ministro Lunardi paragona i morti per incidenti stradali ai morti per mafia. Diverso è invece il discorso sulle rogatorie, il falso in bilancio, la non risoluzione del conflitto di interessi, in questi casi si tratta di scelte strategiche, volute, perseguite”.
Qualche mese fa lei ha parlato di una capacità di resistenza degli italiani. Dopo le elezioni nazionali vinte da Berlusconi il centro-sinistra ha prevalso nelle grandi città. Qual è adesso il suo giudizio?
“ Sia chiaro, Berlusconi ha vinto legittimamente le elezioni, è stato votato democraticamente dal popolo. Dunque governa. Su questo punto la penso come Indro Montanell che diceva, lasciategli fare questa esperienza. Come una sorta di vaccino. Poi gli italiani giudicheranno. Ora Berlusconi sta operando, vedremo…”.
Come l’11 settembre ha cambiato il mondo?
“Io credo che si stia verificando una opposizione di civiltà, e ritengo che questo sia un grave errore. Si è ampliato il concetto di terrorismo, estendendo tale termine all’Islam. Non c’è dubbio che Bin Laden ed i suoi seguaci siano dei terroristi, ma è sbagliato legare il concetto di terrore sic et simpliciter al mondo islamico. Ancora, mi chiedo il significato dell’espressione guerra lunga, non doveva essere una azione di polizia internazionale? La guerra è uno scontro tra Stati, l’azione di polizia internazionale è un’altra cosa. sulla questione della lotta al terrorismo porrei un altro dubbio, la Spagna per combatterlo nei Paesi Baschi non li ha di certo bombardati. E potrei fare tanti altri esempi. le bombe non risolvono la questione, se non si eliminano le radici dalle quali scaturisce il terrorismo”.
Ma come si colpiscono le basi del terrorismo?
“Guardi, sia chiaro, la reazione degli Stati Uniti è legittima e comprensibile. L’opinione pubblica americana chiedeva una reazione, perché è stata colpita in maniera orrenda e drammatica. Anzi a scanso di equivoci, le dirò che i bombardamenti erano inevitabili e doverosi. Non vedo però da parte degli Stati Uniti e degli alleati una azione che tenda a risolvere il problema nella sua complessità. Le condizioni affinché il terrorismo venga sconfitto non le sta creando nessuno”.
Non le sembra che gli Stati Uniti stiano lavorando per creare una alleanza quanto mai ampia contro il terrorismo, dialogando con gli Stati arabi moderati?
“Mi sembra che i paesi arabi moderati siano alleati degli Stati Uniti obtorto collo. Hanno i loro interessi a dirsi alleati degli americani, ma nel contempo ripetono ”attenti al Ramadan”. Hanno dei gravi problemi interni a livello di opinione pubblica. Non credo che il generale alla guida del Pakistan non si accorge che tre quarti della sua popolazione sta con i Talebani. Ebben, voglio dire che vi sono delle enormi contraddizioni, e per risolverle non bastano le bombe. Se Bin Laden verrà catturato, vi è il timore che altri prendano il suo posto, come per diritto ereditario. Perché rimane il substrato, rimangono le condizioni che permettono al terrorismo di attecchire”.
Salvo Fallica