home page





Montalbano sono!

Conversazione di Mario Pintacuda






Professore Pintacuda

Presidente -Pintacuda - Direttore





Alunni II H

Direttore





Presidente

Catarella al PC







1. Il "caso" Camilleri

Il successo raggiunto da Andrea Camilleri negli ultimi anni ci pone indubbiamente davanti ad un "fenomeno" letterario con poche analogie in Italia. Le sue opere (e non solo quelle che hanno come protagonista il commissario Montalbano) occupano per mesi i primi posti delle classifiche dei libri più venduti: in tutto quasi cinque milioni di libri venduti in Italia (editi da Sellerio, Mondadori, Rizzoli). Si moltiplicano le traduzioni all'estero, dal tedesco al portoghese, dallo spagnolo all'olandese, dal danese al ceco, dal norvegese al polacco e all'ungherese, perfino in giapponese, in turco e in antico gaelico; Camilleri è lo scrittore italiano più letto in Francia. Lo scrittore ottiene riconoscimenti sempre più significativi (premi letterari - ad es. nel 1998 il Premio Flaiano per La voce del violino, l'anno scorso il Premio Mondello della Fondazione Andrea Biondo per Il re di Girgenti - , la nomina a presidente dell'Ente Autori, l' incarico di direttore artistico dell'Estate Teatrale Catanese, la recente nomina a Grande Ufficiale da parte del Presidente Ciampi). Camilleri viene chiamato in tutta Italia e all'estero per parlare dei suoi libri, dei suoi personaggi, della sua vita e del successo arrivato "tardi", nella piena maturità. Viene studiato nelle università ed è diventato un vero e proprio oggetto di culto per molti giovani: c'è chi lo avvicina con le richieste più incredibili, dall'autografo su un braccio alla domanda di poter accarezzare le sue folte sopracciglia. Viene coinvolto nei fatti di cronaca (di recente ha inviato una lettera agli operai cassintegrati della Fiat di Termini), viene chiamato a collaborazioni a riviste e quotidiani, dà origine a veri e propri "fans club", il principale dei quali ha sede proprio qui a Palermo, ove è stato creato un sito telematico ad opera del "Camilleri fans club". Diamo allora qualche notizia biografica su questo autore che è diventato ormai un "caso" letterario di vastissima portata.

2. Notizie biografiche - Opere

Andrea Camilleri è nato a Porto Empedocle (Agrigento) il 6 settembre 1925. Porto Empedocle, nelle opere di Camilleri, diventa Vigàta; e Vigàta, in provincia di Montelusa (= Agrigento) è un paese di terra e di mare che non c’è più. Appartiene interamente alla giovinezza dello scrittore, è l'antica Porto Empedocle, in cui i pescatori abitavano in piccole case a un piano dipinte di bianco, di giallo, di azzurro... Il bisnonno materno, Giuseppe, possedeva una villa a due km. da Porto Empedocle. Come scrive Camilleri:

“La casa sta ancora là... Ora, quando ti affacci da una finestra, ti trovi davanti ad un’altra finestra, quella della casa di fronte. Trenta anni fa tagliarono gli ultimi alberi che reggevano il terreno e alla prima alluvione la collina di marna è scivolata giù, portandosi via le case dei pescatori. Poi hanno costruito i palazzacci secondo il principio del lager e del bunker e quello che era un viottolo transennato è diventato un’autostrada. Mi si torcono le budella ogni volta che lo percorro. I produttori della serie televisiva su Montalbano sono stati costretti a cercare un’altra Sicilia per ritrovare Vigàta. Credo che abbiano scelto il siracusano e gli Iblei: Scicli, Palazzolo Acreide, dove le campagne sono ancora bellissime e i paesi conservati con decoro...”.

Ha fatto gli studi liceali, ma non ha mai sostenuto l'esame di maturità perchè a metà maggio del 1943 il preside del liceo classico di Agrigento, frequentato da Camilleri, decise che sarebbe valso il solo scrutinio a causa dell'imminente sbarco in Sicilia delle forze alleate. Negli anni 1945-50 pubblicò racconti e poesie, ottenendo un riconoscimento al Premio St Vincent (la giuria era presieduta da Ungaretti). Nel 1949 si trasferì a Roma, ove frequentò, grazie ad una borsa di studio, l'Accademia Nazionale di Arte Drammatica diretta da Silvio D'Amico; ma dopo il primo anno fu costretto a lasciarla per condotta disdicevole. Tuttavia restò a Roma, ove lavorò come aiuto-regista di Orazio Costa e Luigi Zampa, e poi come regista e sceneggiatore (teatrale e poi televisivo); in queste vesti ha legato il suo nome ad alcune fra le piu' note produzioni poliziesche della TV italiana, come i telefilm del Tenente Sheridan (Ubaldo Lay) e del Commissario Maigret (Gino Cervi), e a diverse messe in scena di opere teatrali, sempre con un occhio di riguardo a Pirandello. Ha curato complessivamente ben mille regie radiofoniche, 115 spettacoli di teatro e ottanta regie televisive. Nel 1974 fu nominato professore di Istituzioni di Regia (in sostituzione di Orazio Costa), proprio all'Accademia d'Arte Drammatica dalla quale era stato cacciato da giovane. Col passare degli anni ha affiancato a questa attività quella di scrittore; è stato infatti autore di importanti saggi "romanzati" di ambientazione siciliana nati dai suoi personali studi sulla storia dell'isola. La scrittura ha preso finalmente il sopravvento al momento dell'abbandono del lavoro come regista/sceneggiatore per sopraggiunti limiti di età (è stato detto che mai pensione fu più opportuna!). Del 1978 è l'esordio nella narrativa con Il corso delle cose, scritto una decina di anni prima e pubblicato presso un editore "a pagamento", Lalli, con l'impegno di citare l'editore stesso nei titoli dello sceneggiato TV tratto dal libro, "La mano sugli occhi"; il libro però non fu notato praticamente da nessuno. Nel 1980 esce presso Garzanti Un filo di fumo (riedito poi, come il primo, da Sellerio), primo di una serie di romanzi ambientati nell'immaginaria cittadina siciliana di Vigàta a cavallo fra la fine dell''800 e l'inizio del '900. Seguì La strage dimenticata (1984), ma come il precedente libro ebbe scarso successo. Negli anni '84-'92 Camilleri tornò all'attività di regista; ma è nel 1992, con l'apparizione (sempre da Sellerio) de La stagione della caccia, che Camilleri diventa un autore di grande successo: "la godibilità della trama, la novità di un linguaggio ricco di vocaboli dialettali, l'attrazione naturale del poliziesco, incontrarono subito il gradimento di un pubblico vastissimo e divertito, che apprezzava anche la vena di intelligente ironia diffusa in personaggi e ambienti descritti con essenzialità e immediatezza"[1] Seguirono, in rapida successione, La bolla di componenda (1993), La forma dell'acqua (1994, in cui apparve per la prima volta il commissario Montalbano), Il gioco della mosca (1995), Il birraio di Preston (1995) e in successione gli altri romanzi con Montalbano (vedi sotto) e inoltre La mossa del cavallo (1999, ed. Rizzoli, Premio Elsa Morante), La scomparsa di Patò (2000), Biografia del figlio cambiato (2000; è una particolarissima biografia di Pirandello, di cui Camilleri è lontano parente), Il re di Girgenti (2001). Tutti questi libri meriterebbero un lungo discorso, anche per le innovazioni che essi contengono a livello narratologico (ad es. La concessione del telefono e La scomparsa di Patò sono romanzi in forma di dossier, senza una figura di narratore e senza un solo colloquio: tutto è affidato ad una raccolta di lettere, atti, rapporti ufficiali, tutti ovviamente - e abilmente - fittizi), per l'inconfondibile linguaggio, per l'impegno civile e polemico. Ma oggi siamo qui per parlare del personaggio più fortunato creato da Camilleri, il commissario Montalbano; noi lo useremo, per usare una definizione dello stesso Camilleri, come "apripista per gli altri romanzi storici", e questo perché, come ha detto lo scrittore, "Montalbano è un serial killer di eventuali altri personaggi. È invadente: mentre stai pensando a un'altra cosa, arriva e dice 'tu devi scrivere solo di me". Mi auguro che molti di voi, partendo dalla lettura dei romanzi con Montalbano, si innamorino tanto delle opere di Camilleri da cimentarsi poi nella lettura delle altre opere.

3. Il commissario Montalbano

I romanzi più fortunati di Camilleri hanno per protagonista il commissario Salvo Montalbano; finora sono sette, tutti pubblicati dall’editore Sellerio di Palermo[2]:

La forma dell’acqua (1994)
Il cane di terracotta (1996)
Il ladro di merendine (1996)
La voce del violino (1997; premio Flaiano nel 1998)
La gita a Tindari (2000)
L'odore della notte (2001)
Il giro di boa (2003)

Vi sono inoltre tre raccolte di racconti:

Un mese con Montalbano (Mondadori, 1998)
Gli arancini di Montalbano (Mondadori, 1999)
La paura di Montalbano (Mondadori, 2002).


L'idea di scrivere un giallo nacque in Camilleri fra il 1992 e il 1993:

"La nascita del commissario Montalbano è del tutto casuale...Feci una scommessa con me stesso: 'Ma tu sei capace di scrivere un romanzo dalla A alla Z come Dio comanda... trecento pagine o quelle che sono, e poi la fine?' Allora cominciai a ragionare su che cosa potesse aiutarmi, a ricercare una gabbia. Ricordavo che Sciascia aveva scritto: 'Il romanzo giallo in fondo è la migliore gabbia dentro alla quale uno scrittore possa mettersi, perché ci sono delle regole, per esempio che non puoi barare sul rapporto logico, temporale, spaziale del racconto'. Sicché mi sono provato a scrivere un romanzo giallo - La forma dell'acqua - come una sorta di pensum, di compito che mi ero dato, perché avevo tra le mani Il birraio di Preston del quale non riuscivo a calibrare la struttura. Sono sempre stato un grande lettore di gialli. Il mio primo Simenon l'ho letto che avevo sette anni e mezzo. Contemporaneamente, la lettura di un romanzo di Vazquez Montálban Il pianista - che non ha nulla a che fare con i suoi Pepe Carvalho - mi aveva suggerito una strada possibile per strutturare Il birraio di Preston. Io rimasi grato a questo autore spagnolo che non conoscevo e decisi di chiamare il commissario, del quale stavo scrivendo questa prima avventura, Montalbano, che è anche un cognome siciliano diffusissimo. Così pigliavo due piccioni con una fava: pagavo un certo debito a Montálban e nello stesso tempo davo un nome siciliano preciso a questo commissario. Scrissi La forma dell'acqua: venne pubblicato, ebbe successo... ".

La scelta del nome del commissario rappresenta dunque un omaggio nei confronti dello scrittore Manuel Vazquez Montalban, di cui Camilleri è poi diventato amico. Però, "nonostante Montalbano (nel Cane di terracotta e ne La gita a Tindari) si presenti come un affezionato lettore dei romanzi che hanno come protagonista l'investigatore privato Pepe Carvalho, i due personaggi appaiono diversi, anche in quegli aspetti del carattere che sembrerebbero accomunarli, primo fra tutti la passione per la buona cucina. Montalbano, che non cucina, ama i piatti tipici della sua terra, dalla pasta 'ncasciata alle triglie di scoglio, preparati con cura ma anche con semplicità; Carvalho, raffinato cuoco conoscitore dei trucchi del mestiere ed impeccabile intenditore di vini, apprezza piatti raffinatissimi, preparati con una maniacale attenzione alle dosi e agli intrecci di sapori e gustati con sensualità".[3]

Ma adesso parliamo del commissario, della sua storia, della sua vita, della sua evoluzione continua.

4. Montalbano e la sua famiglia

La figura di Salvo Montalbano risulta chiaramente connotata: è nato nel 1950 (aveva 18 anni nel '68), quindi ha ormai superato i cinquant’anni; è originario di Catania, ha iniziato la carriera poco dopo i trent'anni e, prima di divenire commissario a Vigàta, in provincia di Montelusa, è stato sballottato da un paese ad un altro come un commesso viaggiatore (Un mese con Montalbano, pp. 49-59 e 231-240). Ora vive da solo in una villetta sul mare, a Vigàta (nella fiction Marinella è Punta Secca, tra Marina di Ragusa e Santa Croce Camerina).

Camilleri non ci dà mai una descrizione fisica del suo commissario; la madre del commissario è morta quando lui era “picciliddro”: l'unico ricordo che egli ha della madre è la luce dorata riflessa dai capelli di lei. Ne Il ladro di merendine, il commissario si confida col piccolo François e gli fa capire quanto gli sia mancata sua madre:

Gli confidò cose che mai aveva detto a nessuno, manco a Livia. Il pianto sconsolato di certe notti, con la testa sotto il cuscino perché suo padre non lo sentisse; la disperazione mattutina quando sapeva che non c'era sua madre in cucina a preparargli la colazione o, qualche anno dopo, la merendina per la scuola. Ed è una mancanza che non viene mai più colmata, te la porti appresso fino in punto di morte (Il ladro di merendine, p. 155)..

Una figura sostitutiva della madre è Clementina Vasile Cozzo, una settantenne su sedia a rotelle, ex maestra elementare, intelligente e signorile, che conosce ne Il ladro di merendine e con la quale entra subito in sintonia, tanto che prende l'abitudine di andarla spesso a trovare. Ne Il ladro di merendine, il terzo romanzo della serie, il commissario viene avvertito che il padre sta morendo di cancro. Proprio in questo libro si scopre che Salvo è rimasto orfano di madre da bambino ed è stato allevato dal padre, genitore "sollecito e affettuoso"; questi aveva aspettato, per risposarsi, che il figlio si laureasse e "si sistemasse"; ma quando il padre si era risposato, Salvo c'era rimasto assai male e i loro incontri si erano diradati. Il padre di Montalbano ha un’azienda vinicola e vive in un altro paese; anche la seconda moglie è morta prima di lui. Insomma, tra padre e figlio ”forse c’era stata ... una quasi totale mancanza di comunicazione, non riuscivano mai a trovare le parole giuste per esprimere vicendevolmente i loro sentimenti. ...” (Il ladro di merendine, p. 204). Padre e figlio, pur vedendosi assai di rado, si volevano molto bene: il padre collezionava i giornali che parlavano del figlio e quando Salvo era rimasto ferito ed era stato ricoverato, il padre aveva telefonato tutti i giorni ed era andato a trovarlo una volta. Quando il padre sta per morire di tumore ai polmoni, al termine del romanzo Il ladro di merendine, non ha voluto far sapere niente al figlio. Salvo viene però informato da un collaboratore del padre; allora compie la sua solita camminata sul molo, ma dopo un po' scoppia in un pianto liberatorio. Decide tuttavia di non andare a trovare il padre: in effetti la morte del padre è un fatto che Montalbano si rifiuta di accettare; e quando infine trova il coraggio per andare a fargli visita, è ormai troppo tardi perché il malato ormai è morto da due ore. Ne Il giro di boa, durante una pericolosa indagine, colpito da due fitte dolorose per un improvviso malore, Montalbano rivolge il pensiero al padre:

Mentre il dolore diventava una specie di trapano rovente nella carne viva, litaniò dintra di sé: "Patre mio, patre mio, patre mio..." Litaniava a sò patre morto... Ma sò patre non ascutò la priera (Il giro di boa, p. 237).

Altre figure "sostitutive" dei genitori di Montalbano, oltre la già citata signora Clementina Vasile Cozzo, sono il vecchio questore Burlando e la moglie, il preside in pensione Burgio con la moglie Angelina, ma anche figure occasionali come il mio omonimo professor Pintacuda (che compare nella parte finale de Il ladro di merendine ed è modellato su un vecchio professore di Filosofia di Camilleri e su Leonardo Sciascia), la tunisina Aisha, il cavalier Misuraca, ecc. A scuola, il piccolo Salvo Montalbano era stato uno scolaro "murritiusu", che studiava poco e sedeva sempre nell'ultimo banco. Altre notizie sull'infanzia e giovinezza del nostro non ne abbiamo; né sappiamo come e quando abbia conosciuto la sua donna, Livia Burlando. Sappiamo però che anche lui, prima di diventare commissario capo di Vigata, ha fatto la sua gavetta; a 32 anni era vicecomissario e spesso lo trasferivano da un paese all'altro.

5. L'intuito dello "sbirro"

I "casi" su cui indaga Montalbano, tutti relativi a eventi delittuosi o strani, trovano sempre una logica soluzione grazie all'intuito del commissario e alla sua sensibilità di uomo, forse più che di investigatore. È proprio questa autenticità del personaggio, che non viene mai presentato come un supereroe o un genio dalle sovrumane doti intellettuali, che lo caratterizza e lo rende così familiare. Come Maigret sulle sponde della Senna, o in qualche paese di provincia della Francia profonda, anche Montalbano in genere non si trova, nella sua Vigàta, alle prese con devastanti problemi di ordine pubblico o con eclatanti vicende di mafia (e dire che siamo in Sicilia); bensì con omicidi "semplici", che però evidenziano un'idea drammatica della vita; sono storie private di banditi di provincia, strazianti vicende umane e personali di gente piccola, travolta dalle cose. Ciò non toglie che Camilleri inserisca nei romanzi di Montalbano le allusioni ai temi più attuali e scottanti del mondo di oggi: l'immigrazione clandestina, il traffico di organi, la nuova mafia, la speculazione edilizia, ecc. Come si legge nella Premessa editoriale a Gli arancini di Montalbano, "Montalbano si imbatte nei crimini e nei criminali più eterogenei e strani: vecchie coppie di attori che recitano, nel segreto della camera da letto, un funereo copione; insospettabili presidi in pensione che raggirano generose prostitute; incolpevoli padri di mafiosi trasformati in implacabili giustizieri; mogli astutamente fedeli che ordiscono crudeli vendette ai danni dei loro tronfi mariti; meticolosi raccoglitori di immondizia che custodiscono il mistero di traffici di droga; contadini abbrutiti e violenti con cellulari che finiscono per tradirli; giudici in ritiro angosciati dal pensiero di non aver agito secondo verità". Il commissario che scioglie l'enigma sa perfettamente che la soluzione non migliorerà il mondo: è solo un piccolo contributo alla verità. Ne esce un'immagine dolorosa e disincantata di quell'emblema del mondo che può essere una cittadina della Sicilia, indagata da un investigatore che non è, come i detective classici, l'eroe a cui la società ha delegato la giustizia, ma piuttosto, come in Simenon, un uomo con le sue pene e le sue malinconie, nonostante tutto proteso verso una sua idea di moralità o di redenzione.

Salvo Montalbano è uno “sbirro” nato, dal fiuto infallibile, pronto a cogliere nei dettagli ciò che non “quatra”, che non lo convince, e a formulare invece l’ipotesi vincente:

"in questo consisteva il suo privilegio e la sua maledizione di sbirro nato: cogliere, a pelle, a vento, a naso, l'anomalia, il dettaglio macari impercettibile che non quatrava con l'insieme, lo sfaglio minimo rispetto all'ordine consueto e prevedibile" (Un mese con Montalbano, p. 339).

Il commissario preferisce condurre le indagini da solo:

“mi sono addunato, col tempo, d’essere una specie di cacciatore solitario..., perché mi piace cacciare con gli altri ma voglio essere solo a organizzare la caccia. Questa è la condizione indispensabile perché il mio ciriveddro giri nel verso giusto. Un’ osservazione intelligente, fatta da un altro, m’avvilisce, mi smonta magari per una jurnata intera, ed è capace che io non arrinescio più a seguire il filo dei miei ragionamenti” (Il cane di terracotta, p. 135).

É un "abile scrutatore delle espressioni dei volti, attento al tono della voce e ai gesti dell'interlocutore, maestro nel decriptare il linguaggio non verbale tipico dei siciliani e le frasi che nascondono riposti significati... Non esita a sostenere di fronte a stupiti e sorridenti interlocutori che l' "occhio clinico" rappresenta la qualità più importante per uno sbirro"[4]:

"Con 'occhio clinico' aveva voluto intendere proprio la capacità dei medici di una volta di rendersi conto, a colpo d'occhio appunto, se un paziente era malato o no. Senza bisogno, come oggi fanno tanti medici, di sottoporre uno a cento esami diversi prima di stabilire che quello è sano come un pesce" (La revisione, in Gli arancini di Montalbano, p. 247).

Montalbano, come ha detto esplicitamente lo stesso Camilleri[5], somiglia molto al Maigret di Simenon; in effetti "sia Maigret che Montalbano preferiscono lavorare da soli anche se all'interno dell'istituzione, apprezzano il loro mestiere, ma con sufficiente disincanto. Talora ricorrono a metodi non proprio ortodossi che li mettono persino in contrasto con le autorità, ma sono rispettati e ammirati dai loro subalterni che ne sopportano le piccole manie e non ne discutono gli ordini, per quanto a volte apparentemente stravaganti. Li unisce poi la simpatia che talvolta provano per i loro avversari o addirittura la pietà per la sorte di alcuni... E in comune hanno anche la rabbia, l'impotenza di non poter cambiare la società nella quale vivono, di non poter 'fare l'aggiustatore di destini' "[6].

Montalbano non risolve i casi razionalmente, alla Sherlock Holmes, ma arriva alla verità tramite intuizioni fulminanti, vere e proprie folgorazioni improvvise. Ne Il giro di boa, la gioia per un'intuizione è tale che il commissario addirittura emette un nitrito:

Di scatto Montalbano si susì, ittò la testa narrè e nitrì. Un nitrito piuttosto forte, in tutto simile a quello che fa un cavallo... Tutto gli era addivintato chiaro, le parallele avevano finito per convergere (Il giro di boa, p. 212).

Però l'intuito di Montalbano si intreccia anche alla riflessione, legata ad alcuni luoghi ben precisi. La passeggiata solitaria e ruminante sul molo di levante, fino al faro, con un cartoccio di semi e ceci abbrustoliti, viene proseguita, a partire da Il ladro di merendine, con l'arrivo sullo scoglio piatto che si trova proprio sotto il faro, detto anche "scoglio del pianto":

"E sul serio lì aveva pianto, un pianto liberatorio, quando aveva saputo che suo padre stava morendo" (La gita a Tindari, p. 59).

Ma ne La gita a Tindari diventano determinanti per la risoluzione dell'indagine le riflessioni fatte dal commissario stando seduto sui rami contorti di un vecchio ulivo saraceno, già presente, ma con un ruolo meno rilevante, ne La voce del violino[7] e nel racconto Pezzetti di spago assolutamente inutilizzabili[8]. L'ulivo saraceno, con i suoi rami contorti e intrecciati, rispecchia "quasi mimeticamente" ciò che avviene nella testa del commissario, l'intreccio delle ipotesi e l'accavallarsi dei ragionamenti:

"Pareva un àrbolo finto, di teatro, nisciùto dalla fantasia di un Gustavo Doré, una possibile illustrazione per l' Inferno dantesco. I rami più bassi strisciavano e si contorcevano terra terra, rami che, per quanto tentassero, non ce la facevano ad isarsi verso il cielo e che a un certo punto del loro avanzare se la ripinsavano e decidevano di tornare narrè verso il tronco facendo una specie di curva a gomito o, in certi casi, un vero e proprio nodo. Poco doppo però cangiavano idea e tornavano inditero, come scantati alla vista del tronco potente, ma spirtusato, abbrusciato, arrugato dagli anni. E, nel tornare narrè, i rami seguivano una direzione diversa dalla precedente. Erano in tutto simili a scorsoni, pitoni, boa, anaconda di colpo metamorfosizzati in rami d'ulivo... Montalbano, quando non aveva gana d'aria di mare, sostituiva la passiatalungo il braccio del molo di levante con la visita all'àrbolo d'ulivo. Assittato a cavasè sopra uno dei rami bassi, s'addrumava una sigaretta e principiava a ragionare sulle facenne da risolvere. Aveva scoperto che, in qualche misterioso modo, l'intricarsi, l'avvilupparsi, il contorcersi, il sovrapporsi, il labirinto insomma della ramatura, rispecchiava quasi mimeticamente quello che succedeva dintra alla sua testa, l'intreccio delle ipotesi, l'accavallarsi dei ragionamenti. E se qualche supposizione poteva a prima botta sembrargli troppo avventata, troppo azzardosa, la vista di un ramo che disegnava un percorso ancora più avventuroso del suo pinsèro lo rassicurava, lo faceva andare avanti" (La gita a Tindari, pp. 97- 98).[9]

Ne L'odore della notte, l'ulivo saraceno viene distrutto durante i lavori di costruzione di un villino kitsch, con giardino e statue di Biancaneve e i sette nani: l'ira del commissario, convinto ambientalista, è tale da indurlo a commettere un vero e proprio reato: spacca i vetri delle finestre del piano terreno, distrugge le statue di Biancaneve e i sette nani e scrive con lo spray verde un gigantesco insulto. La descrizione dell'ulivo agonizzante che il commissario accarezza come se fosse una persona cara è una pagina di dolore che colpisce profondamente il lettore. Del resto Montalbano è un convinto ambientalista: ama la Sicilia più aspra e incontaminata, ed invece detesta le autostrade e le strade a scorrimento veloce:

"decise invece di tagliare trasversalmente l'isola trovandosi così a percorrere, fin dai primi chilometri, straduzze lungo le quali i superstiti contadini interrompevano il travaglio per taliare, stupiti, quell'auto azzardosa che passava da lì... Quella però era la Sicilia che piaceva al commissario, aspra, di scarso verde, sulla quale pareva (ed era) impossibile campare e dove ancora c'era qualcuno, ma sempre più raro, con gambali, coppola e fucile in spalla, che lo salutava di sopra la mula portandosi due dita alla pampèra" (La voce del violino, pp. 100-101). Per arrivare a Calapiano scelse di fare la strata più lunga e meno agevole, quella aveva sempre pigliato le poche volte che c'era andato perché gli permetteva di rivedere quella Sicilia che di giorno in giorno scompariva, fatta di terra avara di verde e d'òmini avari di parole (L'odore della notte, p. 111).

Le località citate con nomi di fantasia alludono chiaramente a località reali: Montelusa è Agrigento (con un nome fittizio inventato da Pirandello), Vigata è Porto Empedocle, Fela è Gela, Fiacca è Sciacca, Sampedusa è Lampedusa, ecc.

6. Altri aspetti del suo carattere

É assolutamente privo di ambizioni: non vuole essere promosso a vicequestore, nonostante i suoi successi, per vivere tranquillo e nell’ombra e per non allontanarsi da Vigata, perchè la sola idea di un trasferimento e di un cambiamento di abitudini gli fa venire qualche linea di febbre. Apprezza enormemente l’onestà:

in quel gran cinematografo di corruttori, corrotti, concussori, mazzettisti, tangentari, mentitori, ladri, spergiuri, a cui ogni giorno s’aggiungevano nuove sequenze, il commissario, verso le persone che sapeva inguaribilmente oneste, da qualche tempo principiava a nutrire un senso d’affetto (Il cane di terracotta, p. 46).

Le sue abitudini sono ben precise: nuotata mattutina, arrivo (in ritardo) al commissariato, pranzo in trattoria, ritorno a casa la sera, cena con il cibo lasciato in frigo dalla cameriera Adelina, TV dopo cena (soprattutto il notiziario delle due televisioni locali, Televigata e Retelibera). Spesso legge libri anche piuttosto "impegnati" ed è un ottimo conoscitore della storia del cinema. É incapace di mentire con le persone che apprezza, mentre sa inventare le fandonie più assurde davanti ai delinquenti o a persone che "non gli fanno sangue"[10]. Rifugge dall'uso delle armi, ma quando deve usarle lo fa con grande abilità e professionalità; gli capita anche di dover uccidere. Nel racconto Il quarto segreto deve uccidere un malvivente; la cosa sconvolge Catarella che è con lui (e che viene così salvato dal commissario), ma soprattutto sconvolge lui:

Catarella si rannicchiò contro il corpo del commissario e diede sfogo alle lagrime. "Matre santa! Matre santa, chi cosa tirribili è vìdiri ammazzari un omo!" A vederlo ammazzare era stato terribile, per Catarella. E ad ammazzarlo, invece, quale terribile livello si raggiungeva? (Il quarto segreto, da La paura di Montalbano, p. 229).

Anche ne Il giro di boa dimostra di essere un tiratore eccellente, in un finale particolarmente drammatico (cfr. p. 264).

É profondamente umano, sensibile, partecipe delle disgrazie altrui, soprattutto quando queste capitano a persone deboli e indifese come i bambini. Ne Il giro di boa, prova sincera pietà per un piccolo extracomunitario, che, all'arrivo di un folto gruppo di clandestini intercettati in mare, sfugge alla (presunta) madre e corre a nascondersi sulla banchina del porto. Il commissario lo rincorre, lo convince a uscire fuori dal nascondiglio, lo riconsegna alla donna. Non sa che quel gesto, che gli costerà uno straziante rimorso, sarà all'origine di una nuova complessa inchiesta che lentamente, passo dopo passo, confluirà nella prima indagine:

"Il picciliddro stava con le mano in alto, in segno di resa, l'occhi sbarracati dal terrore, ma si sforzava di non chiangiri, di non dimostrare debolezza" (Il giro di boa, pp. 59-60).

Al commissario viene in mente allora

"una vecchia fotografia, vista tanti anni prima ma scattata ancora prima, in guerra, avanti che lui nascesse, e che mostrava un picciliddro ebreo, o polacco, con le mano in alto, l'istessi precisi occhi sbarracati, l'istissa precisa volontà di non mittirisi a chiangiri, mentri un sordato gli puntava contro un fucile. Il commissario sentì una violenta fitta al petto, un duluri che gli feci ammancari il sciato, scantato serrò le palpebre... Montalbano avanzò di un passo, gli pigliò le mano agghiazzate, le tenne stritte tra le sue. E arristò accussì, aspittanno che tanticchia del suo calore si trasmettesse a quelle dita niche niche" (Il giro di boa, p. 60).

7. L'umore instabile

Salvo Montalbano è profondamente meteoropatico; risente quindi molto dei cambiamenti di tempo, come si nota già negli incipit dei romanzi; i romanzi di Montalbano iniziano tutti all'alba, come a voler indicare anche metaforicamente l'avvio di una situazione nuova e di un nuovo problema:

“A stimare da come l'alba stava appresentandosi, la iurnata s'annunziava certamente smèusa, fatta cioè ora di botte di sole incaniato, ora di gelidi stizzichii di pioggia, il tutto condito da alzate improvvise di vento. Una di quelle iurnate in cui chi è soggetto al brusco cangiamento di tempo, e nel sangue e nel ciriveddro lo patisce, capace che si mette a svariare continuamente di opinione e di direzione, come fanno quei pezzi di lattone, tagliati a forma di bannèra o di gallo, che sui tetti ruotano in ogni senso ad ogni minima passata di vento. Il commissario Salvo Montalbano apparteneva da sempre a quest'infelice categoria umana e la cosa gli era stata trasmessa per parte di matre, che era cagionevole assai e spesso si serrava nella càmmara da letto, allo scuro, per il malo di testa e allora non bisognava fare rumorata casa casa, camminare a pedi lèggio. Suo patre invece, timpesta o bonazza, sempre la stessa salute manteneva, sempre del medesimo intìfico pinsèro se ne restava, pioggia o sole che fosse” (Il cane di terracotta, p. 9).

"S'arrisbigliò malamente: i linzòla, nel sudatizzo del sonno agitato per via del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti si era sbafato, gli si erano strettamente arravugliate torno torno il corpo, gli parse d'essere addiventato una mummia. Si susì, andò in cucina, raprì il frigorifero, si scolò mezza bottiglia d'acqua aggilàta. Mentre beveva, taliò fora dalla finestra spalancata. La luce dell'alba prometteva giornata bona, il mare una tavola, il cielo chiaro senza nuvole. Montalbano, soggetto com'era al tempo che faceva, si sentì rassicurato circa l'umore che avrebbe avuto nelle ore a venire" (Il ladro di merendine, p. 9).

"Che la giornata non sarebbe stata assolutamente cosa il commissario Salvo Montalbano se ne fece subito persuaso non appena raprì le persiane della càmmara da letto. Faceva ancora notte, per l'alba mancava perlomeno un'ora, però lo scuro era già meno fitto, bastevole a lasciar vedere il cielo coperto da dense nuvole d'acqua e, oltre la striscia chiara della spiaggia, il mare che pareva un cane pechinese (La voce del violino, p. 9).

"La persiana della finestra spalancata sbattì tanto forte contro il muro che parse una pistolettata e Montalbano, che in quel priciso momento si stava sognando d'essiri impegnato in un conflitto a fuoco, s'arrisbigliò di colpo sudatizzo e, 'nzemmula, agghiazzato dal friddo. Si susì santiando e corse a chiudere. Tirava una tramontana accussì gelida e determinata che, invece di ravvivare i colori della matinata, come sempre aveva fatto, stavolta se li portava via cancellandoli a metà... Evidentemente l'estate, che già da qualche giorno era trasuta in agonia, aveva addeciso durante la notte di rendersi definitivamente defunta per lasciare posto alla stagione che veniva appresso..." (L'odore della notte, p, 9).


Per calmarsi a volte si siede sulla verandina di casa sua, che dà sulla spiaggia, e, guardando il mare si fuma tre sigarette di fila, o beve diversi caffè, o si scola un whisky. Se è in ufficio e non ce la fa più a restarsene lì seduto, passa a comperare il solito grosso sacchetto di "calìa e simenza", che sgranocchia avviandosi verso il molo. Fuori dal suo habitat naturale, lontano da Vigata, si sente perso, come si legge ad es. nel racconto La paura di Montalbano, nella raccolta omonima (p. 239):

Madonna! La montagna! Lui era omo di mare, era fatto così, non ci aveva colpa. Appena supra i 500 metri principiava a diventare grèvio, pronto ad attaccare turilla a ogni minima occasione e certe volte l'assugliavano botte di malinconia che lo facevano addiventare mutànghero e solitario peggio di quanto lo era per natura.

8. Svaghi nel tempo libero: passeggiate, cibo, nuoto, lettura.

Spesso il commissario, come già abbiamo accennato, fa una salutare passeggiata lungo il molo di levante, fino al faro o sulla spiaggia ovest; acquista alla "putìa" di Anselmo Greco, calìa e semenza, cioè ceci abbrustoliti e semi di zucca salati, e passeggia pensieroso. Fuma, ma non troppo. Adora mangiare se la cucina è buona; in casa si affida ad Adelina, la vecchia domestica, che gli cucina leccornie e gliele mette in frigo o nel forno; è la madre di due pregiudicati, il minore dei quali arrestato dallo stesso Montalbano. La sua osteria preferita è stata a lungo l'osteria San Calogero, alla quale si recava quasi quotidianamente:

“All’osteria san Calogero lo rispettavano, non tanto perché fosse il commissario quanto perché era un buon cliente, di quelli che sanno apprezzare. Gli fecero mangiare triglie di scoglio freschissime, fritte croccanti e lasciate un pezzo a sgocciolare sulla carta da pane” (La forma dell’acqua, p. 67).

Ne L'odore della notte scopre un'altra osteria, "Giugiù 'u carritteri", sulla strada provinciale fra Montelusa e Giardina, ove assaggia "i pirciati", un particolare tipo di pasta piccantissima:

E arrivarono i pirciati. Sciauravano di paradiso terrestre. Il baffuto si mise appuiato allo stipite della porta assistimandosi come per uno spettacolo. Montalbano decise di farsi trasire il sciauro fino in fondo ai polmoni... Gli venne messo davanti un boccale, una litrata di vino rosso densissimo. Montalbano se ne inchì un bicchiere e si mise in bocca la prima forchettata. Assufficò, tossì, gli vennero le lacrime agli occhi. Ebbe la netta sensazione che tutte le papille gustative avessero pigliato foco. Si sbacantò in un colpo solo il bicchiere di vino, che da parte sua non sgherzava in quanto a gradazione. ....... "Ma che c'è?" spiò Montalbano ancora mezzo assufficato. "Oglio, mezza cipuddra, dù spicchi d'agliu, dù angiovi salati, un cucchiarinu di chiapparina, aulive nìvure, pummadoro, vasilicò, mezzo pipiruncinu piccanti, sali, caciu picurinu e pipi nìvuru" elencò il baffuto con una nota di sadismo nella voce... Intercalando le forchettate con sorsate di vino e gemiti ora di estrema agonia ora di insostenibile piacere..., Montalbano ebbe macari il coraggio di mangiarsi col pane il condimento rimasto sul fondo del piatto, asciucandosi di tanto in tanto il sudore che gli spuntava in fronte. "Che vuole per secondo, signore?" Il commissario capì che con quel 'signore' il padrone gli stava rendendo l'onore delle armi" (L'odore della notte, pp. 51-52).

Gli piace mangiare da solo o, se in compagnia, in perfetto silenzio:

"Gustare un piatto fatto come Dio comanda è uno dei piaceri solitari più raffinati che l'omo possa godere, da non spartirsi con nessuno, manco con la pirsona alla quale vuoi più bene" (Gli arancini di Montalbano, dalla raccolta omonima, p. 329).

Riesce allora a concentrarsi nel cibo in maniera quasi ieratica:

"Si sbafò un piattone di triglie fritte arriniscendo a raggiungere una concentrazione da bramino indù, quella che permette la levitazione, solo che la sua concentrazione andava in senso contrario, verso il radicamento più profondo e terragno, vale a dire nel sciàuro pungente, nel sapore pastoso di quei pesci, con l'esclusione totale di ogni altro pinsero o sentimento" (Il quarto segreto, da La paura di Montalbano, p. 142).

Per lui il cibo è un rito, da consumare senza fretta: mangiare di prescia non era mangiare, massimo massimo era nutrirsi (Il giro di boa, p. 219).

Del resto, goloso è stato sempre:

Si ricordò che era sempre stato goloso e ingordo fin da picciliddro, tanto che suo patre lo chiamava 'liccu cannarutu' che significava esattamente goloso e ingordo (L'odore della notte, p. 93).[11]

Ne Il giro di boa la trattoria "San Calogero" chiude i battenti perché il proprietario va in pensione. Per diversi giorni, il commissario vaga disperato da una trattoria all'altra, finchè scopre un ristorante all'altezza del precedente: "da Enzo":

Doppo lunga e perigliosa navigazione, Ulisse finalmente aviva attrovato la sò tanto circata Itaca (Il giro di boa, p. 83).

Un altro svago abituale è una salutare nuotata, anche con l'acqua gelida ed anche nella brutta stagione. Una buona nuotata "lo rimette in vita". Nell'ultimo libro, Il giro di boa, Montalbano si trova appunto diverse volte impegnato in nuotate, che però evidenziano la sua incipiente decadenza fisica:

"Principiò a nuotare a bracciate lente e larghe. Il sciauro del mare era violento, trasiva pungente nelle narici, pareva sciampagna. E Montalbano squasi s'imbriacò, perché continuò a nuotare e a nuotare, la testa finalmente libera da ogni pinsèro, compiacendosi d'essere addiventato una specie di pupo meccanico. A farlo tornare di colpo omo fu il crampo improvviso che l'azzannò al polpaccio della gamba mancina. Santiando, si voltò sulla schina mettendosi a fare il morto... Avvisaglie della vicchiaia appostata darrè l'angolo?" (Il giro di boa, pp. 22-23).

Montalbano ha una profonda cultura, derivata dalle sue raffinate letture: ha letto Goethe, Proust, Simenon, Musil, Melville, Conrad, Dylan Thomas, Saba. Conosce persino il Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki (cfr. il racconto Tocco d'artista). Tra i siciliani gli piacciono Consolo e Bufalino, ma detesta i libri sulla mafia. É anche un buon intenditore di pittura: conosce i dipinti di Peter Bruegel e di Hieronymus Bosch. Spesso luoghi o situazioni gli suggeriscono ricordi letterari (ad es. nel finale de L'odore della notte, gli pare di rivivere un racconto di William Faulkner, Omaggio a Emilia). É invece assolutamente negato verso tutte le nuove tecnologie: non sa usare il computer (quando ne ha bisogno si affida a Catarella, esperto di "informaticcia"), ma non è in grado neppure di utilizzare una telecamera:

Montalbano pigliò in mano la telecamera e, con orrore, si fece pirsuaso che non sapeva come usarla. Le istruzioni che la sira avanti gli aviva dato Torrisi erano come una pappetta informe nel suo ciriveddro (Il giro di boa, p. 159).

9. La squadra di Montalbano

Montalbano dirige il commissariato di Vigata; ai suoi ordini c'è un gruppo composto da personaggi con caratteristiche particolari ma animati da un autentico spirito di squadra:

  • il vicecommissario Mimì Augello (con la sua passione per le belle donne)
  • l'ispettore Giuseppe Fazio (dominato dal "complesso dell'anagrafe")
  • l'agente Agatino Catarella (introdotto a partire dal secondo episodio, Il cane di terracotta, con un ruolo fondamentale per vis comica e linguistica)
  • l'agente Gallo (con il suo "complesso di Indianapolis", dato che guida come un pazzo)
  • l'altro agente Galluzzo (che tiene i contatti con "Televigàta", la televisione filogovernativa in cui lavora suo cognato).

    Si tratta di "una squadra, unita, compatta, un meccanismo bene oliato, dove ogni ruotina aveva la sua funzione e la sua, perché no?, personalità" (La gita a Tindari, p. 59). A questo gruppo si può aggiungere il vecchio questore Burlando, legato da un rapporto di stima e di affetto a Montalbano, e il medico legale Pasquano, che non smette mai di brontolare nel sezionare i suoi cadaveri ma che fa la sua parte con serietà e rigore. Il commissario stima i suoi uomini ed è pronto a difenderli di fronte a tutti: ad un collega che glieli ha trattati male scrive:

    “esigo una lettera, a me indirizzata, nella quale elogi ampiamente i miei uomini. La voglio entro domani” (Il cane di terracotta, p. 52).

    Sono alquanto difficili i rapporti con il suo vice, Mimì Augello, che Salvo stima ma considera anche un rivale, tanto da tenerlo all'oscuro delle indagini, proprio perchè si sente un cacciatore solitario. Inoltre è un po' diffidente e geloso nei confronti di Mimì, grande playboy, soprattutto quando questi dimostra la sua evidente (e ricambiata) simpatia per Livia. Mimì è comunque un grande amico di Salvo e Livia, dimostrandolo ad es. nel delicato momento della mancata adozione del piccolo François. In definitiva, Salvo è legato ad Augello da vero affetto: lo si vede soprattutto ne La gita a Tindari, quando il commissario è profondamente rattristato dalla notizia del possibile trasferimento del suo vice (trasferimento che egli riuscirà ad evitare facendo conoscere a Mimì una ragazza "locale", Beba, di cui si innamorerà). Uno dei difetti dell'ispettore Fazio è il "complesso dell'anagrafe", che gli costa spesso le ire del commissario:

    Aveva quello che Montalbano definiva il 'complesso dell'anagrafe': di una persona non si limitava a sapere giorno mese anno di nascita, luogo, provincia, paternità, maternità, ma macari paternità e maternità del patre e del patre del patre e via di questo passo. Se una, in genere violenta, reazione del suo superiore non l'interrompeva, era capace, seguendo la storia di quella persona, di risalire agli albori dell'umanità (Meglio lo scuro, da La paura di Montalbano, pp. 305-306). Due ore appresso Fazio s'appresentò nuovamente e, alla taliàta interrogativa di Montalbano, attaccò: "Verruso Annibale di Carlo e di Castelli Filomena, nato a Montaperto il 3-6-1960, impiegato al Consorzio Agrario di Montelusa ma residente a Vigàta in via Alcide De Gasperi, numero civico 22..." Il grosso elenco telefonico di Palermo e provincia, che casualmente si trovava sul tavolo del commissario, si sollevò in aria, traversò tutta la càmmara, andò a sbattere contro la parete di faccia facendo cadere il calannario gentilmente offerto dalla pasticceria "Pantano & Torregrossa". Fazio pativa di quello che il commissario chiamava "il complesso dell'anagrafe", una cosa che gli faceva venire il nirbùso magari col sereno, figurarsi quando tirava libeccio (La lettera anonima, da Un mese con Montalbano, pp. 9-10). "Vossia mi lascia tanticchia sfogare col mio complesso dell'anagrafe, come lo chiama lei, e doppo le dico che cosa ho saputo su di lui" "Patto fatto" disse il commissario rassegnato. L'occhi di Fazio sbrilluccicarono di cuntintizza. Tirò fora dalla sacchetta un foglietto e principiò a leggiri: "Marzilla Gaetano, nato a Montelusa il 6 ottobre 1960, fu Stefano e di Diblasi Antonia, residente a Montelusa, via Francesco Crispi 18. Sposato con Cappuccino Elisabetta, nata a Ribera il 14 febbraio 1963, fu Emanuele e di Riccottilla Eugenia la quale..." "Basta così o ti sparo" disse Montalbano. "Va bene, va bene. M'abbastò" fece Fazio soddisfatto rimettendosi il foglio in sacchetta" (Il giro di boa, p. 126).

    Ma in realtà Montalbano prova sincera amicizia nei confronti di Fazio, che a sua volta comprende perfettamente il pensiero del suo capo (ad es. ne L'odore della notte, ne capisce il dispiacere per la distruzione dell'ulivo saraceno). Fazio, da bravo siciliano, è molto permaloso: "quando ci si metteva, Fazio era capace di far venire il nirbuso a un invertebrato"[12]; però è profondamente affezionato al suo capo e spesso lo aiuta (anche contro la volontà del commissario) in imprese pericolose: è quello che avviene appunto ne Il giro di boa, ove è proprio Fazio a salvare la vita a Montalbano in un momento difficile (cfr. pp. 242-244). Comicissimo è l'agente Catarella. Comparso nel Cane di terracotta, "Catarella più che un personaggio è una macchietta, inserita dall'autore al preciso scopo di divertire con forme di comicità involontaria"[13]: Catarella si esprime in una lingua che si può definire maccheronica, un miscuglio di italiano burocratico e formale, italiano popolare, e dialetto. Questo tipo di lingua crea incomprensioni e situazioni altamente comiche.

    "Questo Catarella non era sinceramente cosa. Lento a capire, lento ad agire, era stato pigliato nella polizia certamente perché lontano parente dell'ex onnipotente onorevole Cusumano... Le cose con Catarella s'imbrogliavano di più se gli saltava il firticchio, cosa che gli capitava spesso, di mettersi a parlare in quello che lui chiamava taliàno.
    Un giorno gli si era appresentato con la faccia di circostanzia.
    'Dottori, lei putacaso mi saprebbi fare la nominata di un medico di quelli che sono specialisti?'.
    'Specialista di cosa, Catarè?'
    ' Di malattia venerea'.
    Montalbano aveva spalancato la bocca per lo stupore.
    'Tu?! Una malattia venerea? E quando te la pigliasti?'
    'Io m'arricordo che questa malattia mi venne quando ero ancora nico, non avevo manco sei o sette anni'.
    'Ma che mi vai contando, Catarè? Sei sicuro si tratta di una malattia venerea?' 'Sicurissimo, dottori. Va e viene, va e viene. Venerea' (Il cane di terracotta, pp. 25-26).


    Eppure, Catarella ha i suoi momenti di gloria:

    - ne La gita a Tindari, in cui ha modo di dimostrare le sue competenze informatiche;
    - ne Gli arancini di Montalbano, nel racconto Catarella risolve un caso, il buffo agente rivela un'inopinata abilità nel risolvere un'indagine inerente il ritrovamento di una giovane donna scomparsa;
    - ne Il quarto segreto (uno dei racconti de La paura di Montalbano) affianca Montalbano in un'indagine e condivide con lui alcune informazioni riservate:

    "Catarè, quello che stiamo facendo deve restare un segreto tra te e me, non lo deve sapere nessuno".
    Catarella fece 'nzinga di sì con lta testa e tirò su col naso. Il commissario lo taliò. Due grosse lacrime stavano calando sulla sua faccia verso la bocca. "Che fai, chiangi?" "Commozionato sono, dottori". "Perché?" "Dottori, ma vossia ci penza? Tri segreti teniamo di comune! Tri! Quanto a quelli della Madunnuzza di Fatima!" (Il quarto segreto, in La paura di Montalbano, p. 218).


    Ne Il giro di boa, inoltre, è proprio Catarella a dare un'interpretazione dei fatti che poi si rivelerà reale:

    "dottori, ma non è possibili che il morto addivintò vivendi e appresso morse nuovamenti addivintando natante?" (Il giro di boa, p. 133).

    La cosa viene spiegata da Montalbano in modo quasi "pascoliano" o "pirandelliano":

    "Catarella è un picciliddro, un bambino dentro al corpo di un omo. E perciò ragiona con la testa di uno che non ha manco sette anni... Con ciò voglio dire che Catarella ha la fantasia, le alzate d'ingegno, le invenzioni di un picciliddro. Ed essendo picciliddro, queste sue cose le dice, senza ritegno. E spisso c'inzerta. Perché la realtà, vista con l'occhi nostri, è una cosa, mentre vista da un picciliddro è un'altra" (Il giro di boa, p. 193).

    Tipico di Catarella è lo storpiare i nomi delle persone: ne Il giro di boa il giornalista Sozio Melato diventa Ponzio Pilato, per cui Montalbano gli dice così:

    "Catarè, quando Ponzio Pilato ritelefona digli che sono in una riunione urgente con Caifa, al Sinedrio" (Il giro di boa, p. 72).[14]

    Catarella è ossequioso e ubbidiente; mentre è in auto col commissario durante un appostamento accetta una sigaretta anche se non fuma (Il quarto segreto, in La paura di Montalbano, p. 219). L'agente si preoccupa della salute del suo capo; accompagna Montalbano, dolorante ad una spalla, da una vecchia erborista e al ritorno si offre di dormire sul divano a casa sua:

    "Accussì, dottori, se nottitempo di notti avi nicissità abbisognevole, io sono pronto a darci adenzia" (Il quarto segreto, in La paura di Montalbano, p. 205).

    Catarella è addirittura lusingato quando una volta Montalbano dice di averlo sognato:

    "Maria, dottori! Ah, dottori dottori, che cosa bella ca mi sta dicenno! Vossia la notti s'insogna a mia!"
    Montalbano s'impacciò. "Be', non esageriamo... non è che mi capita tutte le notti"
    "Però stanotti m'insognò! E chisto viene a significari che vossia ogni tanto mi appenza macari che quanno non sugno di sirvizio!"

    Montalbano capì che Catarella stava mettendosi a chiàngiri, sopraffatto dall'emozione (Il quarto segreto, in La paura di Montalbano, p. 121).

    Tipica di Catarella è l'entrata a precipizio nella stanza del commissario, che provoca un fragore assordante della porta spalancata:

    La porta dell'ufficio venne aperta con violenza, ma invece di andare a sbattere contro il muro, andò a colpire una pila di carte da firmare che Fazio aveva posato a terra e rimbalzò con la stessa 'ntifica violenza tentando di richiudersi. Ma la porta non ce la fece, perché nel tragitto trovò un ostacolo: la faccia di Catarella. Il quale emise una specie d'acutissimo nitrito cummigliandosi il volto con le mano. "Mariiiiiia! Il naso mi scugnò!". Che era, un commissariato quello? Quello era un laboratorio di gag cinematografiche che Charlot o Ridolini avrebbero invidiato. Montalbano aspettò con santa pacienza che Catarella si tamponasse il naso scugnato col fazzoletto (Il quarto segreto, in La paura di Montalbano, pp. 161-162).
    La porta sbattì, l'intonaco cadì, Montalbano sobbalzò, Catarella spuntò. Rituale compiuto... "Domando compressione e pirdonanza, dottori, ma quando che mi vengo a trovari darrè la sò porta chiusa, mi moziono e la mano mi sciddrica" (Il giro di boa, pp. 199-200).


    A volte il commissario non resiste alla tentazione di prendersi gioco del povero Catarella:

    "Pronto?"
    "Ah dottori dottori!" fece a voce saziata e ansimante di Catarella "Vossia di pirsona pirsonalmente è?"
    "No"
    "Allora chi è col quale sto per parlando?"
    "Sono Arturo, fratello gemello del commissario"
    Perché aveva principiato a fare lo stronzo con quel povirazzo? Forse per sfogare tanticchia di umore malo?
    "Davero?" disse Catarella ammaravigliato. "MI scusasse, signori gimello Arturo, ma se il dottori è come qualmenti in casa, ci lo dici che ho bisogno di parlaricci?" (L'odore della notte, pp. 12-13).


    Alcuni dialoghi fra Montalbano e Catarella sono dei piccoli capolavori di teatralità; sentite questo, tratto da Ferito a morte (uno dei racconti de La paura di Montalbano, pag.24):

    Erano le tre del mattino.
    "Pronto?"
    "Pronti?"
    "Catarè!"
    "Dottori!"
    "Che fu?"
    "Spararono."
    "A chi?"
    "A uno."
    "Morì?"
    "Morse".
    Splendido dialogo di stampo alfieriano.


    Ne Il giro di boa al personale del commissariato si aggiunge l'agente Torretta, che - simile ad una sorta di Mary Poppins dalla borsa senza fondo, è in grado di fornire gli oggetti più disparati in qualunque momento:

    Vuoi vedere che questo Torretta aveva aperto un emporio dintra al commissariato? (Il giro di boa, p. 101).

    10. Rapporti con i superiori e con la burocrazia

    Nei romanzi di Montalbano peraltro esistono due schiere di servitori dello stato, rigidamente separate fra loro. Da una parte c'è quella guidata da Montalbano, che procede con onestà e senza secondi fini; dall'altra parte stanno coloro che puntano all'apparenza piuttosto che alla sostanza, che amano mettersi in mostra di fronte alle telecamere, che non sopportano il mancato rispetto della forme e tuttavia non esitano a comportarsi in modo immorale, preoccupandosi della carriera più che della ricerca dei colpevoli. É una schiera composita, alla quale appartengono: - il capo della Scientifica Jacomuzzi, che era "un esibizionista incurabile, sempre il primo a mettersi in posa davanti a fotografi, operatori, giornalisti. Montalbano, sfottendolo come spesso faceva, lo chiamava 'Pippo Baudo' La voce del violino, p. 29). - il nuovo questore Luca Bonetti-Alderighi, che entra in carica a partire da La voce del violino e che appare animato dal desiderio di svecchiare e rinnovare, di introdurre i computer negli uffici giudiziari, di rompere la compattezza del commissariato di Vigàta, considerato un covo di camorristi. Era "un giovane e scattante bergamasco che era riuscito, in un mese, a crearsi ovunque antipatie da coltello", “notoriamente un imbecille” (La gita a Tindari, p. 59). Nel romanzo L'odore della notte, Bonetti-Alderighi addirittura (prestando fede ad una lettera anonima) accusa Montalbano di essersi appropriato di un libretto di risparmio intestato al piccolo François. In seguito, a casa sua Montalbano ritrova (dopo una ricerca affannosa, dato che è disordinatissimo) la ricevuta del notaio che era stato da lui nominato amministratore dei beni di François fino alla maggiore età; dopo di che invia perfidamente una lettera ostentatamente e falsamente anonima al questore:

    "Illustre Signor Questore di Vigàta, dato che lei è incline a prestare orecchio alle lettere anonime, non firmerò questa mia. Le compiego copia della ricevuta del notaio Giulio Carlentini che chiarisce la posizione del commissario Montalbano dott. Salvo. L'originale, naturalmente, è in possesso dello scrivente e può essere esibito a gentile richiesta. Firmato: Un amico" (L'odore della notte, p. 44).

    Bonetti-Alderighi è affiancato degnamente dal nuovo capo della Scientifica, il pignolo Arquà tutto forma e poca sostanza, dal capo di Gabinetto Lattes, viscido e mellifluo (tanto da essere soprannominato "Lattes e Mieles")[15] e dal capo della Mobile Panzacchi, fedelissimo del nuovo Questore, capace (ne La voce del violino) di uccidere un innocente e di alterare le prove per farlo apparire colpevole. I due mondi sono ben distinti anche da un punto di vista linguistico: il primo gruppo si esprime con un linguaggio semplice, che mescola dialetto e italiano, assumendo sfumature diverse da un personaggio all'altro; il secondo, invece, utilizza una lingua piatta e omogenea, senza sfumature e caratteristiche personali, anonima, fatta di termini burocratici e di luoghi comuni. Per mettersi sullo stesso piano dei burocrati dello Stato, per essere presi in considerazione, è necessario utilizzare la loro lingua, l' "impareggiabile burocratese" di Jacomuzzi (Il ladro di merendine, p. 50); davanti a Bonetti-Alderighi Montalbano, parlando del suo colloquio col mafioso Balduccio Sinagra, chiama a raccolta una sequela di luoghi comuni:

    "se lei potesse capire come io sia dilaniato tra il mio dovere da una parte e la parola data dall'altra..." (La gita a Tindari, p. 135) "occorrerà molta cautela, un passo falso manderebbe in aria tutto, la posta in gioco è altissima" (id.) "Si sentì schifato per le parole che gli stavano niscendo dalla bocca. Una raccolta di luoghi comuni, ma era il linguaggio che in quel momento rendeva. Si spiò fino a quando avrebbe potuto reggere a quella farsa" (pp. 138-139).

    Ma la sequela di banalità ottiene l'effetto di sedurre l'imbelle questore, che già favoleggia di appropriarsi del successo di Montalbano, che avrebbe indotto il mafioso a "pentirsi":

    "Con un sorriso perso, gli occhi sognanti, [Bonetti-Alderighi] contemplava se stesso, circondato da giornalisti rissosi e impazienti, sotto la luce dei riflettori, un grappolo di microfoni protesi verso la sua bocca, mentre spiegava con brillante eloquio come avesse fatto a convincere uno dei più sanguinari boss mafiosi a collaborare con la giustizia" (id., p. 137).

    In genere Montalbano è insofferente della burocrazia, dei compromessi politici, delle ipocrisie di ogni tipo; detesta scrivere e firmare carte, “complessi, quanto inutili, questionari del ministero” (La forma dell’acqua, p. 147); al commissario riesce difficile, in caso di delitto, accettare di perdere tempo in attesa del giudice, del medico legale, della Scientifica, che sono capaci di metterci ore prima di arrivare sul posto. Così pure durante le conferenze-stampa si trova a disagio, si agita, diventa rosso, suda, non riesce a star fermo, si esprime balbettando "con gli occhi sbarrati e le pupille che ballavano 'mbriache" (Il cane di terracotta). Non gradisce la presenza dei giornalisti mentre indaga; detesta la mondanità e l’esibizionismo: quando deve essere intervistato o deve comparire in TV risulta

    “pigliato dai turchi, balbuziente, esitante, strammàto, stunàto, perso, ma sempre con gli occhi spiritati" (Il cane di terracotta, p. 69)[16].

    11. Le idee politiche - La polemica verso la polizia "repressiva"

    Montalbano politicamente è di sinistra, pur non manifestandolo in modo ostentato; è amico del giornalista di Retelibera, Nicolò Zito, "rosso di pelo e di idee" e, quando alcuni operai del Cementificio, messi in cassa integrazione, si ribellano, lui non se ne vuole occupare perché non intende prendere gli operai a manganellate (La voce del violino). Prova evidente simpatia, in un mondo di politici corrotti, tangentari e ladri, per quelli onesti, indipendentemente dal loro colore politico. E' un ex “sessantottino” che prova sdegno per i suoi coetanei ex contestatori ed ora perfettamente inseriti nella società, come si vede benissimo all'inizio de La gita a Tindari:

    Ad ogni modo, nel corso degli anni, aveva visto i suoi compagni, quelli mitici del '68, principiare a "ragionare". E ragionando ragionando, gli astratti furori si erano ammosciati e quindi stracangiati in concrete acquiescenze. E adesso, fatta eccezione per qualcuno che con straordinaria dignità sopportava da oltre un decennio processi e carcere per un delitto palesemente non commesso né ordinato, fatta eccezione ancora per un altro oscuramente ammazzato, i rimanenti si erano tutti piazzati benissimo, saltabeccando da sinistra a destra, poi ancora a sinistra, poi ancora a destra, e c'era chi dirigeva un giornale, chi una televisione, chi era diventato un grosso manager di Stato, chi deputato o senatore. Visto che non erano arrinisciuti a cangiare la società, avevano cangiato se stessi. ... Non sei macari tu della stessa risma di questi che stai criticando? Non servi quello Stato che ferocemente combattevi a 18 anni? O ti fa lastimiare l'invidia, dato che sei pagato quattro soldi e gli altri invece si fanno i miliardi? (La gita a Tindari, pp. 11-12).

    Le idee politiche del commissario vengono fuori con maggiore chiarezza del solito ne Il giro di boa, il libro appena uscito; qui, la valutazione espressa nei confronti delle vicende del G8 a Genova è assolutamente esplicita:

    "La vera virità era che il comincio del disagio di Montalbano risaliva a tempo prima, a quando la televisione aveva fatto vidiri il Presidente del consiglio che se la fissiava avanti e narrè per i carrugi di Genova sistemando fioriere e ordinando di togliere le mutanne stese ad asciugare su balconi e finestre mentre il suo ministro dell'interno pigliava misure di sicurezza assai più adatte a una guerra civile imminente che a una riunione di capi di governo: reti d'acciaio che impedivano l'accesso a certe strade, piombatura dei tombini, chiusura delle frontiere e di alcune stazioni, pattugliamento del mare e persino l'installazione di una batteria di missili. C'era - pinsò il commissario - un eccesso di difesa tanto ostentato da costituire una specie di provocazione" (Il giro di boa, pp. 12-13).

    Nel libro, che tratta il problema drammatico dell'immigrazione clandestina e della tratta deo minori, si polemizza apertamente contro la nuova legge sull'immigrazione (Bossi-Fini diventa Cozzi-Pini, con un travestimento fin troppo riconoscibile (Il giro di boa, p. 65).

    Ma soprattutto ne Il giro di boa Montalbano si sente ormai a disagio nella polizia di Stato, a causa di alcuni eventi recenti che lo hanno sconvolto. All'inizio del romanzo, viene descritto lo stato d'animo avvilito e stanco del commissario, impressionato dalle notizie sugli incidenti del G8 a Genova:

    "Si era trattato dei pinsèri nìvuri che l´avevano assugliato doppo avere sentito una notizia del telegiornale nazionale. «All´annigatu, petri di `ncoddru» era il detto popolare che veniva esclamato quando una insopportabile serie di disgrazie s´abbatteva su qualche sbinturato. E per lui, che già da qualche mese nuotava alla disperata in mezzo a un mare in timpesta, e si sentiva a tratti perso come un annegato, quella notizia era stata uguale a una vera e propria pitrata tiratagli addosso, anzi una pitrata che l´aviva pigliato preciso `n testa, tramortendolo e facendogli perdere le ultime, debolissime forze. Con un´ariata assolutamente indifferente, la giornalista del tg aveva detto che la Procura di Genova, in merito all´irruzione della polizia alla scuola Diaz nel corso del G8, si era fatta pirsuasa che le due bombe molotov, trovate nella scuola, erano state portate lì dagli stessi poliziotti per giustificare l´irruzione. Questo faceva seguito - aveva continuato la giornalista - alla scoperta che l´agente il quale aveva dichiarato di essere stato vittima di un tentativo di accoltellamento da parte di un no-global, sempre nel corso di quell´irruzione, aveva in realtà mentito: il taglio alla divisa se l´era fatto lui stesso per dimostrare la pericolosità di quei ragazzi che invece, a quanto si andava via via svelando, nella scuola Diaz stavano pacificamente dormendo" (Il giro di boa, pp. 9-10).

    Montalbano è indignato per il comportamento dei suoi colleghi di Genova:

    Ascutata la notizia, per una mezzorata Montalbano era restato assittato sulla poltrona davanti al televisore, privo della capacità di pinsari, scosso da un misto di raggia e di vrigogna, assammarato di sudore... Bastava ragionare tanticchia supra quelle notizie che venivano date col contagocce e con governativa osservanza dalla stampa e dalla televisione per farsi preciso concetto: i suoi compagni e colleghi, a Genova, avevano compiuto un illegale atto di violenza alla scordatina, una specie di vendetta fatta a friddo e per di più fabbricando prove false. Cose che facevano tornare a mente episodi seppelluti della polizia fascista o di quella di Scelba (Il giro di boa, p. 10).

    Quando poco dopo parla al telefono con Livia le esprime senza mezzi termini tutto il suo disgusto e le comunica la sua decisione:

    «Mi dimetto. Domani vado dal Questore e gli presento le dimissioni. Bonetti-Alderighi ne sarà felicissimo». Livia non reagì subito, tanto che Montalbano ebbe l´impressione che fosse caduta la linea. «Pronto, Livia? Sei lì?». «Sono qui. Salvo, a mio parere, tu commetti un errore gravissimo ad andartene così». «Così come?». «Arrabbiato e deluso. Tu vuoi lasciare la polizia perché ti senti come chi è stato tradito dalla persona nella quale aveva più fiducia e allora...». «Livia, io non mi sento tradito. Io sono stato tradito. Non si tratta di sensazioni. Ho sempre fatto il mio mestiere con onestà. Da galantomo. Se davo la mia parola a un delinquente, la rispettavo. E perciò sono rispettato. E´ stata la mia forza, lo capisci? Ma ora mi siddriai, m´abbuttai... Ad assaltare quella scuola e a fabbricare prove false non è stato qualche agente ignorante e violento, c´erano questori e vicequestori, capi della mobile e compagnia bella » (Il giro di boa, pp. 11-12).

    Con queste riflessioni sul comportamento della polizia, Camilleri si pone nel solco di Pasolini, che l'aveva affrontato nel 1968, in occasione dei furiosi scontri fra studenti e polizia a Valle Giulia, a Roma, alla Facoltà di Architettura. Ma in quell'occasione Pasolini, che pure era organico al PCI, aveva preso chiara posizione a favore dei poliziotti in una famosa poesia, pubblicata in Pagine corsare con il titolo Il PCI ai giovani; eccone una parte:

    Avete facce di figli di papà. / Buona razza non mente. / Avete lo stesso occhio cattivo. / Siete paurosi, incerti, disperati / (benissimo) ma sapete anche come essere / prepotenti, ricattatori e sicuri: / prerogative piccoloborghesi, amici. / Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte / coi poliziotti, / io simpatizzavo coi poliziotti! / Perché i poliziotti sono figli di poveri. / Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. / Quanto a me, conosco assai bene / il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, / le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, / a causa della miseria, che non dà autorità. / La madre incallita come un facchino, o tenera, / per qualche malattia, come un uccellino; / i tanti fratelli, la casupola / tra gli orti con la salvia rossa (in terreni / altrui, lottizzati); i bassi / sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi / caseggiati popolari, ecc. ecc. / E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, / con quella stoffa ruvida che puzza di rancio / fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, / e lo stato psicologico cui sono ridotti / (per una quarantina di mille lire al mese): / senza più sorriso, / senza più amicizia col mondo, / separati, / esclusi (in una esclusione che non ha uguali); / umiliati dalla perdita della qualità di uomini / per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare). / Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care. / ... / A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento / di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte / della ragione) eravate i ricchi, / mentre i poliziotti (che erano dalla parte / del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, / la vostra! In questi casi, / ai poliziotti si danno i fiori, amici.

    12. Montalbano e le donne: Livia e le altre

    Montalbano è un uomo molto fedele; è legatissimo a Livia Burlando, la sua donna, che risiede a Boccadasse, un quartiere di Genova. Il personaggio di Livia è stato creato in omaggio al lontano ricordo di una ragazza di Boccadasse conosciuta da Camilleri nel 1949[17]. In effetti, Livia "risulta un personaggio alquanto anodino: è un' impiegata non meglio identificata, tenuta a distanza (risiede a Boccadasse) ed è l'unico esplicito legame affettivo di un personaggio che ha molto pudore dei suoi sentimenti. Tuttavia Livia non abiterà mai con lui: il ruolo di 'angelo del focolare' è affidato alla governante Adelina, che si occupa della casa quasi sempre in assenza di Montalbano... Del resto se Livia fosse stata la moglie di Montalbano, una buona cuoca e un'attenta padrona di casa, Camilleri avrebbe realizzato un duplicato della coppia Maigret. Così ha disgiunto le caratteristiche della signora Maigret in due persone distinte: il commissario ha bisogno di una buona governante, ma anche di una donna che sia 'l'ampio bacino di Venere', che rivesta tutti i ruoli della femminilità, la madre che ha perduto da piccolo, la consigliera, l'amica, la complice, l'amante, la moglie".[18] Così, Livia può dire a Salvo ciò che nessun altro potrebbe dirgli; e in fondo a Salvo non dispiace che lei sia lontana, così evita di impegnarsi troppo nel rapporto (anche se ogni tanto avverte qualche senso di colpa”. E' un rapporto consolidato dal tempo, ma comunque difficile. Quando è lontana, Montalbano la desidera, ma quando lei è vicina, la avverte come una presenza ingombrante, che gli toglie la possibilità di vivere a suo modo e gli sconvolge le abitudini, anche culinarie. Le "azzuffatine" telefoniche sono frequentissime:

    da cosa dipendeva il fatto che, al telefono, litigavano in media una volta ogni quattro frasi? Forse, si disse il commissario, è un effetto della lontananza che di giorno in giorno si fa sempre meno sopportabile perché invecchiando, eh beh, ogni tanto bisogna taliarla in faccia la verità e usare le parole che ci vogliono, si sente sempre più il bisogno d'avere allato la persona che ci è più cara" (L'odore della notte, p. 92).

    Ne Il ladro di merendine, Livia e Salvo sono sul punto di adottare François, un bambino tunisino rimasto orfano. Quello sembra al commissario "un assaggio, un anticipo dei quieti, familiari, domenicali pomeriggi che l'attendevano……con un bambino che, svegliandosi, l'avrebbe chiamato papà invitandolo a giocare con lui". Viene preso allora da una "botta di panico" di fronte a questi " agguati familiari". Ma ne La voce del violino (1997) l'adozione del bambino sfuma; il rapporto fra Livia e Salvo in questa circostanza si incrina, ma solo temporaneamente, perché Montalbano promette un viaggio a Boccadasse. Solo a Livia Salvo dice tutto, si sente libero di "cantare la messa intera e solenne" (La forma dell'acqua):

    E cominciò a parlare. Un monologo che durò quasi un'orata, senza pianti, senza lagrime, ma doloroso come i singhiozzi di Livia. E le disse cose che non aveva mai voluto dire a se stesso, come feriva per non essere ferito, come da qualche tempo aveva scoperto che la sua solitudine stava cangiandosi da forza in debolezza, come gli fosse amaro pigliare atto di una cosa semplicissima e naturale: invecchiare. Alla fine, Livia disse semplicemente: "Ti amo" (L'odore della notte, p. 124).

    Montalbano resta comunque un solitario, e troppo spesso si "dimentica" di Livia (anche quando lei si trova a Vigata!) Tuttavia non la tradisce mai, fatta eccezione - ne La gita a Tindari - per un rapporto occasionale (e sostanzialmente inconsapevole e involontario) con la bellissima svedese Ingrid Sjostrom. Personaggio caro a Camilleri, la figura di Ingrid è nata recuperando un ricordo legato ad un viaggio a Copenaghen, in seguito all'invito da parte del Dipartimento di Italiano della locale Università a tenere una serie di lezioni su Pirandello.[19] Ingrid è “una vera femmina da copertina”, “una vera grazia di Dio”, campionessa di autocross ed esperta di meccanica, moglie svedese del figlio del professor Cardamone, che ha la brutta tendenza ad andare a letto con la nuora. La donna, che in Svezia faceva il meccanico, diventa amica e collaboratrice di Montalbano; è una ragazza molto disinibita e sincera:

    “a Montalbano la giovane rimetteva le sue confidenze, i suoi problemi, e lui fraternamente e saggiamente la consigliava: era una sorta di padre spirituale - ruolo che aveva dovuto imporsi a forza, Ingrid suscitando pensieri non precisamente spirituali”(Il cane di terracotta, p. 80).

    Ne La gita a Tindari il tradimento resta, come si è detto, nel vago e nel generico: il commissario, dolorante per avere abbattuto a spallate la porta di una casa di campagna, sta male; Ingrid resta a dormire da lui e nel sonno lui la scambia per Livia. Ma in seguito fra i due non cambia niente, è come se non fosse successo nulla. Ne Il giro di boa, Ingrid torna a rivestire un ruolo molto importante: contribuisce all'indagine condotta dal commissario, partecipa con lui a un pedinamento a bordo di una potente macchina ("in veste di vicesceriffo", scherza il commissario[20]) e continua a... insidiarne la virtù, provocando anche la gelosia di Livia. Ingrid però è sostanzialmente una donna sola e delusa, come osserva lo stesso Montalbano una notte che lei resta a dormire nella sua casa (in letti rigorosamente separati, perché se no "manco Sant'Antonio ce l'avrebbe fatta"):

    "Che cosa rappresentava per Ingrid la casa sua e di suo marito? Forse un letto ancora più estraneo di quello dove in quel momento si era corcata? E se avesse avuto un figlio, la sua casa non gli sarebbe parsa diversa, più càvuda, più accogliente? Povera fimmina! Quanta malinconia, quanta solitudine era capace d'ammucciare darrè la sua apparentemente superficiale gioia di vivere? Sentì dintra di sé montare una sensazione nuova verso Ingrid, un senso di struggente tenerezza" (Il giro di boa, pp. 184-185).

    Altre donne compaiono occasionalmente nella vita di Montalbano: ne La voce del violino Montalbano conosce la bella e solitaria professoressa Anna Tropeano, ne L'odore della notte, è momentaneamente attratto da Michela Manganaro, una ragazza che lavorava nell'ufficio del truffatore Gargano. Ma, in queste ed in altre occasioni, il commissario resta fedele alla sua Livia (o forse alla sua vita abitudinaria...).

    13. L'evoluzione di Montalbano - Il giro di boa

    Montalbano si distingue nettamente dal collega Maigret, protagonista dei gialli di George Simenon, che appare sostanzialmente immutabile inchiesta dopo inchiesta, sia nel modo di pensare che nei comportamenti. Montalbano invece cambia, si evolve, si trasforma. Una svolta importante è costituita dalla morte del padre (Il ladro di merendine) e dalla scoperta di una sorta di vocazione alla paternità, peraltro presto sopita. Montalbano vive male il rapporto col presente; ne Il cane di terracotta abbandona un'indagine sul traffico di armi per concentrarsi sulle cause che cinquant'anni prima avevano portato all'uccisione di due giovani amanti; è un tentativo di sottrarsi alla realtà presente indagando su un delitto lontano nel tempo[21].

    "Passando da un'inchiesta all'altra, si avverte una crescente stanchezza in Montalbano, un desiderio di fuga dagli orrori che lo circondano e che pure non diminuiscono l'amore per la sua terra, un senso di sconfitta e di rifiuto che raggiunge il suo culmine in una delle scene finali de La gita a Tindari in cui il commissario, dopo aver ricostruito i ributtanti retroscena del caso, si abbandona ad una dolorosa e liberatoria vomitata"[22]: "Dalla vucca dello stomaco una violenta botta di nausea gli artigliò la gola. Corse in bagno tenendosi a malappena, s'inginocchiò davanti alla tazza e cominciò a vomitare. Vomitò il whisky appena bevuto, vomitò il mangiare di quella jornata e il mangiare della jornata avanti e quello della jornata avanti ancora e gli parse, la testa sudata oramà tutta dintra la tazza, un dolore ai fianchi, di vomitare interminabilmente tutto il tempo della sua vita, andando sempre più indietro fino alla pappina che gli davano quand'era picciliddro e quando si fu liberato macari del latte di sua matre continuò ancora a vomitare tossico amaro, fiele, odio puro" (La gita a Tindari, pp. 273-274). "Montalbano inizia a sentirsi vecchio per il suo mestiere[23]..., riesce con difficoltà ad adeguarsi ai cambiamenti repentini che caratterizzano il mondo che lo circonda, con il proliferare dei telefoni cellulari e di Internet, con l'avvento della nuova mafia che soppianta la tradizionale contrapposizione fra le famiglie dei Cuffaro e dei Sinagra, con delitti legati alle moderne scoperte come il trapianto di organi, con l'ascesa di giovani arrivisti come il questore Bonetti-Alderighi"[24]. A differenza del più giovane Augello, Montalbano non si sente pronto per il terzo millennio: "Lui era un cinquantino e Mimì un trentino. Augello era già pronto per il 2000 mentre lui non lo sarebbe mai stato. Tutto qua. Augello sapeva che stava naturalmente trasendo in un'epoca di delitti spietati, fatti da anonimi, che avevano un sito, un indirizzo su Internet o quello che sarebbe stato, e mai una faccia, un paro d'occhi, un'espressione. No, troppo vecchio oramà" (La gita a Tindari, p. 284).

    Nel racconto Ferito a morte emerge chiaramente questa accidiosa crescente stanchezza:

    Vai a sapiri pirchì, appena rapruti gli occhi su una giornata che, da quello che si poteva vìdiri dalla finestra aperta, s'appresentava ummirusa e vintusa, gli tornarono a mente due versi che so' patre usava ripetere di primo matino quanno si susiva dal letto: 'Accominzamo, con nova promissa, sta gran sullenni pigliata pi fissa'... Aveva solamente gana di tornare sotto le coperte, incuponarsi, ritrovare il calore e l'odore dei linzoli ancora cavudi, inserrare l'occhi e presentare le sue formali dimissioni da tutto per raggiunti limiti di stanchizza, di noia, di sopportazione. In bagno, si taliò allo specchio e si fece subitanea 'ntipatia. Ma come facevano le pirsone a reggerlo e alcune a volergli amcari beme? Lui non si voleva bene, questo era certo (La paura di Montalbano, p. 52).

    Ne L'odore della notte, dopo una pericolosa immersione subacquea, il commissario si mostra orgoglioso della sua forma fisica ("Voglio vidiri quanti picciotti sono capaci di quello che ho fatto io!", p. 155), ma subito dopo viene atterrato da un micidiale "colpo della strega":

    La cassetta, mentre la stava infilando nel videoregistratore, cadì 'n terra. Si chinò per pigliarla e restò accussì, mezzo calato, senza poter cataminare, una lacerante fitta di dolore alla schiena. La vecchiaia si stava ignobilmente vendicando (L'odore della notte, p. 155).

    In effetti è stato notato che il commissario dimostra di essere ben più "vecchio" di quanto comporti la sua età anagrafica: Montalbano è nato nel 1950, aveva 18 anni nel '68, sicchè è un poco "antico" per l'età che ha, sembra avere la forma mentis di un sessantenne colto e a tratti stanco. I quarantenni vedono il commissario, che dovrebbe essere generazionalmente piu' vicino a loro, più simile invece ai loro padri ultrasettantenni; non si ritrovano nel commissario quei riferimenti culturali generazionali (ad esempio la musica), quelle letture attorno a cui ruotano le storie degli attuali quarantenni. Si noti, ad es. questo capoverso del racconto Ferito a morte:

    "si diresse verso il porto, si fermò a taliare i turisti che acchianavano sulla nave traghetto per le isole. Erano quasi tutti picciotti stranieri dotati di sacco a pelo. Sicuramente non avrebbero arricchito le isole col loro denaro, ma con lo splendore della loro giovinezza, sì. Sospirò e principiò a farsi la solita passiata fino alla punta del molo" (La paura di Montalbano, p. 93).

    Ma è soprattutto ne Il giro di boa, appena uscito, che l'incipiente "vecchiaia" del commissario viene fuori più e più volte; a livello fisico, in un paio di occasioni, mentre si trova in acqua (la seconda volta nel pieno di una pericolosa missione) viene colto da atroci fitte di dolore; inoltre, il fiato gli manca e si sente quasi morire. Già abbiamo detto del disagio che Montalbano prova nei confronti della polizia; di questa stanchezza e questo disgusto è testimonianza questa riflessione del commissario sugli orrori del mondo contemporaneo:

    Ecco: quella gente che arrivava da tutte le parti più povere e devastate del mondo aveva in sé tanta forza, tanta disperazione da far girare i cardini della storia in senso contrario. Con buona pace di Cozzi, Pini, Falpalà e soci. I quali erano causa ed effetto di un mondo fatto di terroristi che ammazzavano tremila americani in un botto solo, di americani che consideravano centinara e centinara di morti civili come 'effetti collaterali' dei loro bombardamenti, di automobilisti che scrafazzavano pirsone e non si fermavano a soccorrerle, di matri che ammazzavano i figli in culla senza un pirchì, di figli che scannavano matri, patri, fratelli e sorelle per soldi, di bilanci falsi che a norma di nuove regole non erano da considerarsi falsi, di gente che avrebbe dovuto da anni trovarsi in galera e invece non solo era libera, ma faciva e dettava liggi (Il giro di boa, pp. 66-67).

    14. Montalbano e la critica

    A proposito di Montalbano, in un libro-intervista di Marcello Sorgi (La testa ci fa dire, 2000), Camilleri ha spiegato così il successo del personaggio:

    "Credo che, in fondo, per ciò che riguarda Montalbano, la cosa più logica è che io vengo ad occupare uno spazio vuoto, che in Italia finora non c'era, che è la scrittura d'intrattenimento alto; cosa che in Inghilterra c'è e che invece da noi manca completamente. É una considerazione fatta da Carlo Bo. Poi qualcuno sostiene che io sono un artigiano della scrittura. E qualcun altro mi ha detto: ce ne fossero di artigiani come lei. Io concordo sull'artigianato. D'altra parte, una cosa che ho sempre detestato è che in Italia se tu non fai una cattedrale non sei un architetto. Invece ci sono delle cattedrali orrende, delle chiese orrende, e delle chiese di campagna meravigliose. Ci credo all'artigianato di una certa classe. É quello che ha fatto la fortuna, tanto per dire, del cinema degli Stati Uniti. Mentre in Italia o si è Fellini o non si è nessuno".

    In effetti all'immenso successo di pubblico riscosso in quest'ultimo decennio da ogni libro di Camilleri non ha corrisposto un' altrettanto entusiastica accoglienza da parte della critica; qualcuno addirittura ha scorto nei successi di Camilleri un indice della pochezza intellettuale della nostra epoca, priva di grandi scrittori. Vincenzo Consolo ha dichiarato: "di Camilleri ho capito che c'entra poco con Sciascia e con l'impegno civile... Uno dei motivi di successo di Camilleri, a mio avviso, anche se forse sbaglio, è che non fa pensare". Camilleri ha così replicato: "Io reagisco a una certa idea dell'impegno, come lo intende Consolo, e come lo intendeva Sartre. L'impegno organico, lo scrittore organico. Uno scrittore, specialmente uno scrittore siciliano, si deve scontrare per forza con la realtà. Che poi lo faccia in termini di leggerezza, è duro in Italia a farlo capire". Gran parte della critica ritiene che la forza dei romanzi di Camilleri venga dal suo particolarissimo linguaggio; tuttavia, anche qui non mancano le critiche:

  • Ermanno Paccagnini, che pur valuta positivamente i libri di Camilleri, è scettico sull'uso della lingua e soprattutto sulla scelta di far condividere al narratore l'idioletto dei personaggi[25];
  • Guarini (1999) deplora il "correttissimo italiano basico che Camilleri, per certe sue insondabili ragioni, ritiene doveroso insaporire conficcandovi qui e là qualche vocabolo siciliano. Ignoto è il principio che governa lo sparpagliamento di questi termini sulla superficie della pagina";
  • per Cotroneo sono "non è un linguaggio rivoluzionario, reinventato, non è il lombardo di Gadda, non è neppure il siciliano denso e sofisticato di Vincenzo Consolo".

    Ancora più negativa è l'opinione di Giulio Ferroni, che, pur considerando "simpatici" l'autore e la sua opera, non li ritiene degni di figurare nel suo aggiornamento alla Storia della letteratura italiana della Garzanti (nella quale compaiono altri siciliani illustri come Sciascia e Consolo); secondo lui, Camilleri è un buon artigiano, ma non uno scrittore importante del '900. A suo parere, non va oltre la descrizione caricaturale di luoghi e personaggi.[26] In un articolo sul “Corriere della Sera” (11/12/2000) dal titolo “Camilleri, che noia”, Francesco Merlo ha deplorato la “sicilitudine” come genere letterario: “quella Sicilia immaginaria delle macchiette e degli stereotipi ... Camilleri è il gran ciambellano di un espediente retorico, la sicilitudine appunto..”. In particolare, sono stati criticati i racconti brevi su Montalbano, quelli che Cesare Medail sul "Corriere" (19/5/2002) ha definito "cortometraggi": la brevità di alcuni racconti non sempre sarebbe utile allo sviluppo della narrazione che talvolta cadrebbe nell'aneddoto, o porterebbe alla costruzione di personaggi che rasentano un po' la macchietta. Camilleri ha sempre risposto per le rime ai suoi detrattori; nelle sue pagine si colgono frecciate pungenti contro la critica, ritenuta miope o servile:

    "Tutta la colpa della nottata che stava perdendo, arramazzandosi nel letto sino a farsi quasi stranguliare dal linzolo, non era certo dovuta alla mangiata della sira avanti, che era stata di robba leggera. No, la colpa probabilmente era da darsi al libro che si era portato appresso quanno era andato a corcarsi, al nirbuso che gli stavano provocando certe pagine scipite e splàpite di un romanzo osannato dai recensori come una delle cime più alte toccate dalla letteratura mondiale degli ultimi cinquant'anni. La scoperta della cima di turno capitava in media una volta ogni sei mesi e a lanciare l'urlo estasiato era un quotidiano tanticchia snob al quale gli altri immediatamente s'accodavano" (Ferito a morte, da La paura di Montalbano, p. 23).

    In Montalbano si rifiuta (un racconto de Gli arancini di Montalbano) Camilleri tocca l'apice della sua capacità di ironia e di dissacrazione; infatti scherza sulla fama di "buonista" che parte della critica gli ha attribuito e così risponde al telefono al suo personaggio, che lo chiama inorridito (visto che Camilleri gli sta facendo vivere un'avventura insolitamente truculenta):

    "Figlio mio, cerca di capirmi. Certuni scrivono che io sono un buonista, uno che conta storie mielate e rassicuranti; certaltri dicono invece che il successo che ho grazie a te non mi ha fatto bene, che sono diventato ripetitivo, con l'occhio solo ai diritti d'autore... Sostengono che sono uno scrittore facile, magari se poi s'addannano a capire come scrivo. Sto cercando d'aggiornarmi, Salvo. Tanticchia di sangue sulla carta non fa male a nessuno" (Montalbano si rifiuta, da Gli arancini di Montalbano, p. 168).

    Quanto al presunto "buonismo" di Camilleri, evidentemente certi critici non leggono o leggono male i suoi libri: infatti nei romanzi di Montalbano sono denunziate realtà terribili come il traffico di organi, l'immigrazione clandestina, la pedofilia, ecc. Il successo "eccessivo" di Montalbano dà tuttavia alquanto fastidio a Camilleri, ormai "schiavo" di quello che è diventato un vero e proprio "personaggio seriale"; ne deriva "anche l'esistenza di un pubblico da telenovela (la pungente definizione è della moglie dello stesso scrittore), che abbraccia tutte le fasce d'età, un pubblico che rischia di divenire persino invadente: è infatti talmente affezionato ai personaggi seriali che in qualche modo vorrebbe influire sullo sviluppo delle storie, manipolando anche l'autore, reso ostaggio della sua stessa creazione: vi si può riconoscere quel tipo di lettore estremizzato da Stephen King nella folle protagonista di Misery non deve morire"[27]. É avvenuto insomma che il numero dei lettori e dei telespettatori delle opere di Camilleri è tale da influenzare la produzione dell'autore stesso. Sicché Camilleri stesso ha dichiarato in un'intervista:

    "Mi sono accorto che un personaggio seriale tende sempre e comunque a trasformarsi in un serial killer, che tenta in primo luogo di far fuori l'autore... Il primo di noi che trova il modo di far sparire senza danno un personaggio seriale, deve impegnarsi a comunicare la sua ricetta ai colleghi scrittori".

    Tuttavia in un'intervista a "La Repubblica" (14 marzo 2003), lo scrittore ha voluto tranquillizzare i lettori:

    "Non dobbiamo dimenticare che Montalbano è un signore di 53 anni e quindi avrebbe tutto il diritto di andarsene in pensione. Ma i lettori stiano tranquilli, perché a me non piace che la gente muoia: si figuri se faccio morire uno come Montalbano. Invidio Santo Piazzese, che è riuscito a spostare il protagonista. La sua è stata un'idea geniale...".

    14. Montalbano e la critica

    L'avventura televisiva di Salvo Montalbano comincia nel 1998, quando il produttore Carlo Degli Esposti, presidente della Palomar, e la struttura Cinemafiction della Rai decidono di trasporre in fiction i romanzi di Andrea Camilleri. Anche la trasposizione televisiva dei romanzi di Andrea Camilleri ha avuto un successo clamoroso, tanto da diventare un vero caso televisivo, uno dei migliori prodotti della fiction europea degli ultimi anni, tale da mettere d'accordo pubblico e critica e da meritare il riconoscimento internazionale. I primi quattro romanzi che hanno per protagonista il commissario Montalbano (Il ladro di merendine, La voce del violino, La forma dell'acqua, Il cane di terracotta) erano stati messi in onda in TV nel 1999 e nel 2000. Nella primavera 2001 erano andati in onda La gita a Tindari e Tocco d’artista (un episodio di Un mese con Montalbano). Il Commissario è tornato infine in prima serata da lunedì 28 ottobre 2002, su Raiuno, con quattro nuovi episodi: Il senso del tatto, Gli arancini di Montalbano, L'odore della notte, Gatto e cardellino; aggiunti ai precedenti, portano ormai a dieci i film tv sul Commissario Montalbano. I punti di forza della fiction TV, splendida matrice letteraria a parte, sono:

  • la regia meticolosa e partecipe di Alberto Sironi;
  • l’accurato lavoro di sceneggiatura di Francesco Bruni, Salvatore De Mola e dello stesso Camilleri; la sceneggiatura è perfetta e priva di cedimenti (i dialoghi, che in questi casi sono spesso la parte più debole, sono azzeccatissimi e mai pittoreschi nella loro lingua moderatamente italo-siciliana).
  • il cast di ottimo livello (dai protagonisti ai caratteristi, scovati con pignolissima pazienza nei teatrini dialettali di Catania e nelle compagnie amatoriali: una rarità nel nostro panorama televisivo);
  • l’impegno produttivo - finanziario ma non solo - della Palomar di Carlo Degli Esposti, che nei quattro nuovi film ha investito 6 milioni e 700 mila euro;
  • la bellezza naturale delle locations: luoghi come la Tonnara di Scopello, Favignana, la Tonnara di Capo Passero, il Castello di Donnafugata, il Castello di Porto Palo, Modica, Scicli, Ispica, Pachino, Noto. E' questa la Sicilia senza tempo, senza età, senza precisi riferimenti geografici di Camilleri. In fondo, nessuno può dire dove si trovi Vigata, o la celebre casa sul mare del Commissario Montalbano (nella fiction Marinella è Punta Secca, tra Marina di Ragusa e Santa Croce Camerina[28]);
  • la felice scelta dell'attore protagonista: Luca Zingaretti.

    Era già successo alla Tv almeno una volta, in passato, che un personaggio si identificasse talmente nel suo interprete - o viceversa - da impedire anche la sola idea che in futuro ci potesse essere un altro attore in quel ruolo. Ad es. Gino Cervi, che divenne Maigret in una serie di sceneggiati (il primo del 1965, tutti diretti da Mario Landi), non fu un attore che impersonava Maigret: "era" Maigret, punto e basta. Così, quando accade di vedere Maigret con la faccia di Jean Gabin (in tre film: 1958, '59, '63), quasi si resta delusi. Similmente, "oggi Montalbano è Luca Zingaretti, nessuno può immaginarlo con un' altra faccia", come sostiene a ragione Alberto Sironi. Luca Zingaretti incarna perfettamente l'uomo mediterraneo schivo, solitario, con un forte senso morale, in sintonia con la spigolosità del personaggio.

    Zingaretti ha interpretato, fra cinema e televisione, circa venticinque film. Nato a Roma nel 1961, si è diplomato nel 1984 all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico e successivamente ha frequentato uno stage di danza per attori alla scuola di Maurice Bejart. Nei primi anni '80 esordisce a teatro; parallelamente alla carriera teatrale, Zingaretti ha svolto una intensa attività da protagonista, in produzioni sia cinematografiche che televisive. Ha esordito sul grande schermo ne Gli occhiali d'oro di Giuliano Montaldo (1987). In seguito ha interpretato Il giovane Mussolini di Gianluigi Calderone (1993), Abissinia (1993) di Francesco Ranieri, Il branco (1994) di Marco Risi, Senza pelle (1994) di Alessandro D'Alatri, Artemisia (1997) di Agnés Merlet, La Piovra 8 (1997) di Giacomo Battiato, Tu ridi (1998) dei fratelli Taviani, Il commesso viaggiatore (1999) di Francesco Del Bosco, "Vite strozzate" (1996) di Ricky Tognazzi , ove interpretava un perfido usuraio colluso con la camorra. Ricordiamo inoltre la sua partecipazione a "Jesus" (1999), film per la televisione trasmesso da RaiUno, dove interpretava il ruolo di Pietro, e soprattutto la grande prova nello sceneggiato Perlasca, un eroe italiano, per la regia di Alberto Negrin , che ha ottenuto un notevole successo di pubblico.

    Per tutti però Luca Zingaretti resta soprattutto il commissario Montalbano, anche se è molto più giovane di Montalbano; ma per altri aspetti Luca e Salvo si somigliano, nell'aspetto fisico come in alcuni aspetti del carattere. L'attore, in un'intervista, ha raccontato che quel commissario gentiluomo, ruvido e solitario che gli ha regalato la popolarità, è il suo migliore amico; lo considera un personaggio che non appartiene al branco, che se ne infischia di carriera, quattrini e potere. L'11 febbraio 2003 il Presidente della repubblica Ciampi, in visita al Teatro Regina Margherita di Racalmuto (AG), ha nominato Zingaretti cavaliere (e Camilleri Grande Ufficiale).

    Nella fiction TV è stata accurata anche la scelta dei personaggi comprimari. Fra i molti attori si possono ricordare: Katharina Bohm (Livia), Cesare Bocci (Mimì Augello), Peppino Mazzotta (Fazio), Davide Loverde (Galluzzo), Marco Cavallaro (Tortorella), Angelo Russo (Catarella), Marcello Perracchio (Dr. Pasquano), Giovanni Guardiano (Jacomuzzi), Roberto Nobile (Nicolò Zito). Il regista Sironi rivela di avere cercato gli attori nei teatrini dialettali di Catania e nelle compagnie amatoriali e di avere anche scomodato "qualche grande vecchio che aveva smesso di recitare" (ad es. Ciccino Sineri, chiamato a interpretare il boss Balduccio Sinagra).

    Nonostante la fedeltà di fondo ai testi camilleriani, almeno tre aspetti se ne allontanano nettamente:
    1. il Montalbano TV è molto meno colto e meno gourmet del personaggio dei libri
    2. nella fiction sono introdotti nuovi personaggi (ad es. ne Il gatto e il cardellino la vicecommissario Barbara) e, negli episodi tratti dai racconti (ad es. Tocco d'artista) viene rielaborata la trama, allungandola, modificandola e contaminandola con altri racconti.
    3. soprattutto, in TV Camilleri è piuttosto "edulcorato" e vengono cancellati tutti i riferimenti pericolosamente attuali (all'attuale situazione politica, a personaggi scomodi come Sofri o Calvi, a Tangentopoli, ecc.); ciò ha salvato la fiction TV dal fare la fine della "Piovra"... Ma ora come faranno con Il giro di boa?

    I dati dell'audience peraltro confermano lo straordinario successo della serie; su "La Repubblica" del 5 novembre 2002 si leggeva:

    Ascolti record per il secondo episodio della serie televisiva -
    "Gli arancini di Montalbano" batte "Striscia la notizia" -
    Montalbano batte le Veline - Dieci milioni per il commissario -
    Camilleri: "Una cifra incredibile".




    15. Montalbano a scuola

    A Ispica nel Liceo Curcio è stata fatto un esperimento, sostituendo in una V ginnasio I promessi sposi con Il birraio di Preston di Camilleri; il Preside Attilio Sigona ha dichiarato (la sintassi un po' sbilenca è tutta sua):

    "ai ragazzi un testo contemporaneo, con un linguaggio attuale e che valorizzava anche il territorio li avrebbe coinvolti più di un testo ormai superato. Allora la curia ci attaccò in tutti i modi ma noi andammo avanti e finita la sperimentazione abbiamo seguito la classe e abbiamo visto che i voti sono in linea con le altre classi e la preparazione non lamenta nessuna lacuna"[29].

    Le polemiche però non sono mancate, così come le discussioni sui Promessi sposi e su Manzoni. Noi, qui all'Umberto, due anni fa abbiamo realizzato un'esperienza interessantissima, nella V H dell'a.s. 2000-2001. Dò ora la parola ad alcuni miei ex alunni, ora in II H, che vi parleranno di questa esperienza. Ecco alcuni stralci della presentazione che scrissi in quell'occasione:

    Classe V H - Realizzazione di articoli ispirati a Gli arancini di Montalbano di Andrea Camilleri (aprile 2001) Perché leggere Camilleri a scuola? Non è un autore troppo “facile”, troppo “commerciale”? Non ha forse il “difetto” di vendere migliaia e migliaia di copie dei suoi libri? Ed un best-seller come “Gli arancini di Montalbano” può presentare quella che il nostro scrupolo di docenti definisce “valenza didattica”? Questi “angoscianti” interrogativi non mi hanno “angosciato” più di tanto: un autore che vende due milioni di copie in due anni è di fatto un caso letterario (con buona pace dei suoi non pochi detrattori) e diventa anche un fenomeno di costume; quindi studiare Camilleri a scuola è, semplicemente, inevitabile, se è vero che la scuola non può essere solo una sorta di museo ove venerare sacre reliquie del passato ma è, anche e soprattutto, luogo di concreto contatto con la vita reale, con la società civile, col mondo di oggi... La V H ha dunque letto per intero “Gli arancini di Montalbano”, provando ben presto la sensazione che provano tutti i lettori di Camilleri: divertimento, interesse, coinvolgimento, mai noia, mai stanchezza: anche questo sia detto con buona pace di alcuni insigni scrittori siciliani di oggi, che mal celano il loro livore verso il loro troppo fortunato collega; scrive in proposito Camilleri stesso: “sostengono che sono uno scrittore facile, macari se poi s’addannano a capire come scrivo”. Se però avessi chiesto ai miei ragazzi di fermarsi qui, non so quanti sarebbero andati oltre questo epidermico “godimento” (per quanto la lettura stessa di un libro, coi tempi che corrono, non sia operazione da buttar via…)... Le indagini del commissario Montalbano sono così divenute spunto per gli articoli di due immaginari giornali dell’immaginaria Vigata camilleriana. Ovviamente i due quotidiani sono frontalmente contrapposti nell’interpretazione dei fatti: - “Il Vigatese” segue con ammirazione e stima le inchieste del commissario, difendendolo anche quando il suo comportamento investigativo risulta meno “ortodosso” e convenzionale; - “Il Corriere di Vigata”, invece, critica aspramente i metodi di Montalbano, ne contesta le scelte anticonformistiche e le idee politiche, ne auspica l’allontanamento dalla “pacifica” Vigata. In entrambi i “giornali”, gli articoli sono affiancati da ampi commenti (ovviamente di segno opposto); anche la scelta “tipografica” è diversa, come diverso è il risalto dato agli eventi e alla loro interpretazione. L’impaginazione (realizzata al computer) è curatissima: il lettore è indotto a “visualizzare” subito la notizia importante, ma - per una sorta di “horror vacui” - tutti gli spazi sono sfruttati opportunamente. Devo dare atto ai ragazzi di avere realizzato questo lavoro con vivo interesse: divertendosi a “fare i giornalisti”, essi hanno compreso meglio l’enorme potere dei media, la loro capacità di presentare e imporre una certa interpretazione della realtà, la loro abilità nell’ “informare” e/o nel “deformare”. Gli alunni, inoltre, al termine della loro fatica, hanno inviato un messaggio di posta elettronica al Camilleri Fans Club, un’associazione culturale che ha creato un apposito sito Internet, assiduamente consultato “pirsonalmente di pirsona” dal “Sommo” (così scherzosamente viene chiamato Camilleri dai soci). In tale “e-mail” la V H ha comunicato le modalità del lavoro svolto, culminato nella realizzazione della presente “mostra” su Camilleri, che - oltre a presentare i migliori fra gli articoli realizzati - intende fornire a tutti gli alunni dell’ “Umberto” un’ informazione di base sullo scrittore agrigentino. L’impegno, l’entusiasmo, i sacrifici di questi ragazzi sono stati encomiabili: essi hanno intensamente e proficuamente lavorato in gruppo, non senza litigi - “sciarre”, direbbe Camilleri -, momenti di sconforto, rifacimenti, contrasti e innumerevoli problemi “tecnici”. La fatica è stata tanta, ma il risultato è senz’altro positivo...


    Camilleri, informato dell'iniziativa dal Camilleri Fans Club, ci ha mandato questa affettuosa lettera di complimenti (2 giugno 2001):

    Carissimi picciotti e picciotteddre della V, voi non meritate di stare in H ma di giocare in serie A! Devo sinceramente dirvi che me la sono scialata a leggere i vostri due giornali e vi elenco le principali ragioni (perdonate questa forma da libro mastro):

    1) La capacita' di sintetizzare un racconto in poche righe senza trascurare dettagli importanti, dandogli il tono di una notizia di cronaca. Certe volte, leggendo alcune recensioni, rimango esterrefatto dai "riassunti" che, per fortuna raramente, travisano quello che avevo scritto. Voi siete puntuali e precisi senza pedanteria, anzi con brio. Questi recensori dovrebbero imparare da voi.
    2) L'autonomia che avete saputo guadagnarvi uscendo fuori dai paletti dei miei racconti. Le opinioni di Ragonese (avversario storico di Montalbano) sono perfettamente in linea col mio personaggio e non e' detto che, in futuro, io non "rubi" qualche vostra battuta[30].
    3) L'idea molto bella della contrapposizione tra due testate giornalistiche risponde perfettamente a una certa dialettica dell'informazione ai giorni nostri (chiamiamola dialettica per carita' di patria). Mi ha divertito molto, tra l'altro, trovare nel "Corriere" il pettegolezzo sul "tradimento" di Montalbano o il consiglio dato al commissario di frequentare la palestra. Divertentissime poi sono le interviste, a Catarella, alla dottoressa Pavisi, ecc.
    4) Molto spasso con le foto, a volte splendidamente deliranti.

    Amici miei, Che dirvi? Sono commosso per l'attenzione e ringrazio voi e il professor Pintacuda. La mostra avrei proprio voluto vederla, ma...siccome sono tanticchia vecchio, viaggiare mi stanca molto. Continuate ad avere fantasia, è importante!! Vi abbraccia il vostro Andrea Camilleri








    [1] Giuseppe Passarello, La linea della palma, Palermo 2002, Palumbo, pp. 392-393.

    [2] In seguito all'uscita de Il giro di boa è slittata l'uscita, sempre con Sellerio, del romanzo storico La presa di Macallè (si tratta di una storia ambientata a Vigàta nel 1935, ai tempi della guerra di Abissinia).

    [3] Giovanni Capecchi, Andrea Camilleri, Cadmo, Fiesole (FI); 2000, pp. 37-38.

    [4] Giovanni Capecchi, op. cit., p. 71.

    [5] Cfr. Gabriella Grimaldi, Le avventure in giallo di un 'europoliziotto', in 'La Nuova Sardegna', 17/6/1998.

    [6] Simona Demontis, op. cit., p. 181.

    [7] Cfr. pp. 136-137.

    [8] Cfr. Gli arancini di Montalbano, p. 131.

    [9] L'ulivo saraceno è così importante che Camilleri aveva inizialmente ipotizzato, per La gita a Tindari, il titolo L'albero della ragione ("Gazzetta del Sud" 1/9/99).

    [10] E infatti al commissario Sciacchitano, che ha trattato male i suoi uomini, Montalbano mente, inventandosi che il questore ha scritto al ministro per lamentare i metodi da lui usati (Il cane di terracotta). E sa anche ricattare: ad es. ricatta il suocero di Ingrid, che abusa della nuora (ne Il cane di terracotta), facendogli recapitare fotografie particolari e minacciandolo di spedirle ai giornali.,

    [11] Ecco altri due passi di carattere "gastronomico": "Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina ! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell’Aida. Canticchiandole, raprì la porta-finestra doppo avere addrumato la luce della verandina. Sì, la notte era frisca, ma avrebbe consentito la mangiata all’aperto. Conzò il tavolinetto, portò fora il piatto, il vino, il pane e s'assittò." (La gita a Tindari, p. 219). "Gesù, gli arancini di Adelina ! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta: Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si prìpara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano, pi carità !), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini gna poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pì carità di Dio !). Il suco della carne s'ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s'assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell'altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s'infilano in una padeddra d'oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d'oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta e alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano !" (Gli arancini di Montalbano, p. 329).

    [12] L'odore della notte, p. 85.

    [13] Simona Demontis, op. cit., pp. 34-35.

    [14] Sempre ne Il giro di boa quando, miracolosamente, Catarella azzecca clamorosamente due nomi di seguito, il commissario vede in questo fatto sorprendente un sintomo di un cambiamento profondo nelle regole del mondo (cfr. p. 93).

    [15] "Il dottor Lattes era il capo di Gabinetto del Questore, soprannominato 'Lattes e mieles' perché era untuoso, strisciante e capace di sorriderti affettuosamente mentre ti accoltellava" (Ferito a morte, da La parua di Montalbano, p. 43).

    [16] A Vigàta operano due TV locali: Televigàta (che “era governativa per fede congenita, quale che fosse il governo, rosso, nero o cilestrino”, Il cane di terracotta, p. 42) e Retelibera (di sinistra, in cui lavora Nicolò Zito, di cui il commissario è amico).

    [17] Cfr. "Il Mattino", 23/6/98.

    [18] Simona Demontis, op. cit., pp. 192-193.

    [19] "La sera prima di partire, avevo l'aereo alle 10 del giorno dopo, eravamo una grandissima tavolata in cui ero con il rettore dell'università a sinistra e seduta davanti a me era una di queste meravigliose svedesi. A un certo punto, senza fare tanti preamboli, la studentessa mi fa: "Senti professore, io stasera avrei voglia di stare con te". Lo disse così, davanti a tutti, provocandomi e trasformandomi il viso in un peperone rosso... Più la guardavo e più arrossivo perchè la vedevo davanti a me assolutamente libera, bella e pulita. Porca miseria. La cosa scioccante era questa idea di pulizia, di assoluta sincerità e disinvoltura. Quell'idea me la sono portata dentro. E il personaggio della svedese è nato di lì" (Marcello Sorgi, La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri, Palermo, Sellerio, 2000, p. 104).

    [20] Il giro di boa, p. 191.

    [21] É proprio quello che gli dice il prof. Liborio Pintacuda: "Il suo è stato un modo finissimo e intelligente di continuare a fare il suo non piacevole mestiere scappando però dalla realtà di tutti i giorni. Evidentemente questa realtà quotidiana a un certo momento le pesa troppo. E lei se ne scappa" (Il ladro di merendine, p. 233). Come ha spiegato lo stesso Camilleri in un'intervista, "il professore Pintacuda del Ladro di merendine è in parte Sciascia ed in parte il mio professore di filosofia al liceo "Empedocle" di Agrigento. Si chiamava Carlo Greca".

    [22] Giovanni Capecchi, op. cit., p. 76.

    [23] "Troppo vecchio per questo mestiere" (La gita a Tindari, p. 274).

    [24] Giovanni Capecchi, op. cit., p. 77.

    [25] Ermanno Paccagnini, La scrittura di Camilleri si intreccia con tre fili, "Il Sole 24 Ore", 3/8/1997.

    [26] Cfr. Mirella Serri, Ferroni stronca l'autore più letto dagli italiani; Camilleri? Solo marionette", "L'Espresso", 18/1/2001.

    [27] Simona Demontis, op. cit., pp. 73-74.

    [28] Sul Giornale di Sicilia del 22/2/2003 si legge che la casa televisiva di Montalbano, di proprietà di un noto professionista di Ragusa, è stata messa in affitto, per iniziativa dell'Azienda Provinciale di Turismo, per 3000 euro a settimana: ristrutturata, dieci posti letto, aria condizionata.

    [29] da "Corriere della Sera - Sette", 9 gennaio 2003.

    [30] É proprio quello che Camilleri ha fatto ne Il giro di boa, dove alle pp. 31-32 un articolo di Ragonese mostra la stessa impostazione polemica e la stessa articolazione degli articoli del nostro Corriere di Vigata.

    Mario Pintacuda - Incontro al Liceo classico Umberto I - 17/3/2003








  • Last modified Saturday, July, 16, 2011