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Dalla macchina da scrivere al Web

Il Camilleri fans club intervista il "Sommo" [05 Luglio 1999]




Archivio Torrioli

Finalmente l'intervista e` fatta!

Certo ce ne abbiamo messo di tempo, ma che volete, siamo gente impegnata e vari fattori (il lavoro, la famiglia, la lagnusia) hanno rallentato alquanto il nostro impegno.

Volevamo puntualizzare qualcosa sull'impostazione dell'intervista.
A suo tempo avevamo richiesto a tutti i soci di mandarci delle domande da rivolgere al Sommo, e ce ne sono arrivate molte. Quando, infine, ci siamo messi d'impegno per rendere l'intervista organica e "presentabile", ci siamo accorti che c'erano domande ripetute, domande (ahinoi) ormai obsolete (ad esempio sulla pubblicazione di altri romanzi di Montalbano), domande a cui a nostro avviso il Sommo aveva gia` risposto nelle tante interviste che abbiamo via via riportato nelle nostre "news".
Di conseguenza, abbiamo rimaneggiato alcune domande per poterle meglio integrare nell'intervista; altre domande sono state "fuse" fra di loro; dei "doppioni" ne e` stato salvato uno solo, e cosi` via.

Speriamo che le nostre scelte (arbitrarie ed insindacabili...) non offendano chi si e` visto tagliare, o modificare, o (peggio ancora) cassare quello che ci aveva inviato.

Da notare che l'intervista, e quindi il commento sulla classifica dei soci, sono stati fatti in un momento in cui "La stagione della caccia" si trovava al terzo posto; alla fine, con grande dispiacere del Presidente e del Direttore (nonche`, supponiamo, del Sommo), "La stagione" e` risultata addirittura quinta, preceduta da due romanzi di Montalbano.

Ringraziamo "'u jenniri" Guido Torrioli, che e` stato l'insostituibile tramite tra il Club e il Sommo.

E naturalmente ringraziamo il Sommo, che dall'alto della sua benevolenza ha voluto dare adenzia a quei camurrusi del Camilleri's Fan Club, che senno` non la finivano piu` di rompergli i cabbasisi...

Buona lettura!





Tempo fa ho assistito a un dibattito che ha messo attorno a un tavolo, fra gli altri, Gian Carlo Caselli e Gianni Riotta. Quest'ultimo (palermitano doc trapiantato nella mia citta`, Torino, per condirigere "La Stampa") ha detto una cosa che mi ha colpito molto: "Negli ultimi cinquant'anni -ha affermato Riotta- la Sicilia e` cambiata mostruosamente e vorticosamente, molto di piu` di quanto non avesse fatto nei duecento anni precedenti". Che ne pensa il Sommo Autore? Quanto e cosa corre tra la Vigàta del Birraio di Preston e quella del Commissario Montalbano?
Salvo Anzaldi ('u riisanu)

Salvo Anzaldi mi chiede se condivido l'affermazione di Riotta che "la Sicilia e' cambiata mostruosamente e vorticosamente, molto di piu' di quanto non avesse fatto nei duecento anni precedenti". Ci mancherebbe altro che la Sicilia fosse rimasta quella che era in duecento anni che hanno cambiato, volenti o nolenti, perfino gli aborigeni australiani! Contesto i due avverbi. Ne' mostruosamente ne' vorticosamente, semmai lentamente ma profondissimamente. L'anno scorso ho partecipato a una tavola rotonda sul veloce cambiamento al nord; il vice sindaco di Venezia parlava della Resistenza; lo scrittore Nuto Revelli diceva dell'industrializzazione. Io dissi che loro usavano parole che non c'erano nel mio vocabolario siciliano. Stiamo cambiando, e' vero, alcuni dati del nostro Dna, da soli, senza occasioni esterne. E percio' il cambiamento non e' ancora cosi' evidente

Fra le "Novelle per un anno" di Pirandello ce ne sono tre ("Difesa del Meola", "I fortunati" e "Visto che non piove") raggruppate sotto il comune titolo di "Tonache di Montelusa". Esiste un riferimento storico/letterario anche per il nome di Vigàta, o tale nome e' frutto esclusivo della mirabile inventiva del Sommo?
Maria Russo Dixon

Ho dichiarato il mio piccolo furto da Pirandello per "Montelusa". Vigàta invece e' solo mia, non e' debitrice di nessuno.

Quanto ha pesato l'esempio di Sciascia nella creazione della sua Sicilia? Il professore Pintacuda che Montalbano incontra nel "Ladro di merendine", mentre si prende una vacanza esistenzial-culinaria rileggendosi per l'ennesima volta "Il Consiglio d'Egitto", non e` per caso lo stesso "maestro di Regalpetra"?
Maria Russo Dixon

Vorrei chiedere al maestro del suo rapporto con Sciascia e quanto un siciliano autentico come lui abbia sviluppato il concetto di essere siciliano scrivendo in uno splendido italiano.
Roberto Reali

Non so quanto e in che modo Sciascia abbia pesato, il fatto e' che ha pesato e continua a pesare. Dico sempre che quando mi capita di capire che ho le batterie scariche, vado dall'elettrauto Sciascia e mi rileggo un suo libro. Si' il professore Pintacuda del "Ladro di merendine" e' in parte Sciascia (lei e' acuta Maria) ed in parte il mio professore di filosofia al liceo "Empedocle" di Agrigento. Si chiamava Carlo Greca. Con Sciascia non ho avuto un vero e proprio rapporto d'amicizia, ma d'affettuosa, reciproca simpatia. Quando trovai i documenti della "Strage dimenticata", glieli consegnai perche' ne ricavasse un libretto, come aveva gia' fatto per "Dalla parte degli infedeli". Lui li lesse, venne nuovamente a casa mia a Roma, e mi domando': "Perche' non lo scrivi tu?". Io risposi che non avrei mai potuto scriverlo come avrebbe saputo fare lui. E Leonardo: "E perche' lo vuoi scrivere come faccio io? Scrivilo come sai fare tu". Lo scrissi, gli piacque e lo porto' alla Sellerio che non conoscevo di persona. Pero' mi disse che c'erano troppe parole siciliane. Io gli risposi che quelle parole non erano messe a caso. E non si trattava solo di parole. Lui rispose: "Vero e'. Pero' come reagira' il lettore?"
Credo di aver risposto in parte alla domanda di Roberto Reali. In quanto allo splendido italiano di Sciascia, anche quello di Brancati lo era: solo che Brancati non aveva (non sentiva) la necessita' d'affilarlo come un'arma.

La creazione di una lingua nuova, efficace, che usa ogni mezzo a sua disposizione per comunicare, si deve all'esperienza del Nostro dietro la macchina da presa? Intendo dire: lo sforzo che si compie e` quello di provare a raccontare con ogni mezzo, in profondita`, la vita degli uomini con qualunque linguaggio, purche' esso arrivi, dove altri non riescono?
Lorenzo Lo Cascio

Quale rapporto tiene il nostro autore con il siciliano e l'italiano sia nella vita privata che nella vita professionale? Sono due lingue che tiene ben distinte (tipo di rapporto diglottico: ciascuna lingua per situazioni diverse) o sono due lingue che lottano una contro l'altra per il predominio artistico/cognitivo?
L'inclusione del siciliano nei romanzi polizieschi ha molta fortuna: qual e` stata la spinta a usare il siciliano nel lessico e nella fraseologia dei romanzi?
I commenti sulla vita moderna nei romanzi polizieschi sono fatti normalmente in italiano: e` stata una scelta linguistica conscia?
L'autore pensa di fare un viaggio in Canada? Lo vedremmo volentieri a Toronto.
Jana Wizmuller Zocco (Livia)

Nel Suo ultimo libro, "La mossa del cavallo", ci ha fatto "sfirniciari" (traduzione per i forasteri: elucubrare con fatica e sofferenza) per potere capire intere pagine scritte in dialetto genovese (presumo che i genovesi non si siano "sfirniciati"!). Ci spiega perche` ha utilizzato il genovese? Quali legami ha con Genova e dintorni, dato che anche Livia e` di Boccadasse?
Beppe Di Gregorio ('u diretturi)

La lunga ricerca di una lingua tutta mia e' nata dalla necessita' di trovare il mezzo migliore per tirare fuori da me una percentuale non bassa di cio' che volevo dire. Mi spiego con un esempio: un vecchio amatore di jazz come me, sa riconoscere la voce inconfondibile della periscopica di Dizzie o il tocco di Mingus. Ne riconosce appunto la "voce", come si riconosce, al telefono, quella di un amico. Ecco, io ho lungamente cercato la mia "voce", caro Lo Cascio. Dal cinema ho appreso altre cose, come ad esempio la narrazione per sequenze e non per capitoli. Dal teatro ho appreso altro, come per esempio il dialogo e la creazione dei personaggi. A Roma, anche a casa mia, adopero l'italiano: se parlassi il siciliano non mi capirebbe nessuno. Con i miei genitori, con i miei zii finche' sono rimasti in vita, parlavamo un misto di siciliano e d'italiano. Lo faccio ancora oggi, quando torno a Porto Empedocle. Quando scrivo non c'e' conflittualita' tra il dialetto e la lingua. Le adopero allo stesso livello, tutti e due sono componenti essenziali della mia "voce". Rispondendo a Lo Cascio, credo di aver risposto anche alla seconda domanda di Jana Wizmuller Zocco. Ma Jana mi domanda ancora perche' i commenti sulla vita moderna siano fatti in italiano. Ci ho pensato a lungo, all'atto della scrittura, e sono pervenuto a questa scelta motivata: in questo modo, nessuno dei miei lettori si sarebbe dovuto sottoporre a un minimo sforzo per capire. Venire a Toronto? Se u Signuruzzu mi concede ancora vita e salute, perche' no? 'U Diretturi infine vuol sapere perche' nella "Mossa" ho scritto pagine intere in dialetto genovese. Bene, credo che tutto il romanzo poggi sul fatto che Bovara non capisce, perche' non piu' in possesso del siciliano, quello che gli fanno capitare. Se io avessi usato il fiorentino, il veneziano, avrei sbagliato. Il genovese e' veramente difficile a parlarsi, difficilissimo a scriversi. Io ho voluto mettere il lettore, specularmente, nella stessa difficolta' nella quale si viene a trovar e il protagonista. E' stata una scommessa; finito di scriverlo, ho pensato proprio che la scommessa non l'avrei vinta. E invece.
I genovesi li ho conosciuti nel '50 e mi piacquero molto, quadrati ma simpatici, attenti al "particulare" quanto al generale. In quello stesso anno una ragazza mi porto' a Boccadasse. E' l'unico paese che Montalbano scangerebbe con Vigàta. Ci sono tornato il mese scorso dopo quasi cinquant'anni col batticuore, temevo di trovarlo cambiato. Invece no, e' com'era.

Leggendo "Un mese con Montalbano", all'inizio ero perplesso per la formula dei racconti. Il libro mi e` piaciuto, e trovo che la formula del racconto non nuoccia alla resa di Salvo, Fazio e Catarella. Ma chi ci ha guadagnato di piu` mi pare alla fine sia Mimi` Augello. E' una impressione mia o nel "mese" Montalbano si e` addolcito nei confronti del suo vice che in passato era per lui spesso insopportabile? A tratti mi pare addirittura di intravedere una sorta di stima del Commissario nei confronti di Augello. Sbaglio?

Stando a quanto lei scrive Montalbano e` nato nel '50, aveva 18 anni nel '68. Ecco, Maestro, io lo trovo un poco "antico" per l'eta` che ha. Lui, che oggi dovrebbe avere 49 anni, mi pare abbia la forma mentis di un sessantenne colto e a tratti stanco. Non so se cio` dipenda dalla lingua. Vede, Maestro, io amo i suoi romanzi anche perche` "riconosco" in qualche modo la sua lingua, la identifico con l'italiano contaminato dal siciliano che parlano i miei genitori. Quella lingua in cui sembra che a tratti l'italiano diventi insufficiente a spiegare, colorire, esplicitare chiaramente, ed allora arriva in soccorso il siciliano a definire, indicare inequivocabilmente situazioni e stati d'animo. Mi rendo conto che questa e` una mia lettura "privata" della sua prosa. Ma insomma io vedo Montalbano, che dovrebbe essere generazionalmente piu' vicino a me che ho 41 anni, piu` simile invece a mio padre che ne ha 74. Piu` che altro non ritrovo nel Commissario quei riferimenti culturali generazionali (ad esempio la musica), quella immaturita` permanente, quelle letture attorno a cui ruotano le storie di noi quarantenni.
Salvatore Bianca (Toi u'sarausanu)

Le donne per Montalbano hanno sempre qualcosa di materno, e se eccellono e` nelle arti culinarie, o in manifestazioni muliebri, anche se il nostro Commissario e` celibe militante. Poco guarda, pero`, alle donne dal punto di vista professionale. Che sappiamo noi della carriera di Livia, dei successi sbirreschi di Anna o della stessa signora Clementina Vasile Cozzo ora paralitica e forse una volta eccezionale docente? Vero e` che nella tradizione rurale siciliana il matriarcato e` un fenomeno che pochi hanno capito. Forse Camilleri ce lo sta raccontando a modo suo?
Nunzio Primavera ('u castriannisi)

Salvatore Bianca mi rivolge due domande intelligenti sul commisario. Da quella "cricca di camorristi" (la definizione e' del questore Bonetti-Alderighi, la dira' nel prossimo romanzo) che e' il commissariato di Vigata, Montalbano e' amato, considerato, protetto. Perche' e' un capo vero, sia pure a modo suo. Forse vuole troppo bene a Mimi', e se ne difende. Ma lo sa profondamente amico (vedi il rapporto tra Livia e Mimi': ne e' geloso, come si puo' essere gelosi di un amico verso il quale la nostra donna ha piu' attenzioni degli altri). Come sbirro, poi, Montalbano ha di Augello una sincera stima. Il problema dell'eta' anagrafica e l'eta' della testa di Montalbano c'e'. L'ho anche detto in qualche intervista. Montalbano ha 49 anni (oggi), ma travaglia con la testa di un sessantenne pieno d'esperienza e di capacita' di comprensione. Nel '68 io avevo due o tre anni in piu' di Salvatore Bianca. Con i miei allievi prima del Centro sperimentale di cinematografia e poi dell'Accademia nazionale d'arte drammatica ho occupato, vissuto. Ma irrimediabilmente appartenevo a un'altra generazione. Io tentavo di capire, i miei coetani si chiudevano a riccio. In realta', di quel periodo, Montalbano opera una sorta di rimozione. Le segnalo che, del tutto casualmente, la sua domanda se la pone Montalbano stesso nel romanzo al quale sto lavorando. In quanto alle donne, Montalbano stesso sa benissimo che il matriarcato in Sicilia e' (o era) diffuso non solo tra i contadini. Io ho conosciuto siciliani di rilievo in campi diversi che prendevano decisioni solo se la moglie era d'accordo. E non so quanto quelle decisioni non fossero gia' state abilmente guidate dalle mogli. Il commissario Montalbano, curioso com'e' delle donne, sa certamente vita, morte e miracoli di Livia, Anna (la sbirra), la signora Vasile-Cozzo. Anche il romanziere Camilleri lo sa, ma deve sempre tenere presente il rigore del racconto. Per questo, sulle donne che abbiamo detto, dice solo quello che gli pare indispensabile. (risposta a Primavera ).

Camilleri, Benni, Pennac, Montalban, Pinketts... e se ne possono citare tanti altri. Nel panorama contemporaneo, scrittori di varie nazionalita` (e non necessariamente dello stesso genere) sono accomunati comunque dallo stesso denominatore comune: l'ironia. E' davvero la migliore arma di difesa per tutti i mali dell'uomo? E che rapporti ci sono fra di voi? Vi conoscete personalmente? Vi incontrate ogni tanto per scambiare le vostre idee, le vostre impressioni? Esiste una sorta di circolo degli "Ironiani"?
Luciano Triolo (Lucky)

Caro Triolo, non esiste un circolo degli ironiani e credo che se facessimo un circolo finiremmo coll'essere antipatici gli uni agli altri, perdendo tutta la bella ironia. L'ironia non riesce compiutamente a essere una corazzata, pero' in parte protegge. Anche con la maglia di lana pesante puoi beccarti la polmonite. Non conosco ne' Benni ne' Pennac. conosco Pinketts e Montalban (con quest'ultimo siamo amici).

Come si sente adesso nel dover iniziare a scrivere un nuovo libro, sapendo stavolta di rivolgersi a qualche centinaio di migliaia di lettori in piu`?
Luciano Triolo (Lucky)

Mi crede, Triolo? Ho qualche centinaio di migliaia di lettori in piu', e' vero, e la cosa mi fa un enorme piacere, ma continuo a scrivere esattamente come quando a leggermi erano solo mille. Credo che questo sia il massimo di responsabilita'. Ci sono critici che stroncano i mie libri piu' recenti asserendo che il successo mi ha dato alla testa. Me la prendo non per la stroncatura, ma per la motivazione. E mi viene da dire, con ironia andreottiana, che il successo logora chi non ce l'ha.

Caro Camilleri, tra i gialli del Commissario Montalbano, quello che mi e` piaciuto di piu` e` il terzo: "Il ladro di Merendine". L'ho apprezzato soprattutto perche` nel romanzo viene fuori, con maggiore forza rispetto agli altri romanzi, il lato umano del Commissario Montalbano o meglio le sue debolezze (finalmente!): il papa` che sta male ed i ricordi a lui legati, l'affetto per il ragazzino orfano, i dialoghi per lo piu` muti con il prof. Pintacuda (Piazzese sarebbe commosso per questo ossimoro), l'affetto verso la vecchia signora tunisina, etc. Ma c'e` una cosa che mi tormenta l'anima ma soprattutto il palato: esiste veramente la locanda del cuoco Tanino dove si rifugia il Commissario in crisi esistenziale? E se esiste, dove si trova? Ha mai pensato di pubblicare alcune "ricette della nonna" con i Suoi commenti a margine ed i riferimenti ai Suoi libri? Un po' come ha fatto Montalban con le sue ricette immorali (e come abbiamo fatto noi, indegni, sul sito)? Forse sono un po' monotematico, ma non riusciamo a trovare (e quindi a gustare) la ricetta di uno dei piatti prediletti dal Commissario: "Spigola farcita con salsa allo zafferano". Che ci dice?
Beppe Di Gregorio ('u diretturi)

Diretturi, un commissario l'anno scorso mi telefono' da Bologna. Mi disse che era stato trasferito nei paraggi di Mazara e mi chiedeva l'indirizzo esatto della locanda col cuoco Tanino. Con la morte nel cuore ho dovuto confessare che mi ero inventato tutto. Non ho mai pensato di pubblicare un libro di ricette, non credo che lo faro'. Del resto voi stessi avete brillantemente risolto il problema ricorrendo al libro di Anna Pomar. La ricetta della "spigola farcita con salsa allo zafferano" non la conosco. L'ho mangiata una volta in casa di amici e ne e' valsa la pena. Cosi', quando me ne viene voglia, la faccio mangiare al mio personaggio.

Desidero una forma di prevenzione da future delusioni. Nel passato, infatti, quando iniziai a vantare il convincimento di possedere tutte le opere di Sciascia, scoprii che varie edizioni esistevano pubblicate fuori commercio o in edizioni d'arte, impossibili ormai da reperire perche` da tempo esaurite. La cosa si ripete` successivamente con Bufalino, che anzi aveva persino edito pubblicazioni in proprio per gli amici. Alla luce di quanto sopra, poiche` possiedo tutte le opere di Andrea Camilleri pubblicate da Sellerio, Mondadori e Rizzoli, sarei grato di poter conoscere dal Nostro l'esistenza di eventuali edizioni "riservate".
Silvano Tummolo ('u provinciali)

Non esistono miei libri in edizioni numerate, private, ecc. Esistono in raccolte antologiche (ad esempio nei due volumi delle "Interviste impossibili" editi da Bompiani).

Abbiamo richiesto ai soci del nostro "club" una classifica dei libri piu` belli, piu` per curiosita` che per motivi seriosi. Il risultato (in linea con le mie preferenze) e` stato che i due libri giudicati in assoluto piu` belli sono stati "Il birraio di Preston" e a pari merito "La Concessione del Telefono". A seguire, ma con notevole distacco, "La stagione della caccia", "Il ladro di merendine" ed "Il cane di terracotta"; per ultimi "La bolla di componenda" e "Un mese con Montalbano". Da una semplice analisi emerge che i libri piu` pubblicizzati, cioe` la serie del Commissario, in particolare il libro "Un mese con Montalbano" (uno dei libri piu` venduti e, aggiungo, piu` strombazzati) piacciono un po' meno dei libri ambientati a Vigàta antica. Cosa ne pensa?
Beppe Di Gregorio ('u diretturi)

Concordo con la classifica dei soci, raccorciando un po' la distanza tra "La stagione della caccia" e i due in testa. Nei romanzi "storici" la mia ricerca e' piu' approfondita. Non sono d'accordo sull'ultimo posto dato al "Mese".




Un ringraziamento particolare a Guido Torrioli che ha reso possibile questa intervista




Last modified Wednesday, July, 13, 2011