È l’alba a Marinella e il sonno di Montalbano viene interrotto dal canto di un usignolo.
O almeno cosi pare al commissario, salvo poi scoprire che si tratta del fischiettare di
un vagabondo che ha trovato rifugio nella verandina durante un temporale di fine estate.
Un barbone sui generis però, perché parla un italiano perfetto e si vede che ha conosciuto
tempi migliori. Confessa di abitare in una grotta poco distante ma non c'è tempo di
approfondire la questione perché Montalbano deve correre in commissariato dove Catarella
gli annuncia l’assassinio del ragionier Cosimo Barletta.
Nel villino lungo la strada che
costeggia il mare nessun segno di effrazione, nessuna traccia di lotta: l’uomo e stato
colpito alla nuca da un colpo di pistola mentre seduto in cucina stava bevendo un caffè.
Un tipo strano il ragioniere, una vita solo in apparenza rispettabile: vedovo, benestante,
casa in paese e villino sul mare, due figli, Arturo e Giovanna, entrambi sposati. Dalle
loro parole pero emerge un ritratto dell’uomo non proprio edificante. Malo carattere,
qualche affare immobiliare che fa sospettare prestiti ai limiti del lecito, cosa altro
ancora? Se lo chiede il commissario quando foto equivoche e lettere nascoste in un doppio
fondo della scrivania della vittima svelano una passione malata.
L’autopsia poi mette a nudo
un particolare inquietante che costringe a cambiare marcia nell’indagine, tanto più che
entrambi i figli di Barletta parlano di un testamento - che non si trova - che il padre
intendeva rivedere.
Livia arriva a Vigata proprio quando l’inchiesta sta entrando nel vivo
e mentre il commissario si attarda tra interrogatori di testimoni e perquisizioni, lei
conosce Mario, l’uomo della grotta, e ne vuole carpire il segreto.
La verità lentamente
si fa strada ma è una soluzione che Montalbano non vorrebbe ammettere neanche a se stesso.
Cliccare qui per
leggere il primo capitolo
Nota
La scrittura del romanzo che avete in mano risale al 2008.
La pubblicazione venne allora rimandata perché troppo vicino a La luna di carta del
2004, dove non avevo avuto il coraggio di sviluppare fino in fondo un tema che continua ad
essere di difficile trattazione come l'incesto. Qui mi ci sono provato.
In questa storia, interamente dovuta alla mia fantasia, mi auguro che nessuno pretenda
di riconoscersi
A. C.
Il sogno di Yadwigha, dipinto da Henri Rousseau “il Doganiere” nel 1910, poco prima della morte che lo colse a Parigi quando aveva 66 anni (New York, Museum of Modern Art, olio su tela)
Sognando, Montalbano è entrato in un sogno dipinto da Rousseau il Doganiere. Si è ritrovato, insieme alla fidanzata Livia, nel respiro di luce e nella convivenza innocente di un’edenica foresta. Gli intrusi riconoscono il luogo solo grazie a un cartello inciso a fuoco. Sono nudi. Ma portano addosso l’ipocrisia di foglie di fico posticce, fatte di plastica. L’armonia dell’eden, la sua mancanza di volgarità e violenza, è una finzione pittorica. Non appartiene a nessun luogo reale. E neppure ai sogni. Ciononostante, anche nella cieca e brutale realtà può sopravvivere la delicatezza del canto discreto e cortese di un uccello del paradiso saltato giù dai rami dipinti o sognati. Montalbano viene svegliato dal fischiettare di un garbato vagabondo che intona
Il cielo in una stanza, con «alberi infiniti», imponendosi sul fracasso di un temporale.
La filologia congetturale del commissario deve applicarsi al fondo torbido e malsano di esistenze nascoste e incarognite dal malamore, dagli abusi e dalle sopraffazioni, dalla crudeltà e dalla sordidezza, dalle ritorsioni e dai ricatti, dalla gelosia e dal rancore: non meno che dall’interesse. Il ragioniere Cosimo Barletta, sciupafemmine compulsivo e strozzino, è stato trovato morto: ucciso con modalità che a prima vista appaiono inesplicabili, e addirittura insensate. Montalbano indaga sui segreti impenetrabili di una famiglia e sui misteri di una comunità. Sui rapporti di sangue e quelli di affinità. Entra nei recessi e nei meandri di tante vite private. Fa i conti con sensazioni equivoche, desolazioni, e disperate tenerezze. Incontra figuranti di sofisticata semplicità o di apatica frigidezza. Va alla ricerca di un testamento annunciato e paventato, ma che forse non c’è. Montalbano ha davanti un muro di buio, dietro il quale avverte qualcosa di terribile che lo spaventa. Si lascia risucchiare da un abisso, lungo una linea di faglia che gli dà le vertigini. Confinato nella sua solitudine, sente con trepidazione che il momento della verità si approssima. Aguzza l’ingegno. Ma il suo sguardo è tutt’altro che spietato. Compassionevole, il commissario raccoglie dalla divina foresta di Rousseau il Doganiere l’eco ancora riascoltabile di una aerea nota. E, senza prurigini, ha rispetto per il vero pudore: per la nudità, alla fine, di chi non è innocente e non è del tutto colpevole. Chiude il caso tragico, pietosamente: con dolorosa malinconia. Non dà voti di condotta. Dal dramma
Hedda Gabler
di Ibsen ha imparato a sondare le psicologie controverse. E dal film
Il cattivo tenente
di Abel Ferrara ha appreso la forza della comprensione. Camilleri lascia che la sua scrittura pulsi di tutto un inventario di inquietudini letterarie e cinematografiche, e di atavici spaventi. Scrive un romanzo di solido impianto, su colpe che raggelano quanto il terrore gorgonico in una tragedia greca.
Salvatore Silvano Nigro