Il Resto del Carlino 01.09.199
A Catania lo scrittore siciliano e' tornato al teatro, suo vecchio amore.
Ma ha gia' pronti due nuovi libri
Il dottor Camilleri e Mr. Montalbano
"Mi riconosco nel mio commissario? Per certi aspetti
si'... Se parlo della politica o della mafia mi guardo bene
dal montare in cattedra: mi basta mettere una pulce
nell'orecchio, libero poi ognuno di ragionare"
di Ugo Ronfani
Se non fosse per lui saremmo
travolti, alla rentrče
editoriale, dall'alluvione
dei thriller americani. Ma a fare
argine c'e' lui, Andrea Camilleri.
Con la foga del settuagenario
arrivato tardi alla letteratura
e con il gusto, forse, di
prendersi una rivincita sugli
editori che fino a qualche anno
fa lo ignoravano, Camilleri
pubblichera' da Mondadori,
una nuova raccolta di racconti
di Montalbano mentre, fedele
a chi ha creduto in lui, sta ultimando
per Elvira Sellerio un
nuovo romanzo il cui protagonista
e' il celebre commissario.
Finiti i tempi in cui Camilleri,
come giallista, era soltanto lo
sceneggiatore e il regista delle
serie televisive del tenente
Sheridan e del commissario Maigret: ora lo si considera il
Simenon italiano (definizione
che poco definisce), l'autore
di polizieschi ad alto tasso di
dignita' letteraria. Ma e' sbagliato
dimenticare che Camilleri -agrigentino
di Porto Empedocle
- e' stato fino all'improvvisa
ed irresistibile ascesa letteraria
uomo di teatro e di televisione:
un passato di cui non sa
e non vuole disfarsi, tanto che
ha finito per accettare l'invito
del sindaco di Catania, Bianco,
di assumere - succedendo
alla strana coppia Battiato-Sgalambro
- la direzione del
festival dell'estate catanese
Suoni di Versi insieme al
londinese Michael Nyman per
la parte musicale. Un modo,
anche, per farsi perdonare il
gran rifiuto di assumere la
direzione dello Stabile di Catania
al posto di Baudo (" Montalbano
mi tiranneggia, ormai viene prima di tutto").
Parliamo, prima di tutto,
del suo commissario. Dei racconti
presto in libreria.
"Sono 20; Mondadori spera
che finiscano sotto l'albero di
Natale degli italiani, ed io con
lui. Il primo titolo doveva essere
proprio 'I racconti di Natale
di Montalbano', il che faceva
un po' Dickens. S'intitolera' invece
'Gli arancini di Montalbano',
dal primo dei racconti: fa
Sicilia, fa festoso e ricorda
che Montalbano non disprezza
la buona tavola".
Visto che di racconti si tratta:
vogliamo accostarli ai
Racconti del maresciallo
del compianto Soldati?
"Nessuna obiezione, Soldati
ed io ci siamo conosciuti proprio
grazie alla televisione. Sono
stato un suo lettore assiduo.
'I racconti del maresciallo'
hanno contribuito a fare entrare
il poliziesco all'italiana
in letteratura".
La Sellerio attende con impazienza il suo nuovo romanzo:
vogliamo sapere.
"Sara' il quinto della serie Montalbano. E' mia intenzione
dedicarlo a Orazio Costa mio
maestro. Fu lui, insieme a Silvio
D'Amico, a decidere della
mia vocazione teatrale. Prima
di diventare insegnante all'Accademia
fui suo allievo; e' da
lui che ho imparato il mestiere.
Quanto al titolo, salvo ripensamenti,
'L'albero della ragione'.
Non e' troppo serio?»
Impegnativo. Fa pensare a
Graham Greene: «Il fattore
umano», «Il potere e la gloria»...
Se allude all'opportunitą
che la Sicilia, e il paese,
questo albero lo irrobustiscano,
benissimo. In fondo Montalbano,
anche se la retorica
non gli piace, crede nella societa'
civile.
"Sa, certe cose cerco di dirle
in sordina. Se parlo della politica,
o della mafia, mi guardo
bene dal montare in cattedra.
Attraverso Montalbano vorrei
mettere la pulce all'orecchio:
alludere. Libero poi, ognuno,
di ragionarci sopra".
Se l'aspettava questo successo
a scoppio ritardato?
"Assolutamente no. Tant'e' vero
che a meta' degli anni '70,
dopo inutili tentativi di fare
stampare il mio primo romanzo,
'Il corso delle cose', dove
il commissario Montalbano si
chiamava maresciallo Corbo,
mi ero convinto che scrivere
non era affar mio. Il rifiuto degli
editori mi blocco'"
Vogliamo fare la storia delle
peripezie editoriali di quel
primo romanzo?
"Acqua passata. Senza rancore.
Il titolo veniva da una citazione
di Merleau- Ponty: 'Il
corso delle cose e' sinuoso'.
Cosi' e' stato. Dissero no, per
varie ragioni, Lacaita, Marsilio, Bompiani, Garzanti, Feltrinelli,
gli Editori Riuniti e altri.
Poi dal romanzo si fa uno sceneggiato
tivu' e un editore toscano
a pagamento, Lalli, lo
pubblica senza chiedermi un
soldo purche' nei titoli di coda
appaia il suo nome. Nel '98
Sellerio lo ripubblica, due edizioni
in un anno.
Stendiamo un velo pietoso
sulla perspicacia degli editori.
Ma il successo, allora: come
spiegarlo?
"Non so, forse e' vero quello
che ha ipotizzato Carlo Bo:
che 'Il cane di terracotta', il
primo Montalbano, rinnovava
il poliziesco all'italiana, in un'
ambientazione 'ideale' come
la Sicilia. Proponeva un personaggio
diverso da quelli di
Doyle o di Simenon".
C'e' altro, c'e' la lingua dei
suoi romanzi. Come lei sa,
l'hanno chiamato il Gadda
siculo.
"Con tutto il rispetto per Gadda,
il cui esempio mi libera da
remore ed esitazioni, credo di
dover poco o nulla al suo stile.
La lingua gaddiana muove da
piu' lontano, persegue scopi
piu' vasti".
Pare che Gadda cerchi il senso
della parola in un labirinto
del linguaggio alla Borges,
mentre per lei la verita'
della lingua e' antropologica,
ha radici in un luogo.
"Quando cominciai a scrivere,
giovanissimo, acerbi racconti,
mi resi conto che usavo
parole che non mi appartenevano.
Le stesse con cui avrei
potuto compilare una domanda
in carta bollata. Invece, le
parole giuste le trovavo nel
mio dialetto. Capii che per essere
vero dovevo usare il linguaggio
della tribu'".
Cioe'?
"Il lessico famigliare della
mia gioventu', quel misto di
dialetto, linguaggio notarile e
lingua colta, impastato di ironia
e sottintesi, con cui comunicava
la piccola borghesia siciliana.
I romanzi di Montalbano
cercano di approfondire la
ricerca di questa lingua".
Un esercizio facile, fra istinto
e memoria?
"No, difficilissimo. Ho riscritto
'Il corso delle cose' 4 o 5
volte. Non so lavorare su schemi,
per me la preparazione di
un romanzo e' soltanto mentale.
Di un libro finito non conservo
un appunto. Ma torno
molto sulla pagina. L'ultima
verifica e' la lettura a viva voce.
A mia moglie".
Una leggenda la sua naturale
facondia?
"Nello scrivere tutto e' pazienza,
ricerca, fatica. Lo diceva Flaubert".
Sbaglio dicendo che, in lei,
l'uomo di teatro da' una mano
al narratore? Nel taglio
delle situazioni, nell'incastro
dei dialoghi, nelle didascalie
ambientali.
"S'e', inevitabilmente. I 40 Pirandello
che ho allestito, le 8
commedie di Eduardo che ho
prodotto in tv ma anche gli Adamov, i Durrenmatt, i Beckett
che ho messo in scena mi
hanno aiutato a trovare le scansioni
e i ritmi del racconto".
Intorno a Montalbano si parla
anche napoletano, veneto,
milanese, genovese, piemontese.
"Si', il gioco delle 'lingue della
tribu' mi ha preso fino in fondo.
Qui devo dire grazie ai maestri
dei nostri dialetti: i De Filippo,
il Goldoni, il Porta, il Bertolazzi, Firpo e Govi, il Bersezio".
Modelli linguistici a parte, si
riconosce in qualche maestro?
"Potrebbe un siciliano ignorare Pirandello? Un giallista Simenon?
Ma faccio due nomi
che vengono prima degli altri: Gogol, cioe' Brancati in versione
siciliana, e Flaubert".
Flaubert?
"'Madame Bovary' e 'L'educazione
sentimentale' sono strutture
narrative perfette. Flaubert
e' l'arte della 'nuance', la
levita' del racconto. Ora, io vorrei
che Montalbano fosse riconosciuto
come il contrario del
poliziotto tutto d' un pezzo.
Come uno che si puo' invitare
a cena senza timore, come diceva Durrenmatt".
Identikit del commissario.
"E' leale anche con gli avversari.
Gli piace indagare non
per la carriera ma perche' i conti
tornino. Non e' come Maigret,
che ha un po' la fissa del
mestiere. Ama la buona tavola
e le donne, quelle che lo sopportano,
come Livia. Crede
nell'amicizia fra uomo e donna.
E la flaubertiana leggerezza,
se si vede, viene dal suo essere
siciliano".
Direbbe, Camilleri, "Montalbano
c'est moi"?
"Per certi aspetti si'. Ma questo
bisognerebbe chiederlo a
chi mi legge e mi conosce. A
mia moglie, per esempio".
Il suo festival si sgrana con
successo nelle notti di Catania.
Vogliamo parlarne?
"Per la musica, con Nyman, la
voglia di rompere le barriere
fra classico e popolare, folk e
rock, ritmo e melodia. Per gli
incontri culturali, i politici che
si mettono al servizio degli
scrittori: Bertinotti che legge
Ammanniti, Veltroni che legge Riotta, io che leggo Montesano.
Per il teatro, la regola
dell'incontro fra il testo e il
luogo. Cortili, piazze, sagrati,
scorci di vie dove gli allestimenti
trovano radici. La scelta
e' caduta su tre testi di siciliani
che sono altrettanti modi di
raccontare la Sicilia. Il primo,
'La Messa della misericordia'
ripropone un catanese misconosciuto
del primo Novecento,
Pietro Mignosi, con una
straziante parafrasi liturgica
intorno alla fede degli 'ultimi',
che la giovane regista Maria
Luisa Bigai, mia allieva,
ha trasformato, protagonista
Anita Bertolucci, nel teatro
grottesco dell''esperpento' dello
spagnolo Valle Inclan. Giuseppe
Di Pasquale, con Giuseppe Pambieri, cura la versione
teatrale del 'Don Giovanni
in Sicilia' di Brancati nei luoghi
stessi evocati nel romanzo,
tra la via Etnea e la via Crociferi;
e Armando Pugliese, a
Palazzo Platamone, racconta
con Giulio Brogi il viaggio,
mitico e sapienziale, del padre
e del figlio nelle 'Citta' del
mondo' di Vittorini: dal romanzo
postumo al film alla
scena. Ho voluto i tre eventi
come proposta di una cultura
siciliana ricollocata nei luoghi
in cui e' nata: cosi', secondo
me, dovrebbe essere un vero festival,
se vuole essere dalla
parte della gente".