Aggressione a mano armata e violenza carnale, traffico d’armi, commercio di opere d’arte rubate:
in questa nuova avventura del commissario Montalbano tre storie scorrono parallele, si disgiungono
e infine tornano ad avvitarsi.
A Lampedusa sono sbarcati migliaia di tunisini e il ministro degli Interni che ha deciso di fare
una ispezione nell’isola ha fatto sapere che farà tappa a Vigàta. Per questo Montalbano, che si
vuole tenere il più lontano possibile, se ne va a visitare una mostra di pittura - Donghi,
Morandi, Guttuso e Mafai - nella nuova galleria d’arte di Vigàta di proprietà di Maria Angela,
Marian per gli amici. Scatta una immediata attrazione tra Marian e il commissario, e la cosa
sembra davvero mettere in discussione il legame con Livia.
Negli stessi giorni Salvatore Di Marta,
proprietario di un supermercato, denunzia la rapina subita dalla moglie Loredana, sorpresa con una
grossa somma che stava per versare a un bancomat. Loredana è stata anche violentata e quando qualche
giorno dopo si scopre che l’antico fidanzato Carmelo Savastano è stato assassinato, è facile
attribuire il furto a lui e l’omicidio a Di Marta. Ma troppe cose non tornano e Montalbano non è tipo
da accontentarsi di facili spiegazioni, tanto più che il controllo dei telefoni di Loredana e della
sua intima amica Valeria fa sorgere più di un dubbio.
Camilleri ci ha abituato nei suoi gialli
all’intrecciarsi di due storie che scorrono parallele per gran parte della narrazione e che si
disgiungono per poi tornare ad avvitarsi. In questo romanzo le vicende che si combinano tra loro
sono tre: il commercio di quadri nei quali è impegnata Marian, il traffico d’armi dei tunisini
mentre nella loro patria è in corso la lotta di liberazione, la rapina subita da Loredana e
l’omicidio che ne è seguito: quale sarà la direzione giusta per risolvere ogni cosa?
Ma non
è la sola sorpresa che Una lama di luce riserva. Ritroveremo, infatti, un personaggio
dei primi romanzi, e non sarà una presenza di poco conto.
Un gorgo d'angoscia governa l'alterno respiro delle storie che nel romanzo si tramescolano. Il commissario Montalbano è in apprensione. Gli orli sfumati di un sogno trasudano malessere, sensazioni superstiziose, oscure premonizioni. Un pensiero laterale stenta a chiarirsi, e perdura nella realtà come sospettosa vigilanza; e come soprassalto a ogni minima coincidenza con lo squallore infausto del sogno che di uno straccio di terra aspra e solitaria ha fatto un obitorio a cielo aperto, con bara chiusa e cadavere da riconoscere, sotto una luce itterica e di meteoropatica influenza. Persino il consueto barbugliamento di Catarella si è dato in sogno negli arcani costernanti di una locuzione latina.
La rotta sequenza delle indagini, su un'aggressione a mano armata e violenza carnale, su un traffico d'armi, e su degli esportatori di opere d'arte rubate, allinea e intreccia storie di donne di forte e deciso temperamento; mentre il commissario, così esposto al lato oscuro delle cose e ai clandestini giochi della mente, è in attesa che qualcosa di non del tutto delucidato esca fuori, alla fine, da un qualche retroscena, e si riveli.
Si sedimenta lo spaesamento in Montalbano. Nella vita del commissario va crescendo un senso di solitudine che accascia e predispone a una morbidità di sentimento. Livia continua a essere una voce nel telefono, una minaccia costante e fastidiosa di baruffe. Un'assenza. Una lontananza impegnativa. Irrompe in carne e ossa una donna fatale, intanto, arsa dal desiderio.
La donna è una gallerista. Sa quel che vuole. E va dritta e sicura allo scopo. È esplicita. Si
propone e si offre con caldissima generosità. È tollerante e comprensiva. Non ricorre alle lagne,
come Livia, e alle recriminazioni. Accetta tutto: dimenticanze, goffaggini, temperata emotività.
Montalbano corrisponde. Anche se il sì e il no non gli suonano interi, dentro. Con palese viltà, il
commissario temporeggia con Livia. Sene sta accucciato nell’irresolutezza. Si rifiuta di conoscersi
a fondo. Ricorre alle finterie, ai sotterfugi. Traccheggia. Fino a quando il sogno non porta a
compimento la minaccia che adombrava, apparecchiandogli nel romanzo, a indagini fatte e consumate,
e fuori di ogni onirica menzogna, una cassa da morto ad assi povere con dentro una salma che
appartiene alla memoria più profonda, indelebile, quasi incistata nella carne, del suo rapporto con
Livia. La dolorosa agnizione trasforma il romanzo in una grande tragedia familiare. Il finale è
l’eruzione d’ombra, in un lembo di terra desolatamente infeconda, di una disperata,
lontanante, «lama di luce» che taglia e trafigge come un addio.
Salvatore Silvano Nigro
La matinata, sino dalla prim'alba, si era addimostrata volubili e crapicciosa. Epperciò, per contagio, macari il comportamento di Montalbano, in quella matinata, sarebbi stato minimo minimo instabili. La meglio era, quanno capitava, di vidiri il meno nummaro di pirsone possibbili.
Cchiù passavano l'anni e cchiù s'addimostrava d'umori sensibili alle variazioni climatiche, all'istesso modo che una maggiori o minori umidità agisci supra ai dolori d'ossa di un vecchio. E arrinisciva sempri meno a controllarisi, ad ammucciari l'eccessi d'alligria o di grivianza.
Nel tempo che ci aviva dovuto 'mpiegari per arrivari dalla sò casa di Marinella insino alla contrata Casuzza, sì e no 'na quinnicina di chilometri ma tutti fatti di trazzere bone per cingolati o di stratuzze di campagna tanticchia meno larghe della larghizza della machina, il celo dal rosa chiaro era passato al grigio e po' dal grigio si era convirtuto al cilestre splapito per firmarisi momintaneo a un bianchizzo neglioso che sfumava i contorni e confonniva la vista.
La tilefonata gli era arrivata alle otto del matino, mentri che stava finenno di farisi la doccia. Si era susuto 9 tardo pirchì sapiva che quel jorno non doviva annare in ufficio.
S'infuscò. Non s'aspittava d'essiri chiamato al tilefono. Chi era che gli scassava i cabasisi?
In linia teorica, in commissariato non avrebbi dovuto essirici nisciuno fatta cizzioni del cintralinista pirchì quella sarebbi stata 'na jornata spiciali per Vigàta.
Spiciali in quanto che il signori e ministro dell'Interno, di ritorno dalla visita all'isola di Lampidusa indove i centri d'accoglienza (sissignori, avivano il coraggio d'acchiamarli accussì!) per gli immigrati non erano cchiù 'n condizioni di continiri manco un picciliddro di un misi, le sarde salate avivano maggiori spazio, aviva espresso la 'ntinzioni di spezionari l'attendamenti di fortuna priparati a Vigàta. Che già, da parti loro, erano chini come l'ova, con l'aggravanti che quei povirazzi erano costretti a dormiri 'n terra e a fari i loro bisogni all'aperto.
Epperciò il signori e quistori Bonetti-Alderighi aveva proclamato la mobilitazioni generali tanto della questura di Montelusa quanto del commissariato di Vigàta per blindari le strate del percorso che avrebbi dovuto fari l'alto pirsonaggio onde evitari che ai sò oricchi non arrivassiro frischi, piriti e parolazzi (in taliàno chiamati contestazioni) della popolazioni, ma sulo gli applausi di quattro morti di fami appositamenti pagati.
Montalbano, senza pinsarici supra un momento, aviva scarricato il tutto supra alle spalli di Mimì Augello e sinni era approfittato per pigliarisi 'na jornata di riposo. Al sulo vidirlo in tilevisioni, a Montalbano il si- 10 gnori e ministro gli faciva viniri il sangue suttasupra, figurarisi a vidirlo di pirsona pirsonalmenti.
Il tutto, nella sottintisa spiranzia che, per il rispetto dovuto a un membro del governo, 'n paìsi e nei dintorni non capitassero né ammazzatine né autri fatti delittuosi. I sdilinquenti di certo avrebbiro avuto la sdilicatizza d'animo di non trubbare quella jornata gaudiosa.
Perciò chi poteva essiri a tilefonari?
Addecidì di non arrispunniri, ma il tilefono, doppo essirisi azzittuto per tanticchia, tornò a sonari.
E se era Livia? Che macari gli doviva diri qualichi cosa d'importanti? No, non c'erano santi, doviva sollevari il ricevitori.
«Pronti, dottori? Catarella sum».
Strammò. Catarella parlava 'n latino? Che stava capitanno all'universo? La fini del munno era vicina? Di sicuro non aviva sintuto bono.
«Che dicisti?» «Catarella sugno, dottori».
Respirò sollivato. Aviva malo sintuto. L'universo tornò nell'ordine.
«Dimmi».
«Dottori, lo devo avvirtiri in primizia di tutto che di cosa longa e compricata trattasi».
Montalbano col pedi si tirò vicina 'na seggia, ci s'assittò.
«E io ccà sugno».
«Vabbeni. Stamatina essenno che il sottoscritto erasi arrecatosi all'ordini del dottori Augello in quanto che 11 c'era l'aspittativa dell'arrivanza dell'aliquottero che apportava il signori e ministro…».
«Arrivò?».
«Non lo saccio, dottori. Sono ignorevole della circostanzia ».
«E pirchì?».
«Sono ignorevole in quanto non trovomi in loco».
«Ma dove sei?».
«In un autro loco dettosi contrata Casuzza, dottori, che attrovasi appresso al vecchio passaggio a livello che veni doppo».
«Lo saccio indov'è 'sta contrata Casuzza. Ma mi vuoi spiegari che ci fai, sì o no?».
«Dottori, addimanno compressione e pirdonanza, ma se vossia mi metti 'n mezzo 'n continuo la 'ntirruzioni io...».
«Scusami, vai avanti».
«Donchi, a un certo momento il detto dottori Augello arricivitti ’na tilefonata dal nostro
cintralino indove che io ero stato assostituito dall’agenti Filippazzo Michele in quanto che il
detto erasi storciuniato ’na gamma e...».
«Scusami, il detto cu? Il dottor Augello o Filippazzo?».
Trimò al pinsero che essennosi fatto mali Mimì attoccava a lui annare a riciviri al ministro.
«Filippazzo, dottori, il quali che quindi non potevasi apprestare al servizio attivico, e la
passò a Fazio, il quali, sintuta la suddetta tilefonata, mi dissi di lassari perdiri l’aspittativa
dell’aliquottero e di arricarimi urgentevole ’n contrata Casuzza. La quali...».
Montalbano si fici pirsuaso che ci sarebbi voluta mezza matinata per arrivari ad accapirici
qualichi cosa.
«Senti, Catarè, facemo accussì. Ora m’informo e po’ mi faccio risentire io tra cinco minuti».
«Ma il ciallulare ’ntanto io lo devo tiniri astutato o no?».
«Astutalo».
Chiamò a Fazio. Il quali arrispunnì ’mmidiato.
«È arrivato il ministro?».
«Non ancora».
«Mi ha telefonato Catarella ma dopo un quarto d’ora di parlata ancora non ci avevo accapito nenti».
«Dottore, le spiego io di che si tratta. Un contadino ha chiamato il nostro centralino per farci
sapere che nel suo campo ha trovato una cassa da morto».
«Vuota o piena?».
(L'incipit qui riportato è stato pubblicato su
Il Piccolo del 7.6.2012)