La Repubblica 27.09.2001
‘900. La mappa del racconto italiano
Nello Ajello
ROMA - Le antologie sono templi consacrati al dio Arbitrio. Sembrano
fatte apposta per suscitare polemiche a proposito di inclusi ed esclusi,
presenti e assenti, promossi e bocciati, immancabili e dimenticati. Chissà
se si sottrarrà a un simile destino l'antologia dei Narratori italiani
del Novecento, che Enzo Siciliano ha composto in tre densi tomi per i Meridiani
di Mondadori, e che arriverà presto in libreria (in cofanetto, lire
285.000). Sempre a cura di Enzo Siciliano, con identici editore e titolo,
era uscita diciotto anni fa un'antologia analoga, che però constava
di un unico volume. Le millecinquecento pagine del 1983 diventano ora più
di cinquemila. I settantun narratori, rappresentati ciascuno con un racconto,
sono oggi quasi trecento. Una conversazione con l'autore deve dunque partire
da questo radicale ampliamento.
Siciliano, perché questa edizione allargata? Un motivo di base
è intuibile. L'antologia del 1983 presentava vuoti vistosi, perfino
ingenerosi. Impressionava non vedervi rappresentati (per fare qualche nome)
Borgese, Bianciardi, Berto, Bufalino, Eco, Arpino, Giancarlo Fusco, Carlo
e Primo Levi, Malaparte, Meneghello, Ottieri, Prisco, Volponi, Zavattini.
E poi tutti i "prosatori d'arte", gli ermetici, da Alessandro Bonsanti
a Gianna Manzini, da Arrigo Benedetti a Guglielmo Petroni. Tutti autori
che sono stati recuperati nell'edizione attuale. Insomma, hai cambiato
idea?
"In un certo senso, sì. Oggi la penso diversamente. Mentre nel
1983 avevo sentito di dover escludere dall'antologia il "bello stile",
farlo adesso mi sembrerebbe un errore. Mi sono convinto che gli scrittori
italiani
sono stati assai più vicini alla realtà nazionale
di quanto possa pensarsi. Nel complesso, la vita italiana l'hanno raccontata.
Perfino gli ermetici. La loro astrattezza testimoniava la difficoltà,
da parte della piccola borghesia intellettuale cui appartenevano, di esporsi
al vento terribile del Novecento. Hanno narrato gli eventi attraverso la
paura che ne provavano. E io ho scoperto, rispetto a prima, che si può
partecipare al proprio tempo anche in modi segreti e inconsapevoli, opponendogli
una renitenza istintiva. Il che mi ha aiutato a concludere che, nel momento
stesso in cui ti sforzi di rifiutarla, la storia t'investe. Non c'è
riparo alla storia".
Certe new entries (come oggi usa dire) devono essersi imposte di prepotenza.
Aldo Busi o Andrea Camilleri, diciamo. Per non parlare di Eco. Personalmente,
mi emoziona l'inclusione di due scrittori raffinati e appartati (sia pure
in modi diversissimi), come Ubaldo Bertoli e Giovanni Ferrara. Poi ci sono
gli "sfizi". Esempio, Francesco Guccini, celebre cantautore che tu promuovi
autore di racconti. Ben venga la promozione. Ma vogliamo parlarne?
"Il fenomeno Busi è innegabile. Non avevo inserito Eco perché
nell'83 non s'era ancora capito che cosa fosse come narratore. Il caso
Camilleri è recente: l'ironica aristocrazia con cui questo scrittore
usa il dialetto è il ritratto quasi ineffabile di certi costumi
del nostro Sud. Bertoli lo trovo strepitoso. Il settantatreenne Ferrara
è una novità nella narrativa degli anni Novanta. Guccini
è un contadino becero dell'Appennino tosco-emiliano che sa raccontare
come quei contadini non si siano scollati di dosso i costumi dei loro bisnonni".
Tredici scrittori sono presenti nell'edizione attuale con un racconto
diverso di quello scelto nell'83. Sostituzioni spesso felici: Moravia,
Soldati, La Capria, Ortese figurano nei tre volumi con testi assai "tipici"
della loro produzione. Mi domando se in qualche caso simili cambi riflettano
un mutato orientamento critico.
"Ho cambiato idea anche su qualche particolare. Ma ci sono stati soprattutto
motivi di diritti d'autore. Bompiani, per esempio, mi ha concesso quelli
relativi al racconto Inverno di Malato di Moravia, dei quali non disponevo
nell'83. Einaudi mi ha permesso di pubblicare Lo scialle andaluso di Elsa
Morante".
Le tue scelte mostrano una notevole disinvoltura riguardo ai "generi".
Non esiti a pubblicare, per esempio, i racconti di giornalisti. A cominciare
da Gianni Brera.
"Che cosa c'è da meravigliarsi? Sono decenni che Gianni Brera
è stato "promosso". Giustamente, a mio parere".
D'accordo. Sono d'accordo anche a proposito dei critici, da Giacomo
Debenedetti a Pampaloni a Macchia, da Garboli a Cases, che figurano fra
i "Narratori italiani". Anche se tu stesso scrivi, a un certo punto, che
si tratta di saggisti "tentati" dalla narrativa. Evidentemente, questa
tentazione ti basta.
"Basta e avanza. Nei testi dei critici, che ho incluso, si avverte
la vita italiana. Il suo colore. Il suo fiato. La loro non è, a
ben vedere, né una semplice tentazione, né una velleità.
E adesso voglio parlare di un mio rammarico: mi è stata negata dagli
eredi una pagina straordinaria in cui Giuseppe Prezzolini racconta un suo
incontro con Mussolini a Palazzo Venezia, sulla fine anni Venti".
Può sorprendere che tu abbia associato alla partita Giorgio
Scerbanenco e Luciano Zuccoli, considerati per tanti decenni scrittori
"d'intrattenimento" o "di consumo". Perché storcere la bocca?, devi
esserti chiesto.
"Fin dal titolo - Tu non sei tu! - il racconto di Zuccoli fa il verso
in maniera impagabile a quel pirandellismo ambulante, o da drogheria, che
era molto diffuso da noi negli anni fra i Dieci e i Venti".
Non mi dirai adesso che anche Scerbanenco...
"Ho incluso con piacere la sua Milano "nera". Così saporosa.
Così piena di delitto e di intrigo".
Ti sei imposto la regola di adottare solo gli scrittori che abbiano
superato i quarant'anni. Questo discrimine anagrafico ti è costato
qualche rimpianto?
"Un rimpianto ce l'ho. Niccolò Ammaniti. Mi pare che sia già
uno scrittore maturo, formato, molto identificabile".
Il lettore può essere incuriosito dal fatto che nell'antologia
ci sia un racconto tuo. Un racconto del curatore. Puoi rivelare chi l'ha
scelto, quel racconto? Tu stesso o qualcun altro: un familiare, un amico,
un collega, un consulente?
"La decisione d'inserire un mio racconto è stata presa da Renata
Colorni, che alla Mondadori dirige l'editoria letteraria. L'editor Antonio
Franchini ha poi scelto quale racconto metterci. Sono trent'anni, d'altronde,
che Enzo Golino lo trova un bel racconto".
Letta da uno straniero, l'antologia riesce davvero a raccontare un
secolo d'Italia? E che paese ne viene fuori? Quali fasi storiche vi si
individuano? Quale patria vi si può contemplare o riconoscere?
"Credo che quel lettore straniero ce la ritrovi, l'Italia. Penso che
possa scorgervi il ricordo delle sue guerre, i conflitti sociali che l'hanno
attraversata, il modo in cui vi si è espresso il vitalismo fascista.
Sto parlando della presenza, nell'antologia, sia di Marcello Galliani,
sia - soprattutto - di Alessandro Pavolini. Al polo opposto c'è
l'utopismo pensoso della sinistra, di cui è una testimonianza felice
il racconto di Carlo Levi, Terza giornata. Nel complesso, si disegna -
come ho già accennato - l'immagine d'un paese di larghissima estrazione
contadina, e piccolo-borghese, con una intellighenzia assai ristretta.
Mi pare che il conflitto fra città e campagna attraversi tutto il
secolo "italiano" come un filo rosso".
Tutto il secolo? Fino ai nostri anni così poco "agricoli", sui
quali si stende il compiacimento - o lo sgomento - della "globalizzazione"?
"Si tratta solo di una patina. L'Italia è cambiata, sì,
ma poco. Quel contrasto di cui dicevo, mai diventato limpido, è
una specie di scimmia su una spalla del paese. Noi ce ne vergogniamo, e
facciamo male. Dovremmo guardarci in faccia per capire che in fondo non
siamo dei mostri accampati nel mondo moderno. Anche se lo fossimo, dovremmo
avere il coraggio di riconoscerlo".
Si ha qualche ritegno a trattare gli scrittori come se fossero numeri:
ma qui, per riemergere da cinquemilasettecentottantadue pagine, un po'
di statistica e` consentita. Nell'edizione attuale dei "Narratori italiani"
hai recuperato ben centosettanta autori omessi nella precedente. E ne hai
aggiunti, per gli ultimi vent'anni considerati, appena cinquantasette.
Questa disparità nasconde un giudizio negativo sulla stagione narrativa
degli 'under quaranta"?
"Qualcuno dirà che pure cinquantasette sono troppi".
E tu che cosa risponderai?
"Che non mi trovo d'accordo: secondo me, troppi non sono. Che ne esistono
altri, meritevoli di essere considerati. E che tuttavia ho cercato di introdurre
nell'antologia solo chi avesse alle spalle una serie di titoli significativi".
Avvolge l'antologia il sentore del "troppo". E' la sindrome monumentale
che contagia tante edizioni di classici, non esclusa qualcuna dei "Meridiani".
Nel tuo caso, si può forse mettere in conto anche la preoccupazione
di non compromettersi con scelte ttaglienti, adagiandosi invece su un eclettismo
ecumenico.
"Respingo l'accusa di ecumenismo. Ho accostato Zuccoli, Scerbanenco
e il giallista Renato Olivieri a Carlo Emilio Gadda e a Tommaso Landolfi.
Se non è questa una scelta tagliente...".
Siciliano, quale accoglienza ti aspetti dopo questa impresa? Quanti
scrittori, esclusi, si dispiaceranno? Fino a che punto potrà servirti
da scudo la barriera della data di nascita, che ti permette di escludere
i più giovani, fra i quali conti - anche per la tua posizione di
direttore di Nuovi Argomenti - tanti allievi ed amici?
"I collaboratori giovani di Nuovi Argomenti non hanno ancora quarant'anni:
la barriera, quindi, mi aiuta. Anche loro, però, le ossa devono
farsele. Ovvero, se vogliamo metterla un po' più sull'aulico, diremo
con Eliot che "la tradizione bisogna conquistarsela"".