Salvatore Ferlita, con Andrea Camilleri, ci guida
alla riscoperta dei talenti letterari siciliani del Novecento dimenticati.
Autori
siciliani che hanno fatto grande la letteratura italiana ed europea del
Novecento: Pirandello, Vittorini, Brancati, Tomasi di Lampedusa, Quasimodo,
Sciascia. Fin qui nulla di nuovo. Ma cosa accadrebbe se, accanto a questi nomi
noti, riaffiorassero quelli di alcuni autori sommersi, pubblicati, premiati,
stimati, eppure condannati all’oblio? Una nuova geografia e una nuova storia
della letteratura isolana del secolo scorso prenderebbero forma. Salvatore
Ferlita prende in esame la produzione di romanzieri come Angelo Fiore, Carmelo
Samonà, Romualdo Romano, Franco Enna, dei drammaturghi Ezio D’Errico e Mino
Blunda, e dei poeti Edoardo Cacciatore, Bartolo Cattafi, Angelo Maria Ripellino.
E ricerca le cause che stanno alla base della dimenticanza o del rifiuto.
Prefazione
Venti e passa anni fa un critico letterario
non siciliano tentò, con un articolo su un quotidiano del nord, di tracciare
una sua affettuosa mappa degli autori siciliani del Novecento, o meglio degli
autori italiani nati nell’Isola. Partito da Messina e tributato il doveroso
omaggio a Stefano D’Arrigo, proseguì per Catania scordandosi di Bartolo
Cattafi e qui arrivato innalzò due bandierine coi nomi di Brancati e Patti
dimenticandosi di Aniante; tra Caltanissetta ed Enna segnò una crocetta col
nome di Savarese ma omise di metterne almeno un’altra col nome di Francesco
Lanza. Peccati non tanto veniali, riscattati, torno a ripeterlo, da un senso
profondo di stima e considerazione che trapelava ad ogni rigo.
La mappa che invece da tempo va disegnando Salvatore Ferlita ha la nascosta (ma
poi non tanto) ambizione di proporsi come esaustiva.
Nel 2004 Ferlita ha pubblicato una raccolta di suoi scritti sulla letteratura
isolana contemporanea intitolata “Altri siciliani”. Basta sfogliare il
volume per spiegarsi subito il titolo. Nessun saggio è infatti dedicato ai
grandi nomi, da Sciascia a Bufalino, da Bonaviri a Consolo, a Ferlita
interessano appunto gli altri, quelli che stanno sorgendo all’orizzonte
letterario con forza, autorità e una fisionomia sempre più definita, oppure
gli apolidi come Riotta o i siciliani d’adozione come Alessandra Lavagnino (a
quest’ultima categoria si potrebbe aggiungere Luisa Adorno).
Coerentemente, per quanto riguarda la poesia, non ci sono i nomi di Quasimodo o
di Piccolo, ma quelli di De Vita, Isgrò e Maria Attanasio. Ma già nella sua
prefazione a quel libro Ferlita adopera, sia pure di sfuggita, la parola
“mappa”. Una mappa che l’autore sapeva allora ancora incompleta, perché
il territorio letterario siciliano è ricco di fiumi carsici, di fonti d’acqua
ora potabile ora amara nascoste da folte vegetazioni, da limpidi o limacciosi
laghetti resi invisibili da particolari conformazioni del terreno. Una mappa che
può essere disegnata solo da chi è animato da un’autentica passione e da una
necessità di conoscenza che non si lascia mettere fuori strada o ingannare dai
cartografi che l’hanno preceduto.
Questo nuovo libro invece s’intitola “I soliti ignoti” (come il famoso
film) e nel sottotitolo viene specificato che si tratta di saggi sulla
letteratura siciliana “sommersa” del novecento. Insomma, qui Ferlita svela
appieno il suo proposito: la sua mappa si arricchisce, ora intende indicare ai
cercatori di tesori le strade meno percorse, meno battute, le trazzere, i
viottoli che portano ad altre trovature per le quali è già di gran valore il
piacere stesso della scoperta.
Ma perché “sommersa”?
Va subito precisato che tra i quattordici autori che Ferlita prende in esame non
ce n’è uno che abbia dovuto patire eccessivamente per veder pubblicati i suoi
scritti o che non abbia ottenuto seri e ampi riconoscimenti. Faccio qualche
esempio. Angelo Fiore esordisce con un libro di racconti in una collana diretta
da Bilenchi e Luzi che certo non erano di gusto facile e in seguito vince il
prestigioso e ricco premio Marzotto. Romualdo Romano vince il premio Hemingway
col suo primo romanzo e viene stampato da Mondadori. Mino Blunda viene rivelato
dall’ambitissimo premio Pirandello e incoronato da una giuria di altissimo
prestigio.
“Principio sì giolivo ben conduce”, direbbe Sciascia citando Boiardo.
Invece principi tanto giolivi talvolta non conducono bene, anzi portano dritto
dritto a quelle sabbie mobili dentro le quali il malcapitato affonda lentamente,
ma implacabilmente. Fino a essere del tutto sommerso.
Perché?
I casi della sopravvenuta disattenzione a Fiume e ad Attardi si possono in un
certo senso spiegare anche se non giustificare: si tratta infatti di due artisti
di fama internazionale che hanno scritto ciascuno un solo libro, o poco più. Il
loro potente peso di maestri della pittura (ma sono stati anche scultori) ha
finito con lo schiacciare, col porre in ombra la loro unica escursione, sia pure
di tutto rispetto, nel campo della narrativa.
Ma gli altri?
Non
credo che ci sia nessuno in grado di spiegare per quali fatti, per quali
combinazioni, per quali circostanze uno scrittore abbia più fortuna di un altro
di pari valore. La bilancia che regola il successo di uno scrittore obbedisce a
imperscrutabili leggi proprie: certe volte basta un moscerino che si posa su un
piatto a farlo decisamente pendere, certe altre volte quello stesso piatto non
si muove neanche se ci si mette sopra una cattedrale.
Tra parentesi: mi sembrano del tutto campate in aria le certezze di alcuni
accademici e critici i quali pensano che un best seller si possa furbescamente
costruire in laboratorio. Vitale, che è stato a lungo presidente della più
grande casa editrice statunitense, diceva che romanzi ai quali avevano
pronosticato uno strepitoso successo venivano accolti con suprema indifferenza e
altri sui quali non avrebbero scommesso un centesimo ottenevano un consenso
vasto e inaspettato. Chiusa la parentesi.
Forse una spia per spiegare, almeno in parte, il perché della sommersione la si
può trovare negli aggettivi, nelle frasi che Ferlita adopera per quasi tutti
gli autori presi in esame. Mino Blunda è “sfuggente e appartato”, così
“geloso del suo eremitaggio esistenziale e topografico da risultare quasi
invisibile, evanescente”. Angelo Fiore è “schivo e appartato”. Anche
Samonà è definito “appartato”. Romualdo Romano sopraffatto dall’uggia e
dalla noia. Sebastiano Addamo che ha vissuto in “deliberato isolamento”.
Antonio Russello, “scrittore appartato” che “non fece mai nulla per
attirare su di sé l’attenzione degli altri”. Lo sdegno e l’orgoglio di
Edoardo Cacciatore e la sua difficoltà nell’istaurare rapporti. Bartolo
Cattafi, “inquieto sbirciante sconosciuto”, come il poeta disse di se
stesso. Ripellino, “una sorta di alieno”.
Bastano questi dati caratteriali a spiegare il fenomeno? Se non lo spiegano del
tutto, certamente hanno concorso a crearlo.
In questi nostri giorni nei quali sembra persino superata la battuta
shakespeariana che tutto il mondo è teatro e ogni uomo è attore, superata
perché oggi viviamo in un mondo che non sai più distinguere se sia reale o
virtuale, il dignitoso appartarsi, il pensoso silenzio, la non esibita e gridata
coscienza di sé, creano una cappa d’isolamento, d’invisibilità. Ma la
colpa (perché proprio di questo si tratta: di una colpa) della dimenticanza o
della disattenzione o della disaffezione o dell’esclusione non è certo di
questi autori, ma di quei critici e recensori ormai quasi tutti votati alla
ricerca frenetica della novità, pronti ad estasiarsi per il libro scandalistico
di una esordiente minorenne o per un romanzetto qualsiasi purché non italiano
ma che fa notizia.
Il libro di Salvatore Ferlita è quindi a un tempo una sorta di dovuto
risarcimento e un appassionato invito all’attenzione. Sono saggi critici acuti
e lucidi, che pilotano il lettore all’incontro con ogni autore con una guida
esperta ed affabile. Perché oltretutto Ferlita scrive in un modo che si fa
volentieri leggere, anche una considerazione complessa viene da lui dipanata con
la sicurezza e la leggerezza (nel senso di Calvino) di chi conosce profondamente
la materia che sta trattando.
Il
critico Ferlita ha due doni rari: quello dell’eleganza e quello della
chiarezza.
Andrea
Camilleri
(Questo testo è stato pubblicato su La Repubblica
dell'11 giugno 2005, col titolo La mappa degli scrittori siciliani dimenticati)
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