La Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano ha conferito ad Andrea Camilleri
la Laurea Honoris Causa in Lingue e Letterature Straniere il 15 ottobre 2002.
Maledizione che continua Le cornacchie della torre di Babele
Andrea Camilleri - La Stampa , 15.10.2002 |
INTRODUZIONE
Prof. Giovanni Puglisi
Perché Camilleri? Perché a Milano? Perché una laurea honoris causa in Lingue e Letterature Straniere? Sono tre domande in qualche modo legittime, alle quali ciascuno ha trovato la “sua” risposta, mentre qualche altro forse ancora no. Provo a darne una io, anche se è solo la “mia” e lascia lo spazio aperto per le altre risposte, altrettanto valide, a partire da quella del neolaureato.
Innanzi tutto, perché Andrea Camilleri è uno degli ultimi grandi scrittori italiani di confine: la soglia di Camilleri, infatti, non è quella insulare - sarebbe tanto facile, quanto banale, anche se legittimo pensarlo -, bensì è quella fra tradizione e modernità. Camilleri ha fatto un doppio salto mortale, restando però ogni volta perfettamente in equilibrio: è passato cioè dalla letteratura al teatro, per tornare alla letteratura; nei suoi racconti, inoltre, interrompe la fluidità della narrazione con i frammenti di una lingua, che della “sua” scrittura è insieme epifania e genesi, per recuperare alla fine il piacere armonico del testo nella tensione emotiva del lettore.
MOTIVAZIONE DELLA LAUREA HONORIS CAUSA
Mario Negri
Andrea Camilleri è nato a Porto Empedocle (Agrigento) nel 1925, vive a Roma, regista e autore teatrale e televisivo. Fin dal ’49 lavora come regista legando il suo nome alle più note produzioni televisive poliziesche della televisione italiana, quelle che avevano come protagonisti il commissario Maigret , con l’indimenticabile Gino Cervi, e il tenente Sheridan. Con il passare degli anni ha affiancato a questa attività quella di scrittore.
Ha esordito nella narrativa con “Il corso delle cose” (Lalli ’78).Nel 1980 esce da Garzanti “Un filo di fumo” riedito poi da Sellerio, prima di una serie di romanzi ambientati nella Vigàta di fine 800, immaginaria cittadina siciliana. Ma è del ’94 con l’apparizione de “La stagione della caccia” che Camilleri diventa un autore di successo. I suoi libri, ristampati più volte, sono, senza eccezioni, dei grandi best-sellers.
Oltre alle opere con protagonista la Vigàta di un tempo de “Il birraio di Preston” (Sellerio ’95), il suo libro più venduto, ci sono i gialli della Vigàta odierna del Commissario Montalbano: “La forma dell’acqua” (Sellerio ’94), “Il ladro di merendine” (Sellerio ’96) e “La voce del violino” (Sellerio ’97), “La concessione del telefono” (Sellerio ’98), cui ha fatto seguito una raccolta di storie del commissario Montalbano “Un mese con Montalbano” (Mondadori ’98), “Gli arancini di Montalbano” (Mondadori ’99), “La gita a Tindari” (Sellerio 2000) e “L’odore della notte” (Sellerio 2001). Da ricordare inoltre i romanzi “La mossa del cavallo” (Rizzoli ’99) e “Il re di Girgenti” (Sellerio 2001).
Camilleri compie un lungo percorso come sceneggiatore, come regista, sia teatrale che televisivo, nonché docente presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, ma la sua vocazione è quella del romanziere. Oltre a saper tenere insieme le fila di tante storie di genere diverso, riesce a coinvolgere in esse il lettore da subito, in modo visivo, grazie alla sua storia personale di sceneggiatore, che gli ha permesso di adottare, secondo il linguaggio cinematografico e televisivo, la tecnica di Simenon della sequenza d’immagini e il meccanismo del giallo, richiamandosi anche al modello del racconto politico- poliziesco inaugurato da Leonardo Sciascia.
Nasce così il nuovo linguaggio impegnato e incalzante, che si basa sulla capacità di utilizzare la vita intera dei suoi personaggi nella mimica della lingua. Lingua che è quella locale e personale del siciliano, dialetto fantasioso, preciso e leale, reinventato dall’esuberante estrosità verbale di Camilleri. Il personalissimo siciliano di Camilleri scorre fluido e leggero riuscendo a stabilire il giusto rapporto, con le cose narrate, di affettuosa ironia, di disincantata lontananza, di partecipe solidarietà e che fa della medietà la sua regola. Regola che è collocata ai confini dell’accettabilità linguistica comune e la lingua adottata, ancorché uniforme, irrompe sulla pagina con strepito e colore, eccede con garbo, diverte con misura, non infastidisce mai e lascia sempre ammirati.
Nella nostra epoca, che tende verso la globalizzazione, la capacità di mediare un tratto distintivo di diversità, mantenendola tale, in un ambiente più allargato è senz’altro la migliore. E uno dei veicoli scelti per trasmettere questo tratto caratteristico è il personaggio del commissario Montalbano e l’universo che porta con sé, legato al mondo della lotta al crimine. Brillante lo spostamento in un circuito super partes del protagonista, che ha emesso una figura che, sul piano antropologico, è risposta a una necessità propria di tutte le comunità.
Non a caso il modello seguito è quello del commissario Maigret di Simenon, che rimanda alla Francia e, dunque, all’Europa. La lotta alla mafia e alla malavita sicula, che nell’immaginario collettivo è l’elemento nebuloso e invincibile, è riportata sul piano della trasparenza del quotidiano attraverso il tratto quasi nord europeo che caratterizza il commissario Montalbano.
Prima di tutto un personaggio loico, con il buon senso che merita dalla lettura logico- deduttiva dei segni e che filtra, senz’altro, attraverso i suoi metodi di tipo concettuale tale nebulosa realtà e la riporta su di un piano tecnico, familiare alla stragrande maggioranza dei lettori europei.
La produzione letteraria di Camilleri è stata oggetto d’attenzione da parte dell’editoria e della critica internazionale. Autore tra i più tradotti nel mondo, ha visto i suoi romanzi al centro dell’attenzione critica e pubblica di quasi tutti i paesi d’Europa (Spagna, Francia, Germania, Portogallo, Ungheria, Turchia, Olanda, Grecia, Irlanda), ma anche di altre culture e letterature lontane come quella del Brasile e del Giappone.
La fertilità della fantasia creativa sapientemente miscelata con la capacità ermeneutica di rendere la sua lingua autenticamente innovativa, un prodotto, un’occasione insieme di ibridazione letteraria e culturale, che proietta la sua opera e la sua storia oltre i confini della sua tradizione linguistica e letteraria e della sua stessa isola, fanno di Andrea Camilleri l’emblematico esponente della nostra letteratura, un caso unico di frontiera della scrittura e della cultura. La scrittura di Andrea Camilleri, lungi dall’iscriversi nel registro della letteratura regionale, contribuiscono invece in modo efficacissimo a descrivere la Sicilia e la sua anima culturale nella più ampia e più moderna cultura europea, indicando un percorso, una linea di tendenza insieme. Il tendere cioè alle tradizioni letterarie regionali, quelle che oggi vengono chiamate patrimoni immateriali, come patrimonio dell’umanità, uscendo dal loro guscio locale e dialettale e senza perdere nulla della loro identità, diventando pagine stimolanti e luminose della nuova Europa delle regioni.
Per questi motivi il Consiglio della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, unanime si onora di conferire a Andrea Camilleri la Laurea Honoris Causa il Lingue e Letterature Straniere
LAUDATIO
Sergio Pautasso
Spero che Andrea Camilleri non me ne vorrà se per iniziare questa laudatio non mi richiamerò a qualcuno dei suoi numerosi e celebri romanzi bensì a un suo intervento estemporaneo. Estemporaneo, ho detto, per la forma, non la sostanza dal momento che tratta di Manzoni. È apparso il 4 agosto su La Stampa di Torino con un titolo redazionale assai provocatorio: Il mio novecento si chiama Manzoni. Ma poi non risulta tanto fuorviante il suo pensiero a proposito dell’opera narrativa del Gran Lombardo e delle forme della sua ricezione del tempo: parlar di Manzoni gli ha consentito di chiarire, sulla base delle sua stessa esperienza, l’equivoco derivante dalla lettura deviante scolasticamente imposta che ha accompagnato nel tempo l’adozione ufficiale a testo esemplare de I Promessi Sposi.
Letto, commentato e studiato nell’edizione del 1840 ma precisiamo subito , e vedremo poi perché, con l’omissione della storia della colonna infame. Quell’autore era stato, anche per il giovane studente Camilleri, apro le virgolette “antipatico, scostante, bacchettone, bigotto” chiudo le virgolette e per soprammercato “baciapile”. Poi il caso ha voluto che la sua voracità di lettore lo abbia portato in seguito a curiosare proprio tra le pagine omesse della storia della Colonna infame, nell’edizione curata da Giancarlo Vigorelli il quale l’aveva riesumata nel 1942 dalla dimenticanza generale e facendola precedere da una sua appassionata introduzione che risentiva dell’eco dell’affermazione manzoniana che dice: “ Le belle lettere saranno trattate a proposito quando le si riguarderanno come un ramo delle Scienze Morali”. Da allora il rapporto di Camilleri con Manzoni è cambiato completamente grazie a Vigorelli, a cui deve la scoperta proprio di un altro scrittore. Infatti si domandò allora: che il Manzoni baciapile dei Promessi Sposi fosse lo stesso della Colonna Infame? E di conseguenza lesse un altro Promessi Sposi.
Perché questa digressione manzoniana a proposito di Camilleri? Nessun timore: non voglio farlo diventare un epigono contemporaneo del Manzoni, sia pure un Manzoni riscattato dalla storia della colonna infame, se mai dobbiamo associarlo al suo conterraneo Leonardo Sciascia, anch’egli estimatore e introduttore dell’inquietante testo manzoniano sul processo degli untori e sull’esercizio della giustizia interpretato in chiave processuale contemporanea. Però, a ben guardare, e considerando l’opera di Camilleri dopo aver letto la rievocazione di questa sua avventura di lettore, mi dico che la folgorazione giovanile sulla strada della storia della colonna infame forse non è stata marginale se la domanda sul conflitto fra l’uomo e il male torna così di frequente nelle sue pagine? Se il commissario Montalbano ha tanta voglia di capire il mondo, di capire l’uomo? E comunque qualche segno deve averlo lasciato, magari sottopelle, ad agire a futura memoria sulla formazione di una scrittura che ora ci sembra quasi avere le stimmate di una predestinazione a farsi portatrice di una misura narrativa che grazie ad una continua invenzione linguistica orchestra in un’unica esecuzione storia, attualità e dimensione morale. Non solo, ma mentre rappresenta sulla pagina situazioni e personaggi, produce uno stato di tensione che coinvolge il lettore in un patto inscindibile.
Camilleri, nonostante il grande successo di pubblico, non è affatto uno scrittore di intrattenimento, ancorché ironico e divertito nel tratteggiare situazioni e personaggi avvalendosi degli effetti ottenuti con i fuochi d’artificio prodotti da una lingua sì inventata ma che trae l’humus vitale dalla quotidianità popolare. Anzi, la sua opera narrativa, nel fondo, non tratta che un solo tema, che potremmo definire dell’ingiustizia sociale della storia e che egli proietta nelle vicende che caratterizzano la vita quotidiana nell’inventato paesino siciliano di Vigàta , un microcosmo che però racchiude tutto il senso storico del mondo. E’ questa visione morale di un compito letterario , a cui si è affidata una funzione di rappresentazione problematica della realtà e dell’uomo, il quale ne è protagonista principe, che ritengo debba essere portata in primo piano quando si ragiona dell’opera di Camilleri sul piano letterario e non come di un prodotto del consumismo editoriale.
La ragione di una letteratura che si faccia carico dei problemi dell’uomo è un dato inalienabile della narrativa di Camilleri che da qualche parte deve pur aver tratto origine. Possiamo ormai lasciare da parte il peso dell’antica e giovanile conversione avvenuta sulle pagine manzoniane che ricostruiscono la storia del povero …?…Giacomo Mora e pensare piuttosto ai frutti di un’osservazione critica dei movimenti della realtà e dell’uomo nel tempo e di una riflessione che le …?… narrativamente.
Quel modo risentito che Camilleri ha nel raccontare la complessa realtà siciliana che fa da sfondo ed è tema dei suoi libri, una narrazione a double-face ossia attraverso il recupero di fatti storici come schermo attraverso cui proiettare il presente oppure attraverso il calarsi nell’attualità tramite l’invenzione di un personaggio come il commissario Montalbano, quella sua capacità di sostenere la narrazione con un linguaggio che non impasta solamente lingua e dialetto, e un dialetto come quello siciliano, ma fonde varietà, registri, strati linguistici diversi, dando vita ad una personale maniera espressiva. Quell’indubbia abilità tecnica nel costruire l’impianto narrativo, cogliendo dal vivo il movimento dell’azione e dei personaggi. Ebbene, la sommatoria di tutte queste condizioni strutturali, linguistiche, morali mi pare che dia all’opera di Camilleri una sua peculiare “quidità e la illumini di una luce diversa rispetto a quel banale luogo comune critico che l’ha catalogata come un “caso” per via del suo grande successo pubblico in Italia e all’estero dove è abbondantemente tradotta.
Ora, il successo dei libri di Camilleri è innegabile, specie quelli che hanno il Commissario Montalbano protagonista, ma si sa che in letteratura il successo detta sempre diffidenza, genera sospetti inconfessati, getta un alone di dubbio sull’effettivo valore autoriale, spiegato con un richiamo al caso e …?… della lectio facilior che offre la maniera per svicolare senza prendere posizione. E invece, proprio con un autore che ha alle spalle la storia di un Camilleri, uno scrittore che ha esordito tardi ma che poi si è imposto in modo clamoroso, alternando romanzi storici a libri gialli, ma sempre incardinati alla realtà e al tempo dell’oggi in un contesto particolare come quello siciliano, pubblicati con la costanza di un libro all’anno, quasi volesse rifarsi del tempo perduto, tutto ciò credo che imponga doverosamente di non fermarsi al caso ….?…
Andrea Camilleri sembra essere nato quasi improvvisamente e timidamente alla letteratura: siciliano - è nato a Porto Empedocle sulla costa sud-occidentale dell’Isola nel 1925 - pubblica il suo primo libro Il corso delle cose solo quando è più che cinquantenne, da un editore minore, Lalli nel 1978 però la stesura ci dice risaliva al ’68 , dopo che molti altri editori avevano rifiutato quel libro. Oggi egli dice ottimisticamente che ebbe una gran bella accoglienza, più o meno la stessa accoglienza la ricevette anche il secondo Un filo di fumo, due anni dopo, 1980, seppure questo fosse pubblicato da un editore di primo rango come Garzanti. A quell’epoca, se ben ricordo, di Camilleri non si parlava molto: si stava per profilare l’ennesimo caso dello scrittore di valore incompreso dagli editori e trascurato dalla critica? Stando al suo cursus honorum si direbbe di sì perché esso rivela come la letteratura sia stata per lui quasi una vocazione: dai giornali scolastici, all’infatuazione per il Politecnico di Elio Vittorini, dal mito dei maestri fiorentini di letteratura con cui avrebbe voluto studiare - come Giuseppe De Robertis e Giorgio Pasquali - ai primi racconti pubblicati nell’immediato dopoguerra sull’Ora di Palermo e alle prime poesie apparse in continente su qualcuna delle numerose riviste che a quell’epoca fiorivano baldanzose magari per curare le spalle a …?… Per quelle poesie, ci dice oggi Camilleri, c’era una continua compagine di lettori come Giuseppe Ungaretti e Carlo Bo, e bisogna anche aggiungerci la partecipazione a premi e i riconoscimenti critici che ne derivavano. Insomma, alle origini, Camilleri non era diverso da altri scrittori alle prime armi che abitavano in provincia e che in quegli anni si affacciavano alla letteratura e che poi sono diventati famosi o si sono persi, come la sua storia sembrava a un certo punto indicare, almeno fino al momento in cui il suo successo non lo ha fatto diventare un caso. Per Camilleri, invece, le cose non sono andate proprio così. Per lui la differenza l’ha fatta il teatro, allorché la giuria di un premio teatrale a Firenze, presieduta da Silvio D’Amico gli premia nel 1948 la commedia Giudizio a mezzanotte e poi lo stesso D’Amico lo invita a partecipare al concorso per l’ammissione all’Accademia d’Arte drammatica: è la svolta del ’48, secondo la sua definizione. Il trasferimento in continente e non solo il passaggio dalla letteratura al teatro ma soprattutto da autore a regista. Camilleri imparò la regia con un grande maestro come Orazio Costa e dopo che questi gli aveva dimostrato che non c’era differenza tra letteratura e teatro, e divenne un uomo di teatro: regista, sceneggiatore, produttore radiofonico e televisivo, docente a quella stessa Accademia d’arte drammatica che aveva frequentato, dopo qualche trascorso dialettico con il D’Amico sostituendo nella cattedra proprio Orazio Costa. Se non è diventato prima lo scrittore che è ora la responsabilità è dunque della scena che lo ha fagocitato per molti anni. Proviamo ora ad osservare in retrospettiva l’evoluzione di questa esperienza: potremmo dedurre in prima istanza che Camilleri abbia maturato un grande credito letterario verso il teatro. Sul piano temporale sì, e infatti avremmo forse potuto leggere prima romanzi dall’ambiziosa struttura come Il birraio di Preston o dalla composita scrittura come Il Re di Girgenti o compartecipare alle inchieste del Commissario Montalbano. Ma nello stesso tempo egli ha anche contratto con il teatro un debito forse ancora maggiore per tutto ciò che, praticandolo personalmente, ha potuto apprendere sul piano dell’organizzazione della scrittura e della rappresentazione che ora è passata dalla scena alla pagina.
Non voglio con ciò sostenere che nel passaggio la pagina abbia sostituito la scena, però a me pare abbastanza evidente che la capacità affabulatoria con cui Camilleri tiene inchiodato il lettore alla lettura non sia da attribuire soltanto alle sue funamboliche invenzioni stilistiche ma anche alla sua capacità di padroneggiare il senso del movimento che la parola può creare nella narrazione. E qui mi permetto, sommessamente, di suggerire agli innumerevoli appassionati lettori dei suoi romanzi, sia lettori critici, sia lettori comuni, di non trascurare che tra le componenti della scrittura che egli sa così bene amalgamare, una posizione centrale la occupa proprio una consolidata capacità tecnica di costruire e far funzionare le vicende narrate.
Camilleri ha scelto come luogo del proprio narrare la sua Sicilia, ne ha isolato il minuscolo comprensorio di Vigàta e lo ha montato come una scena ma, abitando dal ’48 a Roma, egli la vede attraverso il doppio filtro della conoscenza dal vivo e della memoria, e per raccontarla raddoppia tra tempo storico e attualità in un opera che spazia, nel genere narrativo, con romanzi e racconti. Abbiamo sì qualche diversione saggistica riflessiva però inerente ai temi trattati narrativamente come per esempio il singolare dizionarietto di termini, modi e forme popolari siciliane Il gioco della mosca o La biografia del figlio cambiato, in cui racconta alla sua maniera la storia di Pirandello, oppure l’estrosa rubricazione di documenti per ricostruire La scomparsa di Patò .
Dal genere principale, il romanzo, si passa poi a sottogeneri come la narrazione storica e il romanzo poliziesco, ma l’abbrivo lo dà sempre l’osservazione critica delle cose, siano esse riprese da documenti o da suggerimenti passati che mettono in moto il meccanismo narrativo storico oppure siano calate nell’attualità vissuta quotidianamente dal Commissario Montalbano nel corso delle sue inchieste e protagonista dei romanzi polizieschi.
La distinzione in campi d’azione non è pretestuosa, se con un gioco potessimo allineare le trame dei suoi testi storici su una superficie, dalla loro visione d’assieme potremmo constatare come in ognuno di essi si ripeta una specie di impalcatura comune che sostiene ogni storia, per esempio un documento ritrovato, l’ambientazione circoscritta ad un perimetro - Vigàta - e un tempo definito, il passaggio dai Borboni ai Savoia, personaggi appartenenti a strati ben individuati i politici, i burocrati, ecclesiastici, degli ambienti polizieschi e giudiziari, aristocratici e borghesi. Sono costanti che nell’insieme diventano strutture narrative. In questo senso Camilleri si propone come un romanziere tradizionale e onnisciente in grado di dare vita a un suo mondo, in esso si muove e fa muovere i suoi personaggi, con l’ambizione di proiettarvi emblematicamente il mondo degli altri. Due elementi intervengono, però a mio avviso, a turbare questa idilliaca descrizione di strutture narrative: l’ironia e il linguaggio. Da autentico uomo di teatro Camilleri cambia le parti in commedia anche con la letteratura. L’ironia è assunta in senso critico e il compito è affidato a qualche personaggio strampalato, ad una storia di furbi (?) che con la sua franchigia mentale può dire le verità più atroci per riportare in primo piano, se pure traslato storicamente, il senso critico della realtà d’oggi. Non dobbiamo dimenticare che il microcosmo camilleriano è la proiezione speculare di quel macrocosmo che si chiama Sicilia, con tutti i suoi problemi politici e sociali.
Ad orchestrare il tutto, Camilleri ha chiamato il direttore linguistico che è in lui compositore e manovratore di lingue a vari livelli. I romanzi storici sono quelli in cui l’impianto della costruzione è più scoperto e il gioco letterario si fa più evidente mettendo in mostra la funzione del linguaggio. Camilleri lo dirige e lo controlla grazie alla tecnica appresa in teatro, dove il linguaggio si manifesta a più dimensioni: finzione, movimento, scenografia, anche a teatro tutto è linguaggio. Impiegato con questa …?… articolato nella variegata stratificazione dei registri, il suo linguaggio sulla pagina diventa una lingua che sorprende, stupisce e provoca sconcerto perché è quanto di più lontano dalla tradizione si possa pensare, e non tanto per la presenza del dialetto mescolato alla lingua ma proprio perché il dialetto funziona in perfetta sintonia con la lingua determinando un ritmo e una fluidità della narrazione che si è persa nella lettura.
Gli scrittori che fanno ricorso a dialetto e registri linguistici diversi passano sempre per sperimentatori, per trasgressori delle norme, per il loro riscattare il linguaggio letterario da quello comune - Gianfranco Contini ne ha tracciato storicamente la linea direttrice come esempio più alto rappresentato nel Novecento da Carlo Emilio Gadda. Ma credo che faremmo un torto a Camilleri se lo collocassimo nella lista dei “nipotini dell’ingegnere” per ricordare un famoso titolo di Alberto Arbasino sui derivati gaddiani : l’operare sul linguaggio come lo conduce Camilleri non ha nulla a che fare con quello che perseguiva l’autore del Pasticciaccio, l’eventuale testo di riferimento pensandolo comunanza del giallo e del collega di Montalbano, il commissario don Ciccio Ingravallo.
Di Gadda, è rimasta famosa la battuta con cui sosteneva che barocco è il mondo non è barocco il Gadda e infatti egli ricercava le parole per costruire una realtà, mentre Camilleri prende le parole che la realtà gli offre. L’altra componente dell’opera di Camilleri è la sequenza di racconti e romanzi polizieschi che si imperniano sul personaggio del commissario Salvo Montalbano. Qui il tempo è quello dell’attualità, della quotidianità, delle difficoltà che egli deve affrontare con la sua squadra per portare a compimento il suo impegno, anche a causa di un suo modo di muoversi attraverso le cose, quello che, per contrasto, potremmo considerare come la sua inattualità, che comunque è la chiave per capirlo. Il successo che il pubblico leggente e televisivo gli ha decretato è dovuto alla sua normalità, non è un eroe ma è astuto e un po’ goffo, non sa come muoversi con Internet però legge buoni libri prima di addormentarsi, non disdegna la buona cucina, ovviamente siciliana, ed è fedele alla fidanzata lontana, Livia, che abita a Genova, a Boccadasse, quartiere di artisti, con la quale ha stabilito una sorta di coniugalità telefonica e onirica. Montalbano potrebbe essere il vicino della porta accanto che fa il commissario di polizia. In altre parole, Camilleri non ha costruito il suo personaggio su uno schema di comportamento che pure si fonda su una tradizione ormai classica ma su un carattere, ed è qui che a mio avviso egli ha giocato il jolly della sua riuscita di scrittore.
Con gli spunti che può offrire un periodo storico così contraddittorio come quello del trapasso fra i Borboni e il regno d’Italia, un ambiente aristocratico e popolare unito nell’essere refrattario ad ogni novità - basti pensare alla filosofia del Gattopardo - un paesaggio aperto sul canale di Sicilia. Camilleri, avvalendosi della sua dimestichezza con lingua e dialetto aveva ben di che con cui costruire narrazioni a sfondo storico ma nel contempo ha sempre avuto bisogno di uno scatto ????, un documento, un fatto scoperto a caso, un ricordo. La cultura e il mestiere gli hanno facilitato una partenza assistita come in Formula 1, la maestria tecnica di giungere al traguardo a volte con qualche fuori pista, questo per dire che la letteratura dà a chi sa prendere. Quando decide di cominciare a scrivere romanzi polizieschi e affidare la risoluzione dei casi alle inchieste del commissario Montalbano con La forma dell’acqua, Camilleri non ricorre al ben fornito magazzino della storia, investe invece tutto sulla propensione a raccontare intrighi e misteri da svelare che aveva nutrito con buone letture dei classici del genere, Simenon in testa, poi, uno spunto sulla funzionalità del giallo suggeritogli da Sciascia verso cui ha riconosciuto il proprio debito, infine la suggestione onomastica con lo scrittore spagnolo di gialli Manuel Vazquez Montalban per il nome del suo commissario. In altre parole, bisognava inventare, e l’invenzione è stata il commissario Montalbano, un poliziotto immesso nelle gole profonde dell’attualità malavitosa siciliana e un personaggio che vive nella più normale quotidianità. Naturalmente Camilleri aveva in carniere anche una buona provvista linguistica e infatti la vitalità narrativa di Montalbano è data dalla coincidenza della lingua parlata con il movimento del personaggio. Annullata la distanza storica e con essa il peso nascosto della letteratura, il linguaggio di Camilleri conosce una libertà imprevista perché si identifica sia con l’immediatezza dei dialoghi che con la naturalezza dei comportamenti, la scrittura, grazie alla tecnica, dispiega situazioni e personaggi in uno spazio visivo, teatrale, come se fossero su una scena.
Se, per concludere, posso tentare di sintetizzare, vorrei dire che la ragione del successo di Camilleri non deve essere attribuita a nessun caso, e come dimostra il seriale Montalbano pare invece equamente divisa tra l’inventività linguistica che tanto scalpore ha sollevato e l’apporto di una lucida capacità di organizzare tecnicamente la scrittura; questa è meno evidente, perché ha sempre operato nell’ombra e, da dietro le quinte o dalla cabina di regia, oggi si è trasferita nel laboratorio dello scrittore.
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Trascrizione a cura di Chiara & Nadia & Paola
Last modified
Saturday, July, 16, 2011
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