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Rassegna stampa - Maggio 2000

Zingaretti, che Montalbano!

NON RIENTRA NEI LIMITI DI questa rubrica dire se Andrea Camilleri è un grande scrittore. Certamente è stato ed è un grande lettore. Ci restituisce quel luogo comune narrativo che è la Sicilia con un impasto linguistico inedito. Sotto le salse di troppi film, telefilm, racconti e raccontini, inchieste e interviste s'era perso quel sapore autentico che il narrare di Camilleri sa riproporre. E deve essere stata questa la difficoltà maggiore della serie dei film per la televisione "il commissario Montalbano". Non hanno nulla da spartire con i telefilm sulla mafia, con le storie di capitan Ultimo, con il sacrificio dei giudici coraggiosi, con le Piovre dall'uno al dieci. Come distinguersi, dal momento che, comunque, si scoprono grotte, tra le pietraie assolate, piene di armi, si compiono aggiramenti di casolari con i mitra in pugno, si affrontano sicari armati di kalashnikov nella notte, si proteggono pentiti come nel più trito telefilm? Camilleri, l'autore, Sironi, il regista e Zingaretti, l'interprete principale, sono riusciti a raccontarci il corpo della Sicilia, la sua fisicità, la sua carnale e spudorata realtà.

VALGA, PER TUTTE, UNA sequenza da nulla: il commissario Montalbano fa il bagno in mare. Nuota tra le onde, si tuffa sotto, riemerge, continua le bracciate. La macchina da presa, a pelo d'acqua, riprende l'azione ma c'è, nella sequenza, una gioia sensuale, un sentimento di identificazione con la natura, una resa dell'acqua salata, del brivido dell'immersione, dell'aria respirata a pieni polmoni di rara intensità.

E' PIENAMENTE RIUSCITA la scelta di Luca Zingaretti nella parte del commissario. Tra tutti i commissari visti in televisione, e alcuni di grande qualità, come Placido, Bova, Mezzogiorno, è l'unico a conferire una specie di umana multidimensionalità al suo personaggio. Come se, prima di affrontare il personaggio, si fosse letto tutti i Simenon e visto tutti i Maigret della storia dei cinema. Non che ostenti bonomia e umanità, ma certo è meno rigidamente fisso nella monomania dei suoi predecessori.

DICE DI SE' DI ESSERE un 'cacciatore solitario'. Rifiuta la nomina a vicequestore. Il questore lo invita a non smozzicare le parole quando parla, a non tenere la testa bassa. Naturalmente, continuerà a farlo. E a celebrare i suoi riti pagani con il mare di Sicilia. Potremo rivedere tutta la serie, episodi nuovi ed episodi vecchi, su Raidue, il martedì alle 20 e 50. L'Auditel si preannuncia buono.

Emanuele Pirella - Espresso, 25.05.2001


Agenzia Cuori Soltari diretta da Salvo Montalbano

A Montalbano non piacciano gli ex leader sessantottini che hanno fatto carriera in tv, nei giornali, nello Stato o in politica. A Montalbano piace Adriano Sofri per la "straordinaria dignita'" con la quale sopporta quello che sopporta. A Montalbano piace Giancarlo Caselli. A Montalbano piace la famosa poesia di Pasolini su Valle Giulia, quella che difendeva i poliziotti. Ogni libro che passa, Andrea Camilleri aggiunge una sfaccettatura al suo commissario. La psicologia di Montalbano si arricchisce e si complica a ogni avventura. In quest'ultima inchiesta, La gita a Tindari, Montalbano mostra nuovi aspetti del complesso rapporto con Mimi' Augello, il suo vice. Mimi' e' un personaggio ingombrante, che sgomita, che non vuole farsi impallare da Montalbano. Il commissario lo sa bene, pero' la rivalita' evidente che c'e' tra i due non offusca l'affetto. Montalbano trema al pensiero che Mimi' si faccia trasferire e per impedirglielo e' disposto, addirittura, a fare da ruffiano (agente matrimoniale) offrendogli su un piatto d'argento la bellissima Beatrice, una ragazza che sembrava fattaa apposta per fare innamorare il commissario, sviluppo che non sarebbe dispiaciuto ai lettori di Camilleri, tutti cordialmente alla fidanzata Livia. Invece, probabilmente, Montalbano va finalmente a letto, in questa avventura con Ingrid. Fin qui il racconto rosa, che e' una delle parti piu' godibili della Gita a Tindari, non meno avvincente e' il racconto giallo che che comprende l'omicidio di un giovanotto, con il duplice hobby dell'informatica e della pornografia, e la misteriosa sparizione dall'esito tragico di ua coppia attempata e scostante, dileguatosi appunto dopo la gita del titolo. Montalbano indaga a dispetto di tutto, in particolare dei suoi auperiori mai come questa volta decisi a ridimensionarlo: il commissario e' un uomo indipendente e bravo nel suo lavoro, due qualita' che nell'Italia di questi anni si scontano assai duramente (e questo e' un scandalo che non sfugge a Camilleri che, come il suo eroe, e' persona indipendente e bravissimo nel suo lavoro). Il fenomeno Camilleri, il fenomeno Montalbano, e' qualcosa di inaudito nella storia della letteratura italiana. Se si fa eccezione per Pinocchio, per Peppone e Don Camillo, per gli eroi dei Promessi Sposi, non ci sono mai stati personaggi che sono entrati nel cuore degli italiani come l'investigatore di Vigata.

Corriere della Sera (Sette) , 16.05.2001


Montalbano in tv

Se anche fosse un miracolo, in ogni caso il miracolo sarebbe di quelli annunciati: per la precisione un anno fa, con i primi due film tratti dai polizieschi di Andrea Camilleri. Ancora con la faccia intensa dell'ottimo Luca Zingaretti, per due martedì, su Raidue abbiamo visto all'opera il commissario Salvo Montalbano. E di rado il verbo "vedere" ha avuto un senso tanto forte in tivù, soprattutto in quella pensata e realizzata in Italia. Ossia: li abbiamo proprio visti, gli episodi "La forma dell'acqua" e "Il cane di terracotta", non ci siamo dovuti accontentare d'averne una vaga impressione, magari ripensando con rammarico ai testi originali. La regia (di Alberto Sironi) e la sceneggiatura (di Francesco Bruno e Camilleri) hanno davvero tradotto in immagine la parola scritta. Dunque, come accade per ogni buona traduzione, hanno dato vita a qualcosa di nuovo, a qualcosa che - stando a una sua dichiarazione - non ha mancato di trasformare in spettatore appassionato, lo stesso autore dei racconti. E noi? A noi è capitato di rivivere (purtroppo solo per due puntate) la sindrome detta di E.R. Da un martedì all'altro siamo stati "in attesa", abbiamo considerato d'avere un appuntamento importante con il piacere della narrazione, con il gusto giocoso dell'identificazione, con la festa dell'immaginario... Insomma, c'è accaduto quel che sempre dovrebbe accadere in fatto di spettacolo, e che s'è fatto da tempo evento così raro da essere eccezione. Miracolo o non miracolo, il Montalbano di Raidue capovolge la strategia televisionaria dominante. La quale è così riassumibile: gli spettatori non esistono, esiste solo il loro massimo comun divisore... Anzi, no: esiste il loro *minimo* comun divisore. Ed è al suo livello infimo che conviene pensare, scrivere, realizzare la tivù. Dunque le storie e i cosiddetti format devono puntare con decisione verso le bassure, verso la depressione dell'animo umano, al di sotto del grado zero della dignità, là dove prima o poi a tutti noi - vuoi per noia, vuoi per distrazione, vuoi per intrinseca ignobiltà - almeno a tratti tocca di precipitare. Il risultato esistenzial-matematico si chiama "audience", parola inglese che in italiano si traduce agevolmente con "carriera" (di chi fa la tivù, ovviamente). Camilleri, Sironi, Zingaretti e C. puntano invece in tutt'altra direzione. Non si rivolgono al peggio che sta in agguato in ogni spettatore, ma al meglio. Così gli propongono situazioni e personaggi che non hanno la pretesa truffaldina d'essere "normali", ma l'ambizione d'essere straordinari. Il risultato è, per felice paradosso, uno splendido senso di realtà, una gioiosa illusione di quotidianità. Il reale e il quotidiano sono tutt'altro che normali: la loro straordinarietà consiste nella loro specificità, irripetibilità, singolarità. Così è il commissario Montalbano: tanto specifico, irripetibile, singolare da ricordare anche a noi - annoiati, distratti e magari ignobili - la nostra propria specificità, irripetibilità, singolarità. Ecco il segreto della sindrome detta di E.R. Ed ecco anche il segreto dell'eventuale miracolo. E forse non si tratta di un miracolo, ma del risultato d'un rispetto collettivo del mestiere: di quello della regìa, di quello della sceneggiatura, di quello della recitazione e così via. Che questo sia stato possibile nella miseria televisiva italica è il vero entusiasmante miracolo.

Il Sole 24 ore , 14.05.2001


Con Montalbano è risolto

NEL "Cane di terracotta" Andrea Camilleri porta via il commissario Salvo Montalbano. Gli fa rischiare la vita, gli fa sparare. Tra convalescenza, ripensamenti e malinconie, Montalbano non si dà pace finché non risolve un enigma che risale a mezzo secolo prima. La dimensione diventa irreale, quello che conta è il Montalbano che cerca. Qualsiasi cosa - meglio se è la soluzione - purché il tempo trascorra cercando. Il libro, per certi versi, è il migliore della serie con protagonista il commissario, la trasposizione televisiva, sulla carta, la più ostica. Ma il successo di questo quarto episodio della serie tv firmata da Alberto Sironi dimostra che l'operazione è ormai andata ben oltre il guado. Con Camilleri stesso in sceneggiatura, il passo televisivo asseconda il ritmo di un autore che scriveva per la fiction tv già alcuni decenni or sono. Praticamente un tesoro in cui pescare a piene mani. Se valgono i sondaggi privati, non si trova un solo lettore di Camilleri che avrebbe comprato a scatola chiusa Luca Zingaretti per affidargli il ruolo di Montalbano. E su queste cose non si scherza. Ma alla fine bisogna arrendersi: Zingaretti modula toni ed espressioni, ricrea il personaggio e si ha sempre l'impressione che non stia sbagliando. Quello non è il Montalbano letto sulla carta, ma Zingaretti - comunque - non sta sbagliando. Strano, ma vero. Fino al prossimo libro, in cui ognuno sarà libero di cancellare il commissario macho e ritornare alle proprie idee in materia. Successo, non trionfale ma confortante. Sei milioni e quattrocentomila telespettatori, 24 per cento di share. A Raidue, entusiasti. E dalla prossima settimana si va in replica con i due episodi della passata stagione, "La voce del violino" e "Il ladro di merendine".

Antonio Dipollina - La Repubblica, 11.05.2001


"La gioia di interpretare Montalbano"

Intervista a Luca Zingaretti Oggi in tv "Il cane di terracotta"

Luca Zingaretti nei panni del commissario Salvo Montalbano sta conoscendo una grandissima popolarità grazie ai film per la televisione (e proprio stasera va in onda su Raidue, alle 20,50, "Il cane di terracotta") tratti dai gialli di Andrea Camilleri. Volumi che resistono imperterriti nei primi posti delle classifiche dei più venduti da diversi mesi. Zingaretti, attore di teatro e di cinema, è stato premiato lo scorso anno al Flaiano (insieme al regista Alberto Sironi) proprio per l’interpretazione di Montalbano. Ieri ha gentilmente risposto alle domande del Centro nell’intervista che segue. La difficoltà, la gioia, l’emozione di interpretare Salvo Montalbano. "Innanzitutto c’è la gioia. Quando ho saputo che facevano dei film dai romanzi di Camilleri ho chiesto di essere selezionato. Anche perché io sono un grande lettore dei romanzi di Andrea. Quando poi ho fatto i provini e li ho vinti l’ho chiamato (Zingaretti conosce Camilleri dai tempi degli studi all’Accademia di arte drammatica di Roma, ndr). Poi è arrivata la paura di dare volto al personaggio. Ognuno di noi si immagina Montalbano in un certo modo e il rischio è di deludere. Invece, con molto piacere, ho avuto anche riscontri diretti che i lettori sono rimasti soddisfatti". Lei è romano, come si è calato nella parte di un siciliano? "Mah, io ormai vivo spesso in Sicilia, perché faccio quasi un film all’anno in Sicilia, a cominciare dalla "Piovra". La Sicilia è una terra che ha conservato, molto più di altre, degli aspetti profondamente italiani. Questo è stato spesso detto in senso negativo, ma ci sono moltissimi aspetti positivi. Quindi amo molto la Sicilia e la sento anche un po’ mia". I suoi rapporti con Andrea Camilleri. "E’ stato mio insegnante all’Accademia: incantava tutti noi studenti per il suo modo di raccontare, assolutamente affascinante. Faceva diventare una storia interessantissima anche il semplice gesto di prendere il caffè la mattina. Poi ci siamo un po’ persi di vista e ci siamo ritrovati dopo anni. Con Andrea, essendo tutti e due timidi, il rapporto è fatto di occhiate, comunichiamo a monosillabi. Ma è sempre intensissimo. Devo dire che proprio all’inizio delle riprese (lo scorso anno sono andati in onda i primi due film tratti da "Il ladro di merendine" e "La voce del violino", ndr) io l’ho chiamato per dirgli che non ce la facevo. Lui, invece, mi ha detto di buttarmi e di non preoccuparmi. E forse è stata la cosa migliore perché poi è nato il Montalbano che tutti conoscono". Esiste il rischio che il personaggio si sovrapponga all’interprete? "Non lo so se è un rischio, anche perché penso che c’è sempre un personaggio che entra più nella carriera di un attore. Senza voler fare confronti, Anthony Hopkins ha fatto decine di film di cui è stato strepitoso ma verrà ricordato dai più come Hannibal nel "Silenzio degli innocenti". Ma se mi dovesse rimanere "attaccato" Montalbano a me fa piacere. Poi, sono un attore e credo di poter dare molte diverse interpretazioni". Lei è un attore apprezzato di teatro e di cinema, come fa i conti con l’enorme popolarità televisiva? "Ho avuto la fortuna, adesso la chiamo fortuna, di arrivare al successo tardi, quindi non è che mi faccio impressionare. In particolare apprezzo l’affetto del pubblico. Quello che mi commuove è questo: che la gente mi fermi e si complimenti per come ho dato vita a Montalbano". Immagino lo saprà: le signore sono tutte pazze per lei. Cosa pensa di questo suo fascino molto mediterraneo? Ha un futuro da latin lover? "No", si schernisce e glissa, "La cosa che mi fa piacere è che il pubblico femminile è più attento, più fedele e più esigente. Riuscire ad accontentare il pubblico femminile, conquistarlo, vuol dire che hai fatto un buon lavoro". Si parla tanto di fiction ma ora sta dilagando facendo abbassare, e di molto, il livello (a parte, ovviamente, il "Commissario Montalbano"). E’ d’accordo? "Penso che un certo tipo di serialità debba per forza portare a compromettere la qualità., anche perché il tempo e i soldi sono sempre gli stessi. Infatti, per Montalbano, ho chiesto di non fare più di due film l’anno, in modo di non dover girare troppo, in fretta. E poi ci vuole anche un po’ di coraggio. Non si può sempre girare fiction con poliziotti, commissari… Ci vuole un po’ di coraggio". L’anno scorso è stato premiato al Flaiano proprio per l’interpretazione di Salvo Montalbano. Cosa ricorda di quell’esperienza? E poi, conosce l’Abruzzo e, infine, conosce Flaiano? "Conosco sia l’Abruzzo che Flaiano. L’Abruzzo lo trovo una terra da scoprire. Io giro molto, soprattutto per il teatro e penso che sia una terra di cui non si parla abbastanza ma mi sembra per tanti aspetti ancora vergine. Flaiano lo conosco perché per uno che il mio lavoro è facile venirne a contatto e una volta conosciuto Flaiano vuoi sempre saperne di più, era una persona talmente intelligente… Del premio ho un ricordo bellissimo, anche perché credo sia uno dei pochi ancora puliti e poi, guardando l’albo d’oro, è un onore esserci".

Paolo Di Vincenzo - Il Centro 09.05.2001


Il commissario Montalbano nella caverna sufi

Stasera su Raidue, alle 20.50, va in onda il secondo episodio del telefilm "Il commissario Montalbano", basato sul romanzo "Il cane di terracotta" di Andrea Camilleri. L'antropologo Silvio Marconi, esperto di sincretismi culturali e di etnostoria, ne dà una lettura inedita, ritrovando le lontane radici islamiche - filosofiche e mistiche - presenti nella tradizione siciliana (una ricerca che ha approfondito nel libro "Il giardino-paradiso", recentemente edito da "I Versanti"). Pubblichiamo ampi stralci del suo saggio intitolato "Cavernosità sufiche ne 'Il cane di terracotta' di Andrea Camilleri" SILVIO MARCONI Loreena McKennit, nella presentazione della sua collezione di canzoni celtico-sufiche Mask and mirror (1984) cita un passo di Robert Graves, a sua volta contenuto nella prefazione del testo Sufis. In tale passo, Graves sottolinea due elementi importanti riguardanti il sufismo; il primo, è che questa corrente di pensiero, nata in ambito islamico medievale, risulta in effetti del tutto trasversale alle più disparate filosofie e religioni e lascia le sue tracce in forme di misticismo medievale e post-medievale apparentemente lontane dall'ambito musulmano ed invece, cripticamente, carsicamente collegate ad esso, inclusa larga parte del monachesimo e dell'esoretismo euro-cristiani. Il secondo consiste nella contastazione della possibilità che l'"essere sufi" si manifesti sotto le più diverse maschere, dal mercante alla donna di casa, dal cavaliere al sacerdote poiché rappresenta qualcosa di metodologico che trascende la specificità dell'attore sociale. Infatti, una delle caratteristiche essenziali del Sufismo è la concezione della realtà come una cipolla a vari strati, il nocciolo essenziale della quale è riservato solo a pochi eletti che riescono a penetrare i significati nascosti celati dietro "maschere e specchi" che la deformano. Questa visione sufica si interconnette non casualmente con elementi propri dell'Islam sciita di matrice iranica, che è profondamente influenzato dalle radici del dualismo mazdeista persiano pre-islamico, ed in particolare con una forte caratterizzazione esoterica dell'approccio alla testualità religiosa, inclusa quella stessa di un Corano che, invece, gli orientamenti maggioritari sunniti, considerano testo "chiaro e di cui non c'è possibilità/necessità di interpretazione". Inoltre, sia nel caso del Sufismo, sia in quello dello Sciismo e tanto più nei numerosi momenti di sovrapposizione ed intreccio fra queste due correnti, si pratica e si teorizza la taqyia, ossia la possibilità/necessità di celare la verità (in primo luogo quella relativa alle proprie concezioni) dinanzi al pericolo concreto di essere colpiti dalla repressione, dal potere. Uno degli elementi simbolici, di derivazione gnostica e neoplatonica (si ricordi, proprio di Platone, il mito della caverna), maggiormente usati nell'approccio esoterico sufico (e sciita, specie della famiglia dell'Ismailismo) per rappresentare l'esistenza di realtà criptiche, celate alla vista dei più, è la grotta, la caverna, lo spazio ipogeo, in una logica che si ricollega a tradizioni ben anteriori a quelle islamiche, centrate sulla concezione della ctonicità come elemento-chiave del rapporto con sfere quali la sessualità (la caverna-utero della Terra), la rinascita iniziatica, la resurrezione, il mondo magico dei jinn, gli esseri né angeli né demoni della tradizione oasiana ripresa dall'Islam. La eventuale pluralità di caverne, inoltre, simboleggia il "viaggio" verso tutte le profondità: quelle dell'animo (potremmo dire dell'inconscio individuale), quelle dell'ethnos (si potrebbe dire, con Jung, dell'"inconscio collettivo"), quelle delle radici storiche dei fenomeni presenti e futuri. Tutto questo può diventare tema e modulo espressivo esplicito, in taluni testi filosofici e mistici, ovvero, più sistematicamente, farsi nocciolo criptico-simbolico di forme espressive apparentemente fruibili senza troppo sforzo, in fiabe leggende, poesie, canzoni, racconti di vario genere, di cui il ciclo collegato alla storia di Aladino e del "genio" (jinn) della lampada costituisce un interessante esempio. Il cane di terracotta di Andrea Camilleri (Sellerio) rientra pienamente in questo secondo tipo di produzione espressiva e questo non "a prescindere" e "nonostante" il fatto che esso si presenti e venga ancor più presentato come un giallo, ma proprio sulla base della profonda dicotomia fra ciò che il testo appare (vuole apparire) e ciò che il testo è, nella più piena tradizione di una taqyia che si entrata profondamente e si è radicata nell'ethnos siciliano. La nota editoriale di presentazione del libro, contenuta nel risvolto di copertina, riassume le caratteristiche di questo che è stato il secondo romanzo giallo di Camilleri nel modo seguente: "stavolta, in coda al delitto di mafia, se ne trova un altro, più conturbante e rituale: due cadaveri di giovani amanti abbracciati, nel doppio fondo di una grotta, sorvegliati da un enorme cane di terracotta. Un omicidio di 50 anni prima". In realtà, la seconda grotta (unita alla prima da un breve condotto, quasi come l'utero alla vagina), non rappresenta un elemento "in coda" alla parte più strettamente poliziesco-mafiosa della vicenda, ma il fulcro effettivo, funzionale e simbolico del romanzo, che si riflette anche nel titolo; delle 273 pagine del testo, ben 109 sono dedicate alle indagini che il commissario Montalbano svolge su questo specifico tema pur mentre attorno a lui avvengono delitti e crimini di incisività concreta ben maggiore. (...) Perfino la collocazione della tragica vicenda dei due amanti della grotta nella fase dello sbarco alleato in Sicilia non rappresenta solo uno sfondo all'evento, ma un riferimento conscio o inconscio ad un situazione che vide operare congiuntamente i comandi statunitensi e la mafia italo-americana e che ebbe fra le sue conseguenze un rilancio in grande stile dei meccanismi mafiosi nell'isola, cosicché le realtà che l'indagine sulla seconda grotta induce a scoprire, pur prive di valore giudiziario, rimandano a radici storico-sociologiche del fenomeno mafioso su cui non si vuole in genere andare a fondo. Sul piano strettamente poliziesco, d'altronde, il romanzo di Camilleri è più che altro una storia di fallimenti e sconfitte, in un quadro in cui l'inquinamento mafioso delle stesse istituzioni investigative è forte e plurilivello. (...) Tutto ciò, dunque, anche se collegato sul piano culturale al senso etnostorico della realtà della seconda grotta, risulta del tutto marginale, fallimentare e secondario sul piano giudiziario-poliziesco rispetto alle indagini che Montalbano compie su tale realtà e che lo scrittore stesso esplicitamente riconosce come nucleo centrale del romanzo quando afferma: "L'idea mi è venuta in mente mentre, per cortesia verso due allievi registi egiziani, studiavamo in classe La gente della caverna di Taufik-al-Hakim". In effetti, anche nel testo, Camilleri cita direttamente il dramma dell'autore egiziano moderno, ma vale per il libro del romanziere siciliano quello che un suo personaggio disvelatore, il professor Lovecchio, dice a proposito dell'apparente incongruità della con-presenza nella grotta dove i due amanti giacciono ricomposti, di elementi aventi a che fare con la leggenda cristiana dei Sette dormienti di Efeso (l'acqua), ed altri aventi invece a che fare con la versione coranica (il cane). E' proprio questa "visione globale" e trasversale, sufica, che dà senso alla con-presenza di elementi fra loro assai diversi ed apparentemente slegati, ma in effetti riconducibili ad un substrato simbolico unico, nel romanzo di Camilleri. E' innanzi tutto evidente che il riferimento centrale, non celato, anzi esaltato e spiegato, è da un lato alla leggenda cristiana sunnominata e dall'altro alla Sura XVIII del Corano, detta Sura della caverna; proprio la scoperta, casuale, in una via della città vecchia di Mazara del Vallo ri-abitata da Tunisini (dato che fu la casbah della città della fase del dominio islamico medievale) di alcuni versetti di quella Sura rappresenta la chiave che consente a Montalbano di iniziare il disvelamento del senso della realtà della seconda grotta. Ma già in questo riferimento e specialmente in quello relativo alla Sura coranica, la spiegazione del/nel romanzo contiene a sua volta nuovi elementi di cripticità che per essere penetrati necessitano la conoscenza piena di quella Sura (e non solo della sua parte relativa alla storia dei dormienti nella caverna) e poi una ricca serie di altri elementi di diversa origine, nella più classica tradizione del percorso iniziatico-sapenziale sufico. La Sura XVIII, dunque, viene individuata esplicitamente come uno dei riferimenti della pratica rituale avvenuta nella seconda grotta, ma con volute "contaminazioni", apparenti imprecisioni, rimandi oscuri, che si intrecciano ad elementi, invece, chiarissimi e perfino didascalici.

Il Manifesto, 09.05.2001


"Montalbano in tv mi fa commuovere"

Andrea Camilleri parla del rapporto con i film tratti dai suoi libri

Solo in pochi gli chiedono quando si sposeranno, perché Livia, la fidanzata del commissario Salvo Montalbano, tra i lettori di Andrea Camilleri non riscuote grande successo. "La odiano soprattutto le donne" racconta lo scrittore "Onestamente non è simpatica neanche a me, fa benissimo Montalbano a tenerla a distanza, una donna così - che ti dice cosa fare e non fare - mi fa un po' paura. Si può sopportare per un weekend, non di più". Seduto nel salotto della sua casa romana, la sigaretta sempre accesa nonostante una fastidiosa tosse, Andrea Camilleri, 75 anni, con impareggiabile ironia racconta come il commissario di Vigàta, eroe dei suoi racconti - quattro, contemporanemente nella classifica dei libri più venduti - sia diventato ancora più "reale" dopo che è arrivato in tv con la faccia di Luca Zingaretti. Domani su RaiDue va in onda Il cane di terracotta (con una grande interpretazione di Leopoldo Trieste), e il produttore Carlo degli Esposti sta già preparando i prossimi due film, sempre sceneggiati da Francesco Bruno con lo scrittore: La gita a Tindari e un racconto tratto dal libro Un mese con Montalbano. Il telefono squilla in continuazione: Camilleri è l' uomo più invitato d'Italia; la Disney gli ha chiesto di scrivere una storia ("La più esaltante offerta di collaborazione"), per smistare la corrispondenza ha dovuto ricorrere a un aiutante. "La mia vita, sostanzialmente, non è cambiata, perché mi difendo bene. Ma ho degli incontri singolari con la gente. Così, di punto in bianco, senze dire buongiorno o buonasera, mi dicono: "Lui non doveva piangere", "Lei è odiosa". Battute in codice, sappiamo di chi stiamo parlando. Fino a quando discutono dei libri va bene, quello che mi preoccupa sono altri tipi di manifestazioni. La ragazza che mi chiede: "Le posso accarezzare le sopracciglia?", o il giovanotto che a Campo de Fiori si fa fare l'autografo sul braccio". Confessa di guardare poco la tv ("Seguo la Formula Uno, non avendo neanche la patente la cosa mi entusiasma"), ma i film di Alberto Sironi gli sono piaciuti molto "perché rispecchiano l'atmosfera dei miei romanzi, e Luca è un attore bravissimo, che è andato sempre più affinandosi. Vigàta non esiste ma sullo schermo è vera, la casa di Montalbano, soprattutto: lo scenografo Luciano Ricceri ha fatto un lavoro di ricerca strepitoso. Ma lo sa che mi sono veramente commosso, nella Forma dell'acqua, a vedere la scena del funerale? Il che, se ci pensi bene, è surreale, avendola scritta io". Davanti alla tv diventa solo spettatore. "Sì, guardo i film con tranquillità, come se l'autore non fossi io. In ogni sceneggiato c'è un attore fuori tono, fuori registro; qui invece c'è una recitazione curata a livello di paranoia. Anche chi appare solo per un minuto, lascia il segno". Tornando a Livia... "Guardi, Livia può apprezzarla solo Montalbano, è la sola persona da cui accetta le critiche. Livia, per me, è l'ampio bacino di Venere: amante, amica, confidente, la madre che non ha avuto. C'è una scena nella Forma dell'acqua, che ha colpito tutti: quella in cui vanno a letto, dopo il funerale del padre di Montalbano. Una funzione consolatoria... Poi, certo, averla sempre addosso potrebbe essere pesante, capisco perfettamente che Montalbano tenga le distanze". Non sarà un po' misogino? "No. Il fatto è che Salvo è un uomo selvatico. Pensiamo al rapporto con Mimì Augello: quando entra un po' in confidenza, lui lo attacca. Ma ci tiene. Solo che ha pudore dei sentimenti. E' un uomo solo, che può essere facilmente ferito, e gli piace stare da solo". Ogni lettore si è immaginato il "suo" Montalbano. "Non ho mai avuto dubbi sul "fisico del ruolo" di Zingaretti, all'inizio ho detto solo che forse era troppo giovane. Ma sapevo che era bravissimo, non è stato una scoperta per me. Sapevo che ha talento, l'ho visto recitare a teatro, era strepitoso. Insomma, conoscevo il valore dell'attore, e ogni volta pensavo: "Deve avere un'occasione migliore". Luca è cresciuto insieme al personaggio, ormai è Montalbano". Ma lei, Montalbano, l'ha mai incontrato? "Una volta l'ho visto all'aeroporto di Cagliari: è stato divertente. Il professor Giuseppe Marci dell'Università di Cagliari aveva organizzato un corso sul Birraio di Preston. Mi invitò. C'era un problema: come avremmo fatto a riconoscerci? "La conosco", mi ripose "comunque verrò a prenderla con una copia del Birraio". Arrivato all'aeroporto vidi Montalbano con il libro sotto il braccio".

SILVIA FUMAROLA La Repubblica - , 08.05.2001


Commissario Montalbano esalta Camilleri

L'umanita' di Montalbano, l'intelligenza di Montalbano, la lungimiranza di Montalbano, la sensibilita' di Montalbano, la sicurezza di Montalbano, la filosofia di Montalbano. Ma quanti doti ha questo commissario di polizia, che sa risolvere casi intricatissimi ma che alla fine, con stoica saggezza, preferisce lasciare che il destino segua il suo corso! Dopo il successo della scorsa stagione, sono tornate le avventure poliziesche create da Andrea Camilleri e ambientate nell'immagginarai cittadina siciliana di Vigata: La forma dell'acqua. Camilleri firma anche la sceneggiatura con Franco Bruni e la regia e' ancora di Albereto Sironi. Ormai l'esibizione del commissario e' una prova di bravura fra la recitazione di Luca Zingaretti e l'invenzione narrativa di Camilleri: e' una gara fra i due, sempre tesa e coinvolgente, a tratti esaltante, a volte persino narcisista. Ci sono momenti in cui i due sembrano dirsi: ma quanto siamo versati! La morte di un ingegnere altolocato, il suo rapporto omosessuale con un nipote, la lotta per la successione, le connessioni tra malavita e politica, gli interventi dei poteri forti, la morte del padre del commissario sono infatti pretesi per una dimostrazione di bravura: Zingaretti ha definitivamente sovrapposto la sua fisionomia a quella di Montalbano (come Gino Cervi fece con Maigret) e Camilleri sembra finalmente compiaciuto di questa nuova identita' fantasmatica. Cosi' la sua scrittura, di forza comica e tempra popolare, distribuisce con equita' indizi strategici e dati esistenziali, conferendo al complesso racconto improvvise accensioni e pudichi rallentamenti di notevole spessore narrativo. La regia non si appiattisce sulla storia, ma lavora per valorizzare i punti forti del progetto; stranamente si sofferma un po' troppo su una marca di mutande e sul logo di una compagnia aerea. Perche', commissario?

Aldo Grasso - Corriere della Sera , 04.05.2001


A noi due, commissario Montalbano

IL PM NELLA TRINCEA ANTIMAFIA

Giovanni Tinebra, 59 anni, è procuratore di Caltanissetta dal luglio '92. Ex schermidore, proviene da una famiglia molto cattolica: il padre era funzionario statale, il nonno ufficiale dell'Arma. Dirige un ufficio tra i più esposti nella lotta alla criminalità organizzata. Il 2 maggio andrà in onda su Raidue La forma dell'acqua, primo dei due nuovi film-tv tratti dai romanzi di Andrea Camilleri. Panorama ha chiesto a Gianni Tinebra, procuratore di Caltanissetta, personalità di primo piano nella lotta alla criminalità organizzata, di vedere in anteprima la fiction con Luca Zingaretti, commissario Montalbano sul piccolo schermo. Fra i molti romanzi firmati dallo scrittore sbanca-classifica, La forma dell'acqua è l'unico che tratti di politica, rapporti di potere, Mani pulite, scandali insabbiati e ruolo della stampa. La storia ruota intorno alla figura di un politico democristiano siciliano, ritrovato morto in un "bordello all'aperto" (uno spiazzo in riva al mare, luogo di prostituzione). Raiuno e Raidue si sono contese la messa in onda della fiction firmata da Alberto Sironi (il secondo episodio è tratto da Il cane di terracotta). Gianni Tinebra, l'uomo che ha coordinato il gruppo di inquirenti delle stragi Falcone e Borsellino, da sempre restio ad apparire sui giornali, ha commentato il romanzo-tv con l'occhio dell'uomo di legge, ma soprattutto del siciliano innamorato della propria terra e orgoglioso di appartenervi. Le righe che seguono, frutto di un'intervista consumatasi nella "sua" Sicilia incantata e quasi estiva, lo testimoniano. E come Montalbano, Tinebra non nasconde il suo essere siciliano di fronte alle cose. Si dovrebbero leggere i romanzi di Camilleri tre volte: la prima per ridere come pazzi, la seconda per gustare le note di costume e colore, l'ultima per riflettere. Fu un libro di Camilleri a strapparmi qualche sorriso nel periodo buio e pesante che seguì le stragi dell'estate del 1992. La forma dell'acqua, in particolare, fa pensare a quello che sovente mi ritrovo a dire: vivere in Sicilia costa un po' di più che in altri posti, così come costa di più essere onesti e giusti. Però siamo fieri di pagare un prezzo più alto per vivere in questo paradiso, che ultimamente sta anche muovendo passi da gigante per scrollarsi di dosso antiche "abitudini". Camilleri qui ne ricorda alcune. Penso, per esempio, a una frase pronunciata dal netturbino che ritrova l'illustre cadavere e che invece di avvertire la polizia chiama il potente avvocato amico dell'ucciso, sperando di ottenerne la protezione. "Se non hai il vento a favore, non navighi" dice al collega. Quella Sicilia sta sparendo, oggi abbiamo gente che lotta e combatte contro certe forme di subcultura. Siamo sinceri, nella Sicilia di Camilleri, letteraria e da esportazione, ci sono alcuni ruoli un po' stantii e figure in via di sparizione. Prendiamo la vedova del politico ucciso, personaggio bellissimo: è un condensato di quello che era il cardine della società siciliana, la famiglia apparente, svuotata all'interno, unita dalla sua funzione di mostrarsi all'esterno. Mi fa anche un po' ridere la figura del magistrato preoccupato di infastidire i politici: non mi ci vedo, nè vedo i miei colleghi. E anche il medico legale è a uso della finzione, descritto come uno che agisce alla carlona, mentre oggi è un professionista estremamente serio. Più in generale, le indagini si gestiscono in modo diverso da come vengono descritte ne La forma dell'acqua: il pubblico ministero dirige le inchieste, il poliziotto le conduce in accordo con lui. Nel film come nel romanzo ci sono accenni a Mani pulite che viene definita "il terremoto": nessuno può negare che lo sia stato da una parte Tangentopoli, dall'altra l'azione decisa dei colleghi dell'antimafia. Ma in fondo, queste obiezioni sono poca cosa di fronte alla bravura di Camilleri nel raccontare l'animo siciliano. Il suo commissario è siciliano nel profondo. Di Montalbano ne ho conosciuti tanti qui, alcuni di loro ricoprono ora posti chiave, altrove. Montalbano è un anticonformista che non ama le regole. In questo Camilleri ha ben colto una connotazione tipica dei siciliani: l'insofferenza nei confronti delle regole, che non è assolutamente una predisposizione alla violazione delle stesse. No, è una naturale tendenza a cogliere la sostanza delle cose. Ne La forma dell'acqua, Montalbano varia la data su un documento per consentire a una famiglia non abbiente di incassare una ricompensa e curare così il figlio: la sua è una giustizia sostanziale e non formale. O meglio, è un modo di fare il proprio dovere senza rinunciare a un momento di comprensione umana. Montalbano persegue la verità, solo questo gli preme. È un eroe moderno. Oggi non ci sono crociate da fare, guerre da combattere, indiani da sottomettere. Gli eroi di oggi individuano il male e lo combattono tentando di vincerlo. Montalbano rinuncia a promozioni, rifugge protagonismi perché ha capito che i cosiddetti onori non sono nulla. Nulla di realmente importante. I veri valori della vita sono onestà, amicizia, amore, essere giudicati per quello che si fa e non per la qualifica. Montalbano ha capito tutto della vita: ha scelto un lavoro che ama e in cui crede e lo svolge in una dimensione umana con generosità. Gli piacciono cibo, donne, natura. Per i suoi collaboratori è un despota, ma è anche padre, fratello, amico. È insofferente verso i superiori. Se Montalbano è siciliano nel profondo, lo sono anche molti dei personaggi di contorno nella loro voglia di arrivare fino in fondo, nell'intelligenza scoppiettante. E nell'intuito innato che prescinde dalla preparazione culturale. Qualunque sia il suo ruolo e lavoro, il siciliano è abituato a cercare le motivazioni dei fatti. Vuole capire. Noi siciliani abbiamo conosciuto almeno cinque civiltà. Sono arrivate da dominatrici, sono finite dominate. E i siciliani ne hanno carpito il meglio. Almeno questo spero e credo. Io adoro i romanzi di Camilleri, ho letto quasi tutti i suoi libri e a tutt'oggi "Il birraio di Preston" rimane per me il migliore. Rispetto ai precedenti film-tv, La forma dell'acqua ha dalla sua una sceneggiatura più densa, splendidi esterni, buon cast; e Luca Zingaretti è magistrale come commissario Montalbano. Come dicevo all'inizio i romanzi di Camilleri fanno anche riflettere. Mi soffermo su una frase che mi è suonata incredibilmente vera: "Quando vuoi far tacere uno scandalo, ne devi parlare finché la gente non si stufa. Se invece tenti di insabbiarlo, allora il silenzio comincia a parlare". (testo raccolto da Stefania Berbenni)

Gianni Tinebra - Panorama, 04.05.2000


Camilleri & Zingaretti

LO RICONOSCO, È MONTALBANO Ha taciuto per un anno, e ora che il commissario è tornato in TV, lo scrittore che lo ha inventato rivela a "Sette" il suo verdetto.

Della prima serie avrà visto tutte le puntate. "Veramente neanche una" Ma come, il film è stato tratto dai suoi gialli…"No, voglio dire che non mi sono goduto la proiezione davanti al televisore, seduto in salotto. Come avrei voluto. Ero in Germania, così sono stato costretto a vederlo in cassetta. Da solo, senza un pubblico che potesse fare una critica." Lo scorso anno Il commissario Montalbano aveva spopolato (più di sei milioni di telespettatori a puntata) tanto che, nella guerra televisiva della fiction, aveva costretto L'ispettore Giusti (interpretato da Enrico Montesano) a cambiare collocazione nella programmazione di Canale 5. Adesso che è partita la nuova serie (martedì scorso) Zingaretti-Montalbano & company cercheranno di bissare il successo. Potranno contare su un telespettatore in più: lo scrittore siciliano che questa volta, giura, non andrà in Germania. Camilleri, dica la verità: lo scorso anno le era piaciuto il film? Sì , per come è stato riprodotto in tv e per come è stato interpretato da Luca Zingaretti Nessuna critica? Premesso che un mio suggerimento sarebbe stato inopportuno, diciamo che forse avrei dato più spazio alla lentezza mentale di Montalbano, al modo in cui arriva alla conclusione, e anche alla sua clepto-ironia. Però… Però? A grandi linee dico che mi ritrovo nel personaggio. Riconosce il suo commissario nel volto di Zingaretti? Veramente lui è più giovane e non ha i capelli. Il mio va per i cinquanta… Dunque non gli rassomiglia? Lo riconosco negli occhi e in certe sue pause. Io lo avrei scelto più anziano del vero Montalbano. Con una faccia da contadino. Però il problema è un altro. Quale? Trovare un attore italiano con queste caratteristiche. In questo momento non vedo in giro molti quaranta-cinquantenni capaci di interpretare Montalbano. Nessuno? Forse Giancarlo Giannini. Il successo televisivo è merito dei suoi libri? Penso di sì. È stato un buon lancio. In questi casi però c'è un pericolo-boomerang: date le aspettative è molto più alto il rischio del flop. Lei era preoccupato? Un po', lo confesso. Anche se un successo tv può far crescere il numero dei miei lettori, ma un insuccesso non lo fa diminuire. Bè, con quattro libri in cima alle classifiche. E numeri e critica costantemente dalla sua parte… Non sempre. Grosse vendite per alcuni è sinonimo di mediocrità. Ho ricevuto anche alcune critiche violente. Ancora stordito per il successo? Diciamo che non mi sono abituato. Telefonate, convegni, interviste. Pensi che ho dovuto assumere qualche persona per rispondere alle lettere. Comunque è sempre più divertente vivere il successo, con tutto ciò che ne consegue, che portare i nipotini ai giardinetti. Non le dispiace che il successo sia arrivato a settant'anni? Forse a quaranta mi sarei montato la testa. Il nuovo Montalbano è diverso da quello di un anno fa? Migliore, più profondo: viene fuori nella sua personale solitudine. Lo vedrà in compagnia? Questa volta sì. Con un pubblico di amici che non risparmieranno critiche. A cominciare da mia moglie. Non ha gradito la prima serie? No, le è piaciuta molto. E allora? Con i miei libri è ipercritica. Le dà anche dei suggerimenti? Qualche volta. E lei ne tiene conto? Certamente.

Agostino Gramigna - Sette Corriere della Sera, 05.05.2000


Zapping

Ci sono due nuovi casi da risolvere per il commissario Salvo Montalbano che, fedele alla terra ed al mare della sua amata Vigata, ha a che fare con delitti d'onore e con storie di grandi amori e passioni. Tornano le atmosfere ambigue ed appassionate della Sicilia, soprattutto torna un Montalbano, cresciuto, piu' maturo, estremamente umano ma anche piu' malinconico. Come Sean Connery e' James Bond, cosi' Luca Zingaretti e' diventato con la forza della sua interpretazione il Montalbano di Andrea Camilleri. Luca, prima di interpretarlo tu gia' conoscevi Montalbano per i romanzi di Camilleri. Ti ha aiutato? Devo dire che quando girammo i primi due episodi lo scorso anno ero terrorizzato dalla profondita' del personaggio. Essendo Montalbano una figura letteraria, avevo a disposizione una mole di materiale scritto enorme; cosa che di solito non succede con le sceneggiature. Per prepararmi io butto giu' appunti e le informazioni che avevo erano talmente tante che si ingolfavano. Preziosissimo e' stato il consiglio di Camilleri, mi ha detto semplicemente "buttati!", senza starci troppo a rimuginare. Quindi ho cercato di far venire fuori i valori ed il modo di pensare di Montalbano: un uomo che decide con la propria testa, cui non interessano i telefonini, i soldi, le belle macchine ma che sa apprezzare il buon cibo, per cui e' importante avere al fianco una donna che lo ama e che rimane legato ai propri affetti, alla terra, ai suoi colori e sapori. Ora e' un uomo piu' melanconico ma di una melanconia bella; come quando si beve un buon vino rosso e si resta in contemplazione. Quanto di te c'e' nel personaggio? Gli somiglio negli aspetti negativi, nell'irascibilita', nel fatto di avere un carattere da orso. Gli vorrei somigliare in tutto. Credo lo vorrebbe ogni uomo, come credo che ogni donna lo vorrebbe al suo fianco. Montalbano e' fedele a se' stesso, lo e' con Livia la sua donna. La frequentazione con Camilleri mi ha portato alla riflessione che alla fine la felicita', ognuno, la trova dentro se stesso. Dai romanzi, come lo immaginavi fisicamente? Non me ne sono mai fatto un'immagine precisa; sicuramente diverso da me. Ti ci sei affezionato? E' un ruolo che mi diverte da morire, talmente bello che chiunque avrebbe voluto interpretarlo. Adoro tornare ogni volta giu' in Sicilia per le riprese; e' un po' come rincontrare un vecchio amico, un amico vero. E poi c'e' la soddisfazione di vedere i silenzi sornioni di Camilleri: era il suo modo d'esprimere approvazione quando veniva sul set. Annosa questione: per quanto ancora farai Montalbano? Essere ricordati per un ruolo e' il destino dell'attore. Ma questa e' una paura piu' degli altri che mia. Dopo 10 anni di teatro, sono approdato al cinema con due parti da cattivo e subito mi hanno chiesto se non avessi paura di rimanervi invischiato. Io scelgo i ruoli che mi piacciono. Dopo Montalbano ho avuto altre offerte interessanti. Sicuramente faro' altri due episodi dal romanzo "La gita a Tindari" e dai racconti brevi. Poi c'e' un film americano, "Texas" di Giorgio Serafini con Roy Scheider su un campo texano di prigionieri italiani della Seconda Guerra Mondiale, ed altri due film tv per la Rai, "Il segreto del tesoro" sul tentato furto del tesoro di San Pietro nel 1925 e la storia di Giorgio Perlasca che, sempre nella Seconda guerra, salvo' 5.000 ebrei ungheresi fingendosi un console spagnolo. Praticamente non ho piu' tempo libero. Per il momento, quindi, gli appuntamenti sono per martedi' 2 e 9 maggio su Raidue in prima serata; poi, palinsesti permettendo, il direttore di rete Carlo Freccero potrebbe riproporre i primi due episodi "Il ladro di merendine" e "La voce del violino" il giovedi' sera, in diretta concorrenza con la bella Claudia Koll su Canale 5. Camilla Francisci

http://www.zapping.it


Zapping

Ci sono due nuovi casi da risolvere per il commissario Salvo Montalbano che, fedele alla terra ed al mare della sua amata Vigata, ha a che fare con delitti d'onore e con storie di grandi amori e passioni. Tornano le atmosfere ambigue ed appassionate della Sicilia, soprattutto torna un Montalbano, cresciuto, piu' maturo, estremamente umano ma anche piu' malinconico. Come Sean Connery e' James Bond, cosi' Luca Zingaretti e' diventato con la forza della sua interpretazione il Montalbano di Andrea Camilleri. Luca, prima di interpretarlo tu gia' conoscevi Montalbano per i romanzi di Camilleri. Ti ha aiutato? Devo dire che quando girammo i primi due episodi lo scorso anno ero terrorizzato dalla profondita' del personaggio. Essendo Montalbano una figura letteraria, avevo a disposizione una mole di materiale scritto enorme; cosa che di solito non succede con le sceneggiature. Per prepararmi io butto giu' appunti e le informazioni che avevo erano talmente tante che si ingolfavano. Preziosissimo e' stato il consiglio di Camilleri, mi ha detto semplicemente "buttati!", senza starci troppo a rimuginare. Quindi ho cercato di far venire fuori i valori ed il modo di pensare di Montalbano: un uomo che decide con la propria testa, cui non interessano i telefonini, i soldi, le belle macchine ma che sa apprezzare il buon cibo, per cui e' importante avere al fianco una donna che lo ama e che rimane legato ai propri affetti, alla terra, ai suoi colori e sapori. Ora e' un uomo piu' melanconico ma di una melanconia bella; come quando si beve un buon vino rosso e si resta in contemplazione. Quanto di te c'e' nel personaggio? Gli somiglio negli aspetti negativi, nell'irascibilita', nel fatto di avere un carattere da orso. Gli vorrei somigliare in tutto. Credo lo vorrebbe ogni uomo, come credo che ogni donna lo vorrebbe al suo fianco. Montalbano e' fedele a se' stesso, lo e' con Livia la sua donna. La frequentazione con Camilleri mi ha portato alla riflessione che alla fine la felicita', ognuno, la trova dentro se stesso. Dai romanzi, come lo immaginavi fisicamente? Non me ne sono mai fatto un'immagine precisa; sicuramente diverso da me. Ti ci sei affezionato? E' un ruolo che mi diverte da morire, talmente bello che chiunque avrebbe voluto interpretarlo. Adoro tornare ogni volta giu' in Sicilia per le riprese; e' un po' come rincontrare un vecchio amico, un amico vero. E poi c'e' la soddisfazione di vedere i silenzi sornioni di Camilleri: era il suo modo d'esprimere approvazione quando veniva sul set. Annosa questione: per quanto ancora farai Montalbano? Essere ricordati per un ruolo e' il destino dell'attore. Ma questa e' una paura piu' degli altri che mia. Dopo 10 anni di teatro, sono approdato al cinema con due parti da cattivo e subito mi hanno chiesto se non avessi paura di rimanervi invischiato. Io scelgo i ruoli che mi piacciono. Dopo Montalbano ho avuto altre offerte interessanti. Sicuramente faro' altri due episodi dal romanzo "La gita a Tindari" e dai racconti brevi. Poi c'e' un film americano, "Texas" di Giorgio Serafini con Roy Scheider su un campo texano di prigionieri italiani della Seconda Guerra Mondiale, ed altri due film tv per la Rai, "Il segreto del tesoro" sul tentato furto del tesoro di San Pietro nel 1925 e la storia di Giorgio Perlasca che, sempre nella Seconda guerra, salvo' 5.000 ebrei ungheresi fingendosi un console spagnolo. Praticamente non ho piu' tempo libero. Per il momento, quindi, gli appuntamenti sono per martedi' 2 e 9 maggio su Raidue in prima serata; poi, palinsesti permettendo, il direttore di rete Carlo Freccero potrebbe riproporre i primi due episodi "Il ladro di merendine" e "La voce del violino" il giovedi' sera, in diretta concorrenza con la bella Claudia Koll su Canale 5. Camilla Francisci

Camilla Francisci - http://www.zapping.it


Il Ritorno di Montalbano, il nostro commissario preferito

Il commissario Salvo Montalbano è tornato. In tv questa volta, con la nuova miniserie di film televisivi tratti dai due fortunatissimi best-sellers, La forma dell'acqua e Il cane di terracotta, del più prolifico autore italiano dell'ultimo decennio, Andrea Camilleri. E' tornato, Salvo Montalbano, con le fattezze che ormai il pubblico italiano identificherà per sempre con quelle del suo interprete, Luca Zingaretti. Ma come lo vede il suo creatore, Andrea Camilleri, dall'alto della sua trentennale esperienza di regista e sceneggiatore? Montalbano interpretato da Zingaretti corrisponde anche all'immaginario personale di Camilleri? No, non corrisponde e non può corrispondere. Zingaretti ha almeno quindici anni meno di quelli che io attribuito a Montalbano, che è un cinquantenne. Luca, quindi, è ancora tanto più ammirevole come attore non avendo l'età, e neanche il fisico del ruolo di Montalbano. Luca è più aggressivo, ma è riuscito a captare perfettamente i tempi del discorso interiore di Montalbano. In che senso? Certe pause e certo modo di guardare corrispondono al personaggio. Luca, soprattutto in questo Forma dell'acqua rende tutta la solitudine del personaggio, che io avevo messo nel primo episodio della serie. Viene anche fuori nel rapporto con la svedese Ingrid che il regista Sironi non ha scelto secondo lo stereotipo che ci aspettiamo tutti. E' andato a prendere una svedese, gran bella donna, brava attrice, ma soprattutto una con una mobilità facciale straordinaria e di enorme simpatia. Allora si capisce come uno come Montalbano possa instaurare rapporti di simpatia autentica con un personaggio così che lui apprezza enormemente. Questo perché Montalbano è un siciliano atipico, e non le zompa immediatamente addosso… Certo, non è un siciliano allupato. Il personaggio di Ingrid nasce da un incontro vero, che ho avuto con una ragazza svedese conosciuta durante uno stage su Pirandello che ho tenuto all'Università di Copenaghen, aperto anche a studenti svedesi e norvegesi. Mi ritrovai coinvolto per una settimana in questa meravigliosa università immersa nel verde, a insegnare, tra gli altri, a delle bellissime bluebells, studentesse di italianistica. Una di loro, alla fine del corso, mi propose di accompagnarla a casa e di trascorrere l'ultima serata insieme: una proposta che mi riempì di vergogna e che inizialmente mi terrorizzò. Una volta arrivati a casa sua, trovai nel soggiorno di casa anche i suoi genitori, che scoprii con orrore essere più giovani di me; fu così che trascorremmo un paio d'ore a conversare e quindi, riaccompagnandomi in macchina, la mia accompagnatrice scoppiò in una irrefrenabile risata. E ci salutammo con molto affetto ed estrema simpatia. Da lì nascono la risata di Ingrid e la sua schiettezza. Ha seguito la lavorazione dei film? Mai, so che rottura può essere la presenza dell'autore. Anche se io mi mettessi in silenzio, in un angolo, sarei come la sfinge: troppo ingombrante per un regista che stimo come Sironi. Ho solo fatto una visita dei luoghi all'inizio della prima serie. Possiamo definire Montalbano un anti-yuppie per eccellenza? Una ragione del suo successo è forse l'essere così in contrapposizione con la tendenza italiana al consumismo, in sintonia con una voglia di autenticità? Si, tant'è vero che nell'inizio de La gita a Tindari c'è quella tirata contro i vecchi compagni che hanno saputo piazzarsi bene. Questo è il suo carattere. E in qualche modo, Montalbano rappresenta l'amico ideale. E' duro e scontroso, ma è sempre leale e dirà sempre le cose come stanno. Impersona un'idea di servitore dello Stato onesto, in un momento in cui molte accuse erano state loro rivolte. Rappresenta, senza voler usare parole grosse, un ideale di italiano medio. Senza darlo a vedere, senza manco averne l'intenzione, si è proposto come una sorta di piccolo modello. In questo commissariato non sono tutti un po' troppo buoni, tutti onesti? Ma è lui che se li è fatti così, se li è scelti: è per questo che Montalbano non vuole essere trasferito, perché non potrà mai ricreare una squadra come questa. Non è una novità: anche Maigret ha i suoi, e non li smuovi neanche a cannonate. Sono i tasselli di un mosaico, ognuno ha le sue attribuzioni: Catarella per esempio si è scoperto l'unico capace di usare un computer. I dialoghi televisivi sono molto simili a quelli del romanzo, che è già quasi una sceneggiatura. Questo avrà facilitato la riduzione televisiva e il lavoro dello sceneggiatore. Io scrivo già per sequenze televisive, dove c'è una prevalenza del dialogo. C'è stato un incontro molto fortunato con Francesco Bruni, lo stesso sceneggiatore che ha scritto i dialoghi dei film di Virzì e Calopresti. Credo che sia l'unico caso nel quale l'autore ha invitato lo sceneggiatore a scostarsi un po' dal libro. La mia collaborazione è servita a portare alcuni cambiamenti nei dialoghi, perché venissero evitate alcune parole siciliane la cui dizione sarebbe risultata imperfetta sulla bocca di un attore non siciliano come Luca Zingaretti. Ed è così, con la complicità di Andrea Camilleri, che Luca Zingaretti è diventato, in quattro ore di fiction, e in mesi e mesi di fatiche d'attore, il nostro commissario di polizia preferito.

Maruzza Loria - IL SECOLO XIX, 3/05/2000


Un commissario verace

Il commissario Montalbano, nato dalla fervida immagginazione dello scrittore Andrea Camilleri, torna a raccontarci storie gialle della sua Sicilia grazie al volto di Luca Zingaretti. La forma dell'acqua e Il cane di terracotta sono gli episodi di questa seconda serie, ancora diretta da ALberto Sironi, e gia' si sta pensando di farne seguire una terza. Luca Zingaretti, come e' stato ritrovare Montalbano? Piacevole perche' e' cpmunque una cosa che mi diverte. Ma faticosissimo dal punto di vista fisico e mentale. Soprattutto in questa seconda serie: la prima e' piaciuta al pubblico e questo ha aumentato le aspettative: dovevamo fare meglio e non c'e' stato nessun cedimento. C'e' stato un effetto Montalbano di maggior notorieta'? Accidenti, come no. Mo fermano per strada in continuazione e lo fanno con affeto; e' molto bello perche' vuol dire che il pubblico apprezza non solo quello che fai ma anche come lo fai, e si fida di te. Si sta recuperando un rapporto di fiducia che nel cinema e nella televisione italiana si era un po' perso negli ultmi tempi. Sta lavorando tantissimo per la fiction televisiva, riesce a dedicare tempo anche a cinema e teatro? Ora manca il tempo. La stagione teatrale e' comunque finita. Ho incontrato Ridley Scott per un film inglese Il mandolino di capitan Corelli con Nicolas Cage, ma non so se lo faro'. Ora sto preparando per la RAI Il segreto del tesoro, la storia vera del tentativo di furto del tesori di San Pietro nell'anno giubilare 1925. Poi faro' Perlasca, lo Schindler italiano che nella Seconda guerra Mondiale salvo' centinaia di ebrei in Ungheria: e' una storia fantastica ma poco conosciuta, visto che noi italiani siamo maestri nel non riconoscere i nostri meriti mentre non esitiamo mai a darci addosso. E poi la terza serie di Montalbano Vogliamo fare ameno altre due serie consecutive. La prossima sara' tratta dal romanzo La gita a Tindari. Quindi continua montalbano? Ma non all'infinito, perche' a un certo punto e' anche giusto fermarsi.

Film Tv






Last modified Wednesday, July, 13, 2011