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Quando facevo Maigret

Anni 60, il futuro inventore di Montalbano è produttore alla Rai. Gli suggeriscono: portiamo sul piccolo schermo il commissario parigino. Ecco, nel suo racconto, come nacque una serie leggendaria.

Ma a chi lo dobbiamo, Maigret? Il successo di Maigret in Italia, s’intende. Alla Mondadori, certo, che per prima tradusse i gialli del commissario parigino. Adesso all’Adelphi, che lo ristampa come un classico. In mezzo, negli anni Sessanta, senza dubbio a Gino Cervi, protagonista di sedici episodi televisivi che inchiodarono il Paese davanti alla tivù come solo, a quei tempi, “Lascia o raddoppia” (e oggi quegli episodi, ristampati in cassetta e dvd dalla Elle U Multimedia si vendono alla grande, e se non li trovate in edicola potete sempre cercarli sul sito elleu.com). Ma qui siamo alla storia, storia nota. A scavare la storia, però, salta fuori il romanzo. Vero. E nel primo capitolo del romanzo si scopre che dietro alla fortuna esplosiva del commissario Maigret formato tivù c’è l’inventore dell’unico commissario italiano capace di tenergli testa per abilità investigativa, inclinazioni gastronomiche, successo di pubblico. Che dietro a Gino Cervi, insomma, c’è Andrea Camilleri, e se non è una coincidenza questa… Lui mette le mani avanti:” All’epoca non mi passava neppure per l’anticamera del cervello di scrivere romanzi gialli. Non avevo la minima idea che un giorno avrei raccontato del commissario Montalbano”. All’epoca Camilleri faceva il produttore per la seconda rete della Rai, una Rai che adesso non si può neanche immaginare, dove uno come lui, “barando”, poteva mandare in onda roba impervia come “Finale di partita” di Samuel Beckett (in un ciclo dedicato al Teatro dell’Assurdo). In che senso, “barando”? “Bé, la mia idea era di portare in tivù drammi altrimenti incomprensibili usando, diciamo, un trucco. E il trucco era la scelta degli attori… In “Finale di Partita i protagonisti erano Renato Rascel e Adolfo Celi, capisce?”. Ebbe ottocentomila spettatori, “una cosa incredibile. Ma già per la televisione cominciava a essere poco. Va bene, pazienza. Comunque quando mandavamo in onda Maigret, nei cinema furono costretti a mettere gli apparecchi tivù, e farlo vedere prima del film. Se no la gente stava a casa.” Camilleri rimette le mani avanti:” L’idea di Maigret, però, non fu mia. Nacque a Diego Fabbri, a nessun altro se non a lui. E cominciò a parlarmene…”. Fabbri aveva scritto per il teatro un famoso “Processo a Gesù” (la prima fu al Piccolo di Milano), ma era uomo poliedrico di interessi. “Insisteva:” Sarebbe straordinario…” tenga presente che faceva piovere sul bagnato. Io avevo cominciato a leggere Simenon da bambino, mi trovò entusiasta. Senza ancora parlarne a nessuno elaborammo una sorta di progetto. E’ chiaro che per il protagonista subito ci venne l’idea di Gino Cervi…” Cervi era uno degli attori più popolari d’Italia, aveva fatto Peppone in Don Camillo, tantissimo teatro, “oltretutto era un uomo di una simpatia, di una comunicativa…”; accettò con entusiasmo la proposta. Era già così importante, per gli attori, la tivù? “Sì, sì, era molto importante. Specie in una serie. L’attore capiva che battendo un chiodo con insistenza si acquistava notorietà. Certo Cervi ce l’aveva già grandissima…”. Il primo ostacolo venne dalla signora Maigret. Cioè, Simenon non era d’accordo sulla scelta di Andreina Pagnani:” Anche noi non avevamo pensato a lei, e non per un fatto di bravura di Andreina, ma perchè l’osservazione che poi ci fece Simenon noi la sapevamo già. Vale a dire: troppo bella. E vabbè, gli dicemmo, è ormai una signora di una certa età. Eh!, disse lui, ma Maigret si è sposato giovanissimo. Voi lo vedete che si sposa una bellissima ragazza come la signora Pagnani? Non rientra nel personaggio”. A volere Andreina era Cervi, che faceva compagnia con lei. “Quando gli esponemmo le nostre ragioni”, ricorda Camilleri, “Gino rispose con una battuta dei Sei personaggi in cerca d’autore. Rispose testualmente:” Ma si rimedia col trucco”, proprio come citazione. Era un’attrice, Andreina: nel momento che la invecchiammo molto e mandammo le foto a Simenon… vabbè, disse. Però era entusiasta di Cervi”. Sul set come andò? ” Io ho fatto tanta televisione. Raramente sono stato così a lungo in un clima di totale rilassamento, era un piacere andare in studio. Sì, c’era una grande intesa, dovuta prima di tutto alla simpatia umana di Cervi, che non drammatizzava mai nessuna situazione. E poi alla grande abilità di Mario Landi (il regista, ndr), su questo non c’è il minimo dubbio. Ho letto che secondo Simenon Cervi è stato il Maigret migliore. Lo credo anch’io…”. Perché? “Quello che li accomunava immediatamente: Gino non scherzava sulla buona tavola. Poi c’era… un comune senso del buon senso, che Maigret ha e che Cervi aveva a livelli notevolissimi. E poi…”. Camilleri parla a voce lenta, bassa, arrochita. S’interrompe spesso, tira gran boccate di sigaretta. Rievoca assaporando. Ma adesso la pausa è più lunga del solito, una vera degustazione.” Ecco, Cervi era un modernissimo attore all’antica. Cioè a dire: modernissimo nella dizione, nel muoversi, ma andava a suggeritore. Gli attori d’oggi non ci vanno più, a suggeritore; imparano la parte a memoria. Abituato com’era al suggeritore, Cervi questa memoria non l’aveva. Solo che il suggeritore non si può adoperare, in televisione, perché si sente…”. E allora? “ Allora si inventò il gobbo. Un gobbo a manovella, non uno di questi gobbi elettronici di cui le annunciatrici dispongono adesso, che possono fare l’aria disinvolta. Sul gobbo manuale, il suggeritore trascriveva le ultime due parole della battuta precedente e poi tutta la battuta di Gino. Gino difficilmente durante le lunghe prove apriva il copione…”. Durante le lunghe prove, il copione l’apriva il suggeritore. Un suggeritore ad persona, perché gli altri la loro parte la imparavano. “Però lui, abilmente, aveva chiesto a me, e naturalmente ottenuto da me, che il gobbo cosiddetto entrasse negli ultimi due o tre giorni in sala prova. In maniera, siccome era a mano, che il suggeritore graduasse il giro di manovella secondo la lunghezza della battuta… Allora, tante di queste cose che hanno fatto il personaggio esemplare, il calcare la pipa, la lentezza di alcuni gesti che danno l’idea di un sottopensiero profondissimo di Maigret, sono in realtà dovute al fatto che lui doveva leggere la battuta!”. Camilleri ride, s’accende l’ennesima sigaretta:” Ricordo un giorno che la mamma di Mario Landi stette male e lui dovette partire. Io ero un regista, e Mario mi disse:” Mi fai un favore? C’è una scena che bisogna girare subito. Sostituiscimi tu.”. Era una scena lunga, si girava solo quella lì. E’ stata una prova del fuoco, come regista televisivo, è stato un incubo… Perché? “Si trattava di un interrogatorio che Maigret faceva a un portinaio, cosa eccezionale perché di solito sono sempre portinaie, sono tutte femmine. Il portinaio, nel caso specifico, era quel grande attore goldoniano che fu Cesco Baseggio. E Cesco era abituato ancor peggio di Gino ad andare a suggeritore. Ma non era abituato al gobbo, cosa che invece Gino aveva imparato…”. Quindi? “Quindi il problema tecnico di dover mettere due gobbi e far sì che le camere fossero messe in direzione tale da nn avere salti di campo o occhi storti e fare un dialogo in cui i due si guardassero di tanto in tanto in faccia fu un problema che io avrei dovuto vincere l’Oscar per la regia con quella sola scena di dieci minuti, cose da impazzire. Venne benissimo, perché giustamente il portiere sembrava reticente, e Gino molto pensoso sulle reticenze del portiere. Venne esemplare. Solo che era il risultato di un disastro”. Ci fu un momento che il disastro si profilò davvero, e irrimediabile. “Un giorno Gino, stavamo girando, continuava a toccarsi dietro. “Che c’hai, Gino?” “C’ho un dolore qua dietro, non è niente”. Invece era un infarto in corso. L’indomani ci vedemmo persi, con lui ricoverato. Mario e io ci eravamo detti: lasciamolo in pace- invece ci chiamò lui:” Venite con un registratore”. E andammo con un registratore. “Ho pensato come risolvere il problema”, disse Gino. “Nel caso che io muoia. Se voi registrate ora questa battuta, dovete metterla fuori campo, però si può concludere la puntata”. Ci aveva pensato, poveraccio. E infatti, toccandoci, facendo scaramanzia, la registrammo. Non ce ne fu bisogno.”. Lei ha detto che, all’epoca di Maigret, non ci pensava neppure, a Montalbano. Poi però qualcosa di Maigret ce l’ha messa, nel suo commissario. Magari inconsciamente… “No, no, anche coscientemente. Coscientemente proprio. Cercando di differenziarlo, certo, se no sarebbe stata una ripetizione”. E Cervi? S’è ricordato pure di Cervi? “Eh, devo dire… per esempio, c’è un punto, in un mio libro, che il commissario Montalbano si fa ‘na mangiata terribile e poi dice alla sua donna che ha mangiato solo un panino. Ecco, quella l’ho presa para para da Gino Cervi. Ci eravamo fatti, io e lui, una mangiata di quelle proprio da star male. Dopo di che lui telefonò a sua moglie e disse che aveva mangiato un panino con Camilleri, che era una bugia infame, perché la signora si preoccupava degli eccessi mangiatori di Gino… ma c’è qualcos’altro di Gino, in Montalbano. A volte mi vengono in mente certe sue reazioni davanti ai personaggi che mi divertivano. Certe occhiate, certi movimenti…. E vedo che Montalbano magari fa lo stesso, così, spontaneamente."

M.G. Minetti - Specchio, supplemento de La Stampa, 25 Maggio 2002






«Amo Simenon più di Maigret»

Nell’ambito della rassegna “Lo strano caso di Monsieur Simenon”, organizzata dal Comune di Roma per commemorare il centenario della nascita dello scrittore belga, mercoledì alle 19,30 si svolgerà al Palladium un incontro dedicato a “L’eredità Simenon”, coordinato da Corrado Augias. Con Giancarlo de Cataldo, Carlo Lucarelli e - in video - Andrea Camilleri. I tre romanzieri racconteranno la loro esperienza con Simenon, che “frequentano” da lungo tempo. Riportiamo ampia parte dell’intervista a Camilleri realizzata da Lisa Ginzburg, organizzatrice del progetto insieme con Maria Ida Gaeta.
Anticipazioni/ Andrea Camilleri parla del suo rapporto letterario con il grande romanziere, in un’intervista in video che sarà presentata mercoledì al Palladium. E dà la pagella: voti altissimi allo scrittore, appena buoni al celebre commissario

Camilleri, come Simenon, lei è scrittore di gialli ma anche di romanzi. E, come lui, ha saputo raccontare magistralmente certi scorci di vita di provincia. Ma, lasciando da parte facili associazioni, quando è che ha incontrato la scrittura di Simenon? «Avevo sette anni, e avevo esaurito i libri che c'erano in casa (ce n'erano parecchi, mio padre leggeva moltissimo, e alla mia domanda su quali libri potevo leggere dava la risposta che uso sempre anche io: ”tutti”). Scoprii per caso che nel cosiddetto tetto morto (il solaio), c'erano dei sacchi di iuta con dentro libri non rilegati, fascicoli... Un giorno presi la chiave, andai su, aprii uno di questi sacchi. C’erano dei fascicoli meravigliosi di Nick Carter, pubblicati mi pare da Nerbini, e più in basso dei libri dalla copertina per niente spessa, della economica Sonzogno. Il primo che mi capitò tra le mani era La follia di Allmayer di Conrad, e subito dopo un romanzo di un tale Georges Sim. Devo dire che Georges Sim mi interessò moltissimo, anche se mi piacque di più quel signore che si chiamava Conrad. Però dopo un po', in quello stesso sacco di iuta trovai altri libri, questa volta firmati Georges Simenon, e cominciai a leggerli. Quindi l'ipotesi di George Steiner, cioè che non siamo noi a leggere un libro, ma il libro legge noi e quindi in realtà ti sceglie, credo che abbia una qualche validità. Io sono stato chiamato nel solaio per andare a trovare questi libri». In seguito, lei ha amato soprattutto Maigret, o il Simenon romanziere? «Ho amato soprattutto il Simenon romanziere. Era quello che a me interessava; Maigret è venuto molto tempo dopo, e devo dire che, nella mia personale valutazione, Maigret era subalterno rispetto ai grandi romanzi che andavo leggendo di Simenon. Anche perché trovavo una straordinaria affinità tra la provincia nella quale mi trovavo a vivere, e la provincia che raccontava Simenon. Erano il più delle volte province del nord della Francia, eppure certi modi di pensare, certe chiusure mentali, beh erano identici. In genere, la provincia del mondo credo sia uguale, abbia straordinarie cose in comune. Certe avarizie... C'era la sua capacità di dare a un bambino (perché io otto, nove anni avevo) la possibilità di potersi rappresentare questi personaggi immediatamente, come su un teatro, come vedendoli agire su un palcoscenico. Questa sensazione me la davano solo due cose: uno era Simenon, l'altro era l 'Orlando Furioso letto e riletto, con le illustrazioni di Gustavo Doré, che guardavo attentamente, per ben altre ragioni, dato che aveva delle splendide ragazze nude che venivano salvate da paladini bravissimi, e concupite da frati orrendi». Qual è il romanzo di Simenon che lei può dire di avere amato di più in assoluto? «Il testamento Donadieu . Per me è di difficile raggiungimento quel libro; perché poi, tra l'altro, c'è questa ingannevole semplicità. Questa cosa che io ammiro più che altro: la semplicità apparente del racconto, il senza sforzo, il senza intoppo col quale il racconto fluisce. Questa è una cosa che mi è sempre piaciuta negli scrittori che prediligo. Ciò che io chiamo la trapezista. La trapezista nel circo equestre esegue con un’eleganza che ci affascina, una leggerezza, con un triplo salto mortale si agguanta all'altro trapezio, e nulla ci lascia vedere dell'esercizio quotidiano, del sudore, della paura, della tensione, della fatica fisica, di tutto ciò che precede l'esercizio. Ecco, amo gli scrittori che ci consegnano il momento del triplo salto mortale della ballerina che continua a sorridere; e non ci lasciano vedere la fatica, le sudate carte». Nel caso di Simenon, e io direi anche nel suo caso, questo sforzo invisibile è anche la capacità di immettere subito il lettore in un ambiente, e non farlo uscire più fino a quando il libro è finito. E' proprio un ambiente fisico... «In Simenon è un esercizio che gli riesce, maledetto lui, con una facilità estrema. In me non so, non vorrei fare paragoni. Ma a lui riesce sempre. Entri dentro il suo ambiente, quale che esso sia. D'altra parte, credo che sia l'unico scrittore di romanzi gialli, in cui il commissario (Maigret) può mettersi dalla parte del morto. Le indagini di Maigret spesso nascono perché il commissario riesce a mettersi dalla parte del morto, a vedere le cose come le aveva viste il morto. Ed è lo sguardo di Simenon nei riguardi della provincia, ed è lo sguardo che ti comunica, che ti contagia. E' straordinario: non te ne dà l'idea, però organizza il tuo sguardo, così come lo sguardo viene organizzato da un disegno, da un quadro». Per lei l'amore per il Simenon giallista è arrivato più tardi? «E' arrivato dopo. Quando il romanzo giallo conobbe una certa diffusione in Italia, cominciò a essere comprato un po' da tutti, anche da mio padre. Mio padre comprava i gialli nella economica Mondadori, ma sin da subito Simenon venne pubblicato in una collana a parte, come se avesse una statura diversa (e in realtà l'aveva). Il momento nel quale cominciai a leggere Maigret lo presi di petto, un po' come faccio oggi. Oggi vado in libreria a cercare se Adelphi ha pubblicato l'ultimo Maigret. Nel ’95 per cento dei casi, fino a questo momento sono romanzi che conosco già, ma attenzione: in una traduzione nuova, di versa, più attenta. Perché a leggerlo nell'originale, il Maigret di Simenon, ti accorgi che c'è qualche cosa che non funziona nel senso dell'ovvietà della scrittura. Queste nuove traduzioni sono più attente a quella che è la lingua originaria di Simenon».

Lisa Ginzburg - Il Messaggero, 30.11.2003






Seguendo Simenon incontro Camilleri

In occasione del nuovo libro di Andrea Camilleri, La prima indagine di Montalbano, ecco un'analisi del comissario siciliano a confronto con il Maigret di Simenon

Ho trascorso molte notti guardando vecchie repliche televisive delle inchieste del Commissario Maigret, quelle mitiche interpretate da Gino Cervi. Le avevo già viste, ma in un?età nella quale si vede senza guardare. Oggi con gli occhi del cuore e del ricordo le ho trovate bellissime e tenerissime. Mi viene da pensare a quanto buon materiale può fornire la letteratura agli sceneggiatori dei nostri giorni che, spesso, ci propinano la ormai conclamata ?spazzatura?! Ma tornando a Maigret, e in particolare alla sigla (struggente la voce di Tenco in Un giorno come un altro), mentre scorrono i titoli ad un certo punto ho letto: Sceneggiatura di Andrea Camilleri. Non è stata una sorpresa, lo sapevo già, lo avevo già visto scritto da qualche parte, ma oggi, dopo aver letto quasi tutto Simenon e tutto Camilleri (speriamo non sia tutto?.) questo accostamento mi ha stimolato alcune riflessioni. Mi è venuta voglia di analizzare somiglianze e differenze fra i due commissari (Maigret e Montalbano) e nonostante le distanze spazio-temporali che li separano, mi sono venute in mente un sacco di cose da dire. Ora ci provo.

Sicuramente Camilleri lavorando a quelle sceneggiature ha studiato, ha letto tutto Simenon e ha colto la vera anima del suo personaggio, fino allora solamente di ?carta? (se si escludono pochi film francesi che vedevano un magnifico Jean Gabin nel ruolo di Maigret). In altre parole, ha cercato di materializzare ciò che Simenon ha creato con la penna (o con la macchina da scrivere). È per questo che vedo in Montalbano molte affinità con il commissario Maigret. Tutti e due sono dei ?burberi benefici?, in apparenza duri, nervosi, sanguigni e anche un po? prepotenti, ma in realtà buoni, generosi ed estremamente pietosi specialmente verso coloro che compiono il male per necessità o per pura sopravvivenza. Ambedue si interrogano sulle radici del male, e diventano spietati di fronte alla malvagità fine a se stessa. Sono animati dagli stessi sentimenti e reagiscono con uguali attitudini e cioè intelligenza, grande umanità e un profondo senso di giustizia, non solo la giustizia della Legge, ma quella che pretende per tutti gli uomini uguale dignità. Continuando in questo senso, mi sembra di intravedere, anche nel loro pur diverso e lontano luogo di lavoro, molte analogie. Maigret lavora a Parigi e il Quai des Orfèvres è il suo quartier generale. Qui è circondato da collaboratori ormai diventati storici come Torrance (?Torrance il ciccione, Torrance il fracassone?), Janvier (?il giovane Janvier?), e Lucas (che prenderà il posto di Maigret dopo il pensionamento). Il Commissario ha con loro un rapporto che è un misto di autorità e di affetto, di stima ma anche, a volte, di stizza. E in questo tipo di rapporti con i sottoposti, rivedo tanto: Mimì Augello, Fazio,Gallo e Galluzzo (non trovo però un Catarella!!) che Montalbano spesso tiranneggia, maltratta, ma che fondamentalmente giudica buoni amici e fidati collaboratori.

E poi parliamo di donne. Louise Maigret, meglio conosciuta come Signora Maigret, è tutto il privato del Commissario. È moglie, consigliera, cuoca (è stato scritto anche un libro sulle sue ricette), è ?l?isola buona? in mezzo a un mare di violenza e di ferocia, è in altre parole l?ansiolitico di Maigret. La compagna di Montalbano è Livia, una donna spesso lontana, ma molto vicina al Commissario, specialmente come consolazione nei momenti di maggiore inquietudine. Ma Livia è anche sensualità (lato che non si trova, se non celatissimo, nella Signora Maigret), è passione anche fisica e questo non deve stupire, in fondo Camilleri scrive oggi, ed è risaputo che un po? di sesso qua e là, non guasta, anzi fa ?cassetta?. Però Livia non cucina, per questo c?è la tenera Adelina (la cammarera, la fìmmina di casa) che prepara cibi semplici, ?gustosamente popolari? ma squisiti. Insomma per fare una Signora Maigret occorre una Livia più una Adelina e l?assioma è perfetto!! Ma rimaniamo sul cibo, sul vino o sui liquori. Tutti e due amano mangiare, e mangiare bene?.ma soprattutto amano mangiare da soli .C?è un passo, tratto da Il cane di terracotta nel quale Camilleri scrive ?Gli piaceva mangiare da solo, godersi i bocconi in silenzio???. Pensò che in fatti di gusto egli era più vicino a Maigret che a Pepe Carvalho,??.?. Montalbano è veramente una buona forchetta, mangia per consolarsi, per coccolarsi, per premiarsi, si percepisce un rapporto quasi sensuale con il cibo. Certe descrizioni di piatti sono talmente eccitanti da stimolare le papille gustative del lettore, ne cito una per tutte (ma sono decine e decine??e tutte da Gambero Rosso): ?Nel frigorifero trovò pasta fredda con pomodoro, vasilicò e passaluna, olive nere, che mandavano un profumo d?arrisbigliare un morto, e un secondo piatto d?alici con cipolla e aceto?. Anche Maigret ama mangiare. A casa Louise prepara cibi sani, nutrienti, di tradizione popolare (la Signora Maigret è nata in provincia). Ma quando cena fuori casa o in ufficio si lascia andare ad un mangiare più ?pasticciato?, ma non per questo meno succulento, come ad esempio i mitici panini della brasserie Dauphine, o le salsicce annaffiate da una birra alla spina al bancone de La Coupole Ma soprattutto Maigret ama bere (e a volte beve anche un po? troppo!). È un luogo comune pensare che Maigret beva solo Calvados, lui beve di tutto: cognac, acquavite di prugne, grog, birra, liquori dolciastri, fatti in casa da anziane signore che poi gli lasciano in regalo noiosi bruciori di stomaco e anche (ma molto raramente perché troppo americano!) whisky. Quando Maigret beve, il lettore beve con lui, prova le stesse sensazioni, gode con lui, si disseta con lui, si disgusta insieme a lui. E i due autori sono maestri nel comunicare sapori, odori, profumi, (ma anche puzze, tanfo e fetore) proprio come Suskind nel suo magnifico romanzo Il profumo.

Infine vorrei parlare dello sfondo, anzi degli sfondi: Parigi e Vigàta (Sicilia, Italia). Il paragone potrebbe sembrare ereticale e forse lo è, ma il male ovunque si diffonda, rende uguale ogni realtà. La Parigi di Simenon non è più esattamente la Ville lumière di inizio secolo, è una città spesso fredda e piovosa, con primavere che non arrivano mai, fatta di boulevards, di faubourgs, di fumosi bistrot, di sordide pensioni a Pigalle e di stazioni dai nomi ormai familiari: Gare du Nord, Gare de l?Est, Gare de Lyon, Gare di Montparnasse. L?unica oasi felice in questa città che sembra un po? triste, è l?appartamento della famiglia Maigret in boulevard Richard-Lenoir, il commissario stesso lo descrive con queste parole:? Abito in un appartamento borghese, dove mi attendono manicaretti preparati con cura, dove tutto è semplice e chiaro, pulito e confortevole??.Certo, appartengo a questo ambiente, faccio parte della cosiddetta brava gente.? Vigàta (che in realtà non esiste!) pur essendo un semplice paesotto di provincia, riesce ad essere più violento e drammatico di Parigi! Realtà mafiose, corruzione, vizio, pregiudizi e stagnante burocrazia. Ma anche Montalbano ha la sua oasi felice; la sua villetta sulla spiaggia di Marinella, un po? fuori Vigàta. Sulla terrazza di fronte al mare, Salvo Montalbano beve il suo caffè, si riposa, riflette, si rilassa e poi, quasi come in rituale, si tuffa in mare?..e nuota, nuota tanto, sino a stancarsi. Quando esce dall?acqua è sempre un uomo nuovo, ritrova forze, energie, vitalità. Il mare è un grande protagonista nei romanzi di Camilleri! La strada è una grande protagonista nei romanzi di Simenon! Un altro, magari azzardato e assurdo, parallelismo.

M. A. Bosi - Alice.it




Last modified Wednesday, June, 16, 2021