Caldo torrido, calore estenuante, sole implacabile: è questa la vampa del mese più infuocato della torrida
estate siciliana, ma è anche l’ardore e la passione che infiammano Montalbano.
Siamo in agosto, Mimì Augello ha dovuto anticipare le ferie e Montalbano è costretto a rimanere a Vigàta.
Livia vorrebbe raggiungerlo, ma per non restare sola, con Montalbano sempre al lavoro, pensa di portare con
sé un’amica (con marito e bambino) e chiede a Salvo di affittare una casa sul mare per loro. La vacanza scorre
nella bella villetta sul mare, silenziosa, verde. Ma un giorno il bambino sparisce e proprio non si trova.
Montalbano accorre e scopre in giardino un cunicolo che rivelerà clamorose
sorprese tra cui un baule con il cadavere di una ragazza scomparsa sei anni
prima.
Finita la brutta avventura con il ritrovamento del bambino, Livia e gli amici ripartono, tutti troppo
impressionati per restare a Vigàta. E il commissario inizia l’indagine. Difficile perché il caldo non lascia
requie, bollente come la passione amorosa di cui rimane in balia.
Un giallo perfetto un Montalbano istintivo, ma alla fine anche malinconico, a interrogarsi su di sé e sul
suo futuro. Tutt’intorno Vigàta d’agosto stretta tra pietre infuocate e mare.
«Natava e chiangiva. Per la raggia, per l’umiliazione, per la vrigogna, per la
sdillusione, per l’orgoglio ferito […]
Tutto un tiatro, tutta una finzione.
E lui, vecchio, alluciato
dalla billizza e perso darrè a quella giovintù che l’imbriacava, c’era
caduto, a cinquantacinco anni sonati, come un picciliddro.
Natava e chiangiva».
Mentre vampeggia l'estate, e l'intormentimento canicolare ottenebra e
infiacchisce, un'esalazione sepolcrale genera creature maligne. Un villino
spiritato e ominoso rovescia il suo inferno segreto; e dalle camere interrate,
dalla sua metà sepolta, dal tenebrore, libera un marasma schifoso di blatte (landolfiane),
di topi, e di ragni. È il lato oscuro che irrompe
nell'incandescenza. Così come nella "civiltà" si ridesta la barbarie, con i suoi
corollari di violenze e inquinamenti, di raggiri e viziosità. Il villino è una
menzogna architettonica prodotta dall'abusivismo edilizio. E, nelle more del
condono, occulta il pianoterra: che è stato teatro di una sevizia crudele,
consumata sul corpo innocente di una minorenne. Le stanze buie nascondono a loro
volta, dentro un baule, il cadavere della vittima. Sono un ipogeo.
Un'appiccicosa ragnatela di connessioni criminali invischia il villino:
"parentele perigliose, collusioni tra mafia e politica, tra mafia e
imprenditoria, tra politica e banche, tra banche riciclaggio e usura". Il
commissario Montalbano vuole venire a capo di tutto, in questo romanzo a
palinsesti sconcertato da cose e persone cha hanno un doppio gemellare: un
rovescio, che viene dal profondo, enigmatico e insidioso. Persino "la vampa
d'agosto" si rivela un "foco diavolisco", un sortilegio che abbaglia e allucina:
raddoppia la rabbia del commissario, lo fa essere diverso da sé, gemello a se
stesso, e gli accende un'emotività amorosa parallela a quella a lui consueta, e
diversa. Montalbano ha cinquantacinque anni. L'incipiente vecchiaia gli ditta
dentro, malinconica. Con un po' di sordità e di tardanza. E con una
nostalgia della giovinezza, che lo espone ai colpi di sole. Se il romanzo giallo
è solo un "passatempo enigmistico", un genere giocattoloso che induce il lettore
a salire sulla "macchina", a indovinare gli ingranaggi, e a correre alla
soluzione per appagarsi, La vampa d'agosto non è un romanzo giallo. O lo
è in modo anomalo. Dentro la sua trama, il lettore frena la corsa. Si attarda e
si turba. Si lascia distrarre da una segnaletica truccata. Va fuori strada. Non
vuole arrivare alla fine. Tenta di allontanarla. Ha paura di sapere come va a
finire. Forse il commissario Montalbano... Sì, può piacere non saperlo.
Salvatore Silvano Nigro