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Rassegna stampa - Marzo 2000

"Io, un uomo schivo come Montalbano"

"Il successo più grande? Quando Camilleri ha detto: adesso scriverò pensando a Luca". Luca Zingaretti temeva il confronto con la pagina scritta, perché sembrava impossibile portare in tv il commissario "non alto, con un viso da contadino" che ognuno ha immaginato diverso leggendo i libri dello scrittore siciliano. Ma vedendolo in azione in quel paese inventato, Vigàta, sul lungomare infinito di palme e cemento, si può pensare solo che Montalbano dovesse avere la sua faccia, il fisico roccioso, i modi bruschi che non cancellano la buona educazione ricevuta. Così Zingaretti, attore di teatro e di cinema, col regista Alberto Sironi, ha vinto la scommessa: dopo il successo del Ladro di merendine e La voce del violino, alla fine di aprile torna in tv, su RaiDue, con gli altri due film tratti dai primi libri di Camilleri: Il cane di terracotta (in cui affiora il problema della mafia) e La forma dell'acqua (sulla politica). Un successo televisivo che porterà Montalbano in Europa: il produttore Carlo Degli Esposti ha venduto i diritti in Germania, Spagna, Svezia e Francia. "È straordinario come Camilleri sappia scrivere storie senza tempo" spiega Sironi "ambientate nel passato eppure di grande attualità. Per fare un bel film bisogna tradire sempre un po' il romanzo, cercando di restituire l'atmosfera e i personaggi. Io ho avuto la fortuna di lavorare con attori di grande sensibilità, penso a Leopoldo Trieste e ai tanti che ho scelto durante i provini: la televisione a quei livelli ti ripaga di tutta la fatica". Il fascino di Montalbano, commissario anarchico, con un profondo senso della giustizia, uomo all'antica che tiene a debita distanza la passione (Livia), secondo Sironi sta nel suo ritmo di vita e di pensiero. "Salvo Montalbano ha dei tempi siciliani", spiega il regista "e Zingaretti sa restituirli, si capisce sempre che ha un disegno in testa. Credo che per tradurre in immagini la grande letteratura, e quella di Camilleri lo è, ci voglia la cultura, che significa tradire, facendoti guidare dalla bellezza dei dialoghi". Impegnato a teatro con Perversioni sessuali a Chicago di Mamet, l'attore schivo "cattivo" per il cinema, che grazie alla tv ha dato una svolta alla carriera racconta che il "suo" Montalbano è cambiato. "Con Sironi abbiamo cercato di lavorare sulle sfumature", spiega Zingaretti "nella prima serie dovevamo colpire il bersaglio, ora lavoriamo di cesello. I nuovi film sono tratti da due romanzi che prevedevano un Montalbano più chiuso in se stesso, per quanto mi riguarda è stato un lavoro di approfondimento. Nel Montalbano di questi due racconti colpisce la profondità, anche una certa malinconia, prima appena accennata. Montalbano perde il padre, conosciamo aspetti più personali della sua vita: è un uomo solo per scelta". E il rapporto con Livia, l'eterna fidanzata lontana? "Il loro è un legame fatto di incontri sporadici che va benissimo a tutti e due" dice Zingaretti. "Poi magari domani Camilleri ci stupisce, decide di farli sposare e gli fa fare tanti bambini. Scherzo, credo che ai lettori questa Livia non ispiri grande simpatia". Oggi è diventato popolare: cos'è cambiato? "Quando mi fermano mi stupisco ancora, e sono felice, perché non mi chiedono autografi, mi ringraziano per aver restituito il personaggio amato nei libri... Il successo significa scegliere, avere potere contrattuale. Dei commissari televisivi, scelgo Maigret e non potrebbe essere altrimenti, perché ha una straordinaria umanità. Paragoni con Cervi? Lasciamo stare, è già un onore aver convinto la Rai, il pubblico e i critici che ero Montalbano". Quando andranno in onda i due nuovi espisodi della saga del commissario di Vigàta - ancora girata nella zona di Marina di Ragusa - Zingaretti tornerà sul set per Il mistero del tesoro di San Pietro, un giallo scritto da Laura Toscano e Franco Marotta. "Ho avuto il dubbio se interpretare subito un altro commissario, ma è durato un attimo. Il copione è bellissimo: questo commissario si infiltra, nel periodo fascista, nell'ambiente malavitoso romano, per ottenere notizie su un colpo in Vaticano. È costretto a vivere una doppia vita, è un giallo perfetto con elemento di fascino in più visto che il protagonista è reale: era il padre di Marotta". Che pensa del rilancio della fiction? "Da un lato abbiamo ritrovato la capacità di raccontare l'Italia, che s' era persa; dall'altra c'è una questione produttiva. Oggi per un attore la divisione - cinema o tv - suona un po' antica, bisogna guardare i segnali positivi, e spesso è proprio la fiction ad offrire i ruoli migliori. Il riscontro del pubblico è ottimo, ma non bisogna eccedere perchè il limite tra buona e cattiva fiction è minimo". Va difesa quella "qualità" per cui, dopo Il branco, Vite strozzate ha interrotto i rapporti col cinema? "Non ci sono grandi sceneggiature. A volte, leggendo delle storie assurde, mi verrebbe da dire: "Ma questo film non è interessante, non lo vorrei sentir raccontare, non incasserà una lira, ma perchè lo fai?". Invece leggi, ringrazi, rifiuti, il film lo farà qualcun altro, uscirà in dieci copie, dopo una settimana lo leveranno dalle sale. Per prima cosa, bisognerebbe essere più cattivi, poi investire nella sceneggiatura: come puoi chiedere a un attore di essere bravo quando deve leggere l'elenco telefonico?".

ILVIA FUMAROLA - La Repubblica, 06.03.2001






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