Turi Ferro, con ironia un maestro nel Kaos
Turi Ferro? Un siciliano. Un uomo estremamente generoso. Non so se posso raccontare un episodio del tutto personale
che non ho mai raccontato. Dovevo fare delle commedie alla radio, a Catania, e gli interpreti erano tutti attori dello
Stabile della città. Da un anno e mezzo non stavo bene. Proprio un giorno prima di partire mi diagnosticarono un male
irreversibile alla gola. Naturalmente lo dissi a mia moglie, che mi rispose: tu, a Catania, non vai. Replicai: «Io a Catania
vado, altrimenti divento pazzo. Vado a lavorare».
Arrivai di domenica. In albergo trovai un bigliettino di Turi: «A qualsiasi ora arrivi, chiamami. Sei ospite a cena a casa
mia». Lo chiamai e venne a prendermi. Aveva una guida a dir poco perigliosa... Sapevo bene dove abitava, e vidi che
non eravamo lungo la strada per casa sua. Domandai. Mi rispose «cangiai (ho cambiato) casa». Arrivammo in
un’enorme villa e ci aprì un signore che non conoscevo. E Turi: «Professore, eccolo, l'ho portato». Era un medico
specialista. Turi aveva saputo da mia moglie e con l'inganno aveva organizzato quella visita privata alle dieci di sera. Non
avevo nulla di quello che si sospettava, per fortuna. Ma sarò grato a Turi per tutta la vita, per quello che ha fatto,
soprattutto per il modo in cui lo ha fatto.
Aveva addosso l'eleganza e l'ironia tipiche dei catanesi. Non in dosi da medicina omeopatica bensì in dosi da cavallo.
Anche collerico, era. Quando si arrabbiava passava alla terza persona; una volta, durante una prova, non era d'accordo
con me, mi disse: «Guardi che il signor Ferro non può reggere una cosa simile». Io risposi: «Ne parlerò al signor
Camilleri e vediamo cosa si può fare». Scoppiò a ridere, ci abbracciammo e l'arrabbiatura finì.
E poi, le sue pause teatrali. Solitamente un attore, durante le pause, fa capire che sta riflettendo su una battuta che deve
dire. Turi faceva e dava di più, un valore aggiunto: inseriva nel suo recitare certe pause assolutamente comiche in un
contesto drammatico, apportava ironia, modificava la drammaturgia e anche la regia, anzi, soprattutto la regia, come
ogni attore di razza. L’ho diretto diverse volte in teatro, in tv, in radio, mi è mancato solo di farlo nel cinema e nei
fumetti. Il nostro connubio artistico inizia nel ’62, dovevo mettere in scena l'unica commedia che ha scritto Giuseppe
Berto L'uomo e la sua morte sulle ultime ore di vita del bandito Giuliano, volli Ferro come interprete. Fece Giuliano in
modo magistrale. Un altro episodio riguarda Il Ciclope di Euripide nella versione siciliana di Pirandello. Turiddu era
’u Ciclopu. La maschera di Turi era bellissima, con l’occhio che si apriva e si chiudeva, l'aveva fatta Carlo Rambaldi. Turi
era straordinario, non solo recitava con la maschera, ma aveva anche i coturni, degli affari di 40 cm di altezza. Era
d'estate e la maschera, all’inizio, non voleva metterla: «Frate mio, non farmi mettere ’sta cosa». «Turi, devi provare con
la maschera, perché io ti guardo, vedo le tue espressioni e rido, mi devi fare ridere con la maschera». Si convinse.
«Mettiti pure i coturni», dissi. «Picchì, taia fari ridere con i piedi?». «No, devi abituarti a camminarci». Al debutto c'era
poca luce, recitavano senza luci fino al tramonto. Cadde dai coturni rovinosamente e quando si tolse la maschera
piangeva dal dolore. Gli dissero che doveva stare fermo e a riposo, ma l’indomani il teatro era pieno e lui fece lo
spettacolo: «Non si può rinunciare a un pubblico così».
Nel 1982 Raitre fece una serie di trasmissioni basata su ritratti di grandi attori e io diressi tutto su Turi Ferro. Girammo a
Catania, Palermo e nelle campagne del Kaos agrigentino. Si mise molti costumi di scena ma non volle indossare
quello di Liolà, sua mitica interpretazione. Diceva: «Non ho più l'età, faccio ridere». Ma camminando per le campagne
incontrammo un contadino seduto davanti alla porta e Turi disse la battuta Liolà: «Butto un seme davanti la porta...».
Quello replicò: «Taliasse che io non sono d'accordo».
Se in mezzo al pubblico, stasera, ci fosse Ferro a vedere l'omaggio che la sua città gli tributa, cosa direbbe secondo voi?
Respingerebbe, intanto, la commozione inevitabile. Con la solita ironia. Era un uomo che si salvaguardava, con quella
benedetta ironia. Una volta andammo alla Pescheria, il mercato del pesce di Catania. Lo riconobbero tutti, era
impressionante. Poteva fare qualsiasi cosa e sembrava interpretare se stesso, si calava naturalmente nel ruolo, poi, ogni
tanto, partiva come un razzo spaziale. Partiva per la sua arte.
Andrea Camilleri
(Contributo per la serata in onore di Turi Ferro,
Catania 30/10/2004; pubblicato su Il Messaggero, 30 ottobre 2004) |