«Camilleri non è soltanto un mago delle trame. È un alchimista della lingua, un manipolatore di linguaggi, un inventore di forme»
Salvatore Silvano Nigro, Il Sole 24 Ore
«Figlio di Boccaccio e di Brancati insieme, Camilleri ha fatto della sessualità e dell’erotismo due straordinari grimaldelli con cui forzare le segrete della più riposta vita borghese»
Salvatore Ferlita, La Repubblica
Le storie raccolte in questo volume sono:
Il terremoto del ’38
Le somiglianze
L’asta
Le vichinghe volanti
I cacciatori
I fantasmi
In odore di santità
Il boccone del povero
Camilleri è un cantastorie, nessuno come lui riesce ad ammaliare i lettori con i suoi racconti, narrazioni inesauribili come quelle delle Mille e una notte.
Vigàta è il teatro dove abitano i suoi personaggi, borghesia benpensante, poveretti ingenui, uomini di rispetto. E soprattutto donne; in questa raccolta è infatti l’amore il tema dominante, declinato nelle sue innumerevoli varianti dalla passione all’erotismo, dal tradimento alle situazioni boccaccesche. E la lingua, quell’impasto unico e di prodigiosa invenzione, si adegua a una materia sensuale e traboccante di desiderio, una gioia di narrare che trapela da ogni pagina.
In queste storie, ambientate fra gli inizi del Novecento e il secondo dopoguerra - periodo storico fra i più congeniali a Camilleri - si ride e si piange, lo scherzo è spesso dietro il sipario, così come il dolore del tradimento, le dubbie paternità, vendette e burle. Nel racconto che dà il titolo alla raccolta quattro svedesi si esibiscono a Vigàta in un numero acrobatico ma la meglio borghesia della cittadina non vuole perdere l’occasione di conquistare le quattro «nordiche». Estasi o passione carnale? Che cosa agita la bella Matirda protagonista di In odore di santità? Un caso di coscienza per Padre Lino. Il terremoto del ’38 fa tremare Vigàta, ma a Palazzo Falconis, rimasto intatto, non tornano i conti del numero di donne che vi abitano. E poi fu un vero sisma? La ragazza più bella del paese viene messa all’incanto nell’Asta ma mentre le offerte salgono il battitore perde un colpo.
Letti, divani, e giacigli, sono ospitali a Vigàta. E contemplano ingorghi e soprassalti. La prodigalità è un ardore di istintiva e disfrenata voluttà. Si dipana come una corrente vitale a due fuochi: la passione gagliarda, che non si tiene ai limiti del ritegno; e la missione soccorrevole, da crocerossine che, per la società e la patria, e per il proprio piacere, esercitano le opere di bene come un darsi generoso secondo le esigenze ghiotte dell’«appetito» da soddisfare, del «boccone» prelibato, del «ristoro», e finanche del fervoroso «spolpamento». A Vigàta si acclimatano divinità pagane, santi, e creature circensi: una Venere di lago e un Apollo dormiente; uno splendore di ragazza, incline alle estasi, la quale, mentre dintorno preme il mistero del trascendente, corrompe e si corrompe con i propri aromi di purezza e la sua voglia di santità, compiacendosi dei sogni lascivi, illusoriamente tattili, che tra uno spandersi di afrori di peccato mettono in comunicazione notturna il letto suo e quello del proprio confessore; le quattro svedesi equilibriste, le vichinghe volanti che, avvenenti e fascinose, montano le loro roboanti motociclette come cavallerizze da circo.
Un’astuta e insolente provvidenza narrativa si prende gioco delle aspettative: imbroglia, sbroglia, imprevedibile alla fine; sbrigliata com’è, nel dare scacco matto. Un cacciatore sbadato non sa di essere cacciato da un cacciatore per diletto. Uno sgambetto è inevitabile. Come nel caso di un libertino, che ha una carriera non proprio riposata. Ha seminato corna dappertutto. Ma il capriccio della sorte lo ossessiona. Lo confonde. Lo disorienta. Gli infligge degli scherzi di natura, che sembrano offuscare la sua gloriosa carriera. Uno zio avido e di rara bassezza morale si illude di lucrare sulla verginità di una nipote rimasta orfana. Non ha fatto i conti con le burle di una fatalità per niente cieca, che dal mitico diavolo zoppo ha, fra l’altro, ereditato l’arte di sollevar coperchi; e di strappare le facciate alle case, le maschere, per svelare ciò che in esse si nasconde. Del resto, questa diabolica provvidenza mette in campo un terremoto. Spinge sulle scale i condomini di un palazzo. E si dà l’agio di svelare e intrecciare, nel generale andirivieni, di piano in piano, su e giù per i pianerottoli, le storie altrimenti segrete degli inquilini.
I racconti sono otto, scritti tutti in uno stato di felice e divertita creatività. Sono «seppiati» di una Vigàta d’epoca, ambientati tra il 1910 e la metà del secolo, quasi. E includono un’indagine del discreto commissario Bennici sulla cronaca di due fantasmi pittoreschi che avevano messo in subbuglio la giunta comunale, la cittadinanza, le testate regionali e quelle nazionali. Era l’inizio di un’infestazione?
Salvatore Silvano Nigro