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Casa Montalbano

Purpiteddri, triglie e altre prelibatezze



E' capace di cominciare con un coppo di càlia e simenza e di finire per contare a due a due le porzioni di pasta: 'ncasciata, con le sarde, alla Norma. Ha un debole per triglie, calamari e purpitieddri, per le seppie nel loro intingolo "streto e nero, con un sospetto d'origano", per la salsa corallina d'uova d'aragosta e ricci di mare con cui condire gli spaghetti (La voce del violino), per la capotanina preparatagli dell'impareggiabile Adelina (non una mezza porzione, o una caponata in versione light, bensì una specie di parmigiana rinforzata di caciocavallo ragusano). Ma non disdegna il brusciuluni di carne della signoara Fazio, rollè imbottito d'uovo sodo, salame e pecorino a pezzetti (un mese con Montalbano). Il palato del commissario montalbano non conosce mezze misure. Pare anatomaticamente predisposto sia alla sostanziosa cucina casalinga di stretta osservanza siculo-monteluso-vigatese che a tradizioni gastronomiche più leggiadre: dal tinnirume, ovvero cioè i talli delle zucchine ("ad ogni boccone sentiva che il suo stomaco si puliziava, diventava specchiato come aveva visto fare a certi fachiri in televisione" in Il cane di terracotta) alla pappanozza ("Patate e cipolle messe a bollire a lungo, ridotte a poltiglia col lato convesso della forchetta, abbondantemente condite con sale, ogli, aceto forte, pepe nero macinato al momento, da mangiare usando preferibilmente una forchetta di latta, scottandosi lingua e palato e di conseguenza santiando ad ogni boccone"). C'è un libro - inviti a cena, Nuova Graphicadue 1999 - in cui Arnaldo Rosas, pediatra gourmet e fan di montalbano, svela i segreti di questi piatti che Camilleri imbadisce con carta e penna anzichè con pentole e fornelli. come uo chef della memoria, rinnovando i sapori e i profumi della gioventù siciliana. Raccontando a modo suo le ricette antiche, dall'oramai globalizzato arancino (in Gli arancini di Montalbano) all'esoterica munnizza, sorta di millefoglie di verdure cotte e crude, condite con olio e aceto e alternate a strati di capperi, olive, sarde, patate bollite, uova sode, fettine d'arancia, da mangiarsi freddo il giorno dopo (ricetta della nonna di Camilleri, da lui stesso svelata in diretta radiofonica). rievocando delizie in via d'estinzione come la petrafennula, miele cotto aromatizzato con bucce d'arancia e di cedro, profumato alla cannella, addizionato di mandorle e mezzi confetti, infine steso sul marmo unto d'olio e tagliato a pezzi. E sono proprio i dolci l'emblema della cucina siciliana, specchio della storia e dell'anima dell'isola, in cui sapori greci ed arabi (i susumeddi, i mostaccioli, i cuffiteddi) "s'ammiscugliano" - per dirla alla Catarella - a parole di manifesta raice straniera: il gattò di ricotta o di pistacchi, il cuscus dolce agrigentino, la cubaita di mandorle, sesamo e miele cotto - dall'arabo qubiat, mandorlato), ad echi di antiche invasioni (il salame turco, le teste di turco, la luna di Maometto) e di moderne dominazioni (i catalani), inzuccherandosi di barocca sensualità (gli ossi di morto, le minne delle vergini, gli affucaparrini).

I viaggi di Repubblica - 27.06.2002




Last modified Wednesday, July, 13, 2011