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La rivoluzione della luna



Autore Andrea Camilleri
Prezzo € 14,00
Pagine 280
Data di pubblicazione 7 marzo 2013
Editore Sellerio
Collana La memoria n.919
e-book € 9,99 (formato epub, protezione acs4)


Camilleri con questo romanzo rende omaggio alla donna, riconoscendole straordinarie doti di coraggio e intelligenza. E sembra quasi suggerire l’importanza di un suo ruolo centrale nella politica dove le eccezionali capacità possono tradursi in una concreta azione di cambiamento.

«Anche se solo per ventisette giorni, a partire dal 16 aprile 1677 la Sicilia vivrà l’esperienza di essere governata da una donna, la Viceregina donna Eleonora de Moura, vedova del Viceré Aniello de Gusman marchese di Castel Roderigo, il quale in punto di morte nomina suo successore la giovane moglie».
Questa la notizia storica nella quale Camilleri si è imbattuto, appassionandosi alla figura di donna Eleonora, che assolse al suo compito con eccezionali capacità e senso dello stato. Era una donna intelligente e indipendente e dei giorni in cui rimase alla guida della Sicilia approfittò per varare dei provvedimenti clamorosi: la riduzione del prezzo del pane, la creazione del magistrato del commercio, l’alleggerimento delle tasse per chi aveva una famiglia numerosa. Rivoluzionarie furono le misure a favore delle donne: rimise in piedi il conservatorio delle vergini pericolanti e quello delle «repentite», ex prostitute che volevano cambiare vita, creando anche una dote regia per le ragazze di famiglia povera che si sposavano. Un simile atteggiamento non poteva che scontrarsi con gli interessi locali e con il potere della Chiesa che sentiva minacciata la propria supremazia.
Ma il fatto storico è solo il punto di partenza per Camilleri che costruisce attorno alla figura della Viceregina un romanzo pieno di suspense. Ci ritroviamo così immersi nel clima della Palermo del 1676, città decimata dalla miseria e dalla carestia, teatro di feroci rivolte contro la corona. «Questo regno non riconosce né Dio né la Vostra Maestà, - aveva scritto il Viceré D’Ossuna al re di Spagna agli inizi del secolo - tutto si vende per denaro, comprese le vite e i beni del povero, e persino la Giustizia».
Così tra intrighi di palazzo, tentativi di delegittimare la Viceregina, delitti che si consumano nel parco della Favorita, passaggi segreti nel Palazzo Reale, tradimenti e corruzioni, si dipana il romanzo. Sono soprattutto i potenti feudatari, il vescovo della città e il Tribunale del Santo Uffizio a tramare, trovando alla fine un appiglio giuridico che segnerà la fine di quella brevissima stagione e costringendo il re di Spagna a richiamare in patria donna Eleonora. Con il suo allontanamento da Palermo, finisce quel momento rivoluzionario durato il tempo di un ciclo lunare.


Racconto veritiero di una storia solo in parte supposta, il romanzo cresce e concresce scortato dalla luna. Tutto era lecito allora, nel Seicento, a Palermo, fuorché ciò che era lecito. Dal ben sedere veniva il mal pensare. Vigeva una normale mostruosità di governo, ora fastosa ora miserrima. Lunghe erano le mani, corte le coscienze. Tra le pompe di un dovizioso apparato, con maggiordomi, paggi, maestri di casa e scacazzacarte, e in mezzo a uno strisciar di riverenze, di ludi e di motteggi, era tutto un rigirar di scale e porte: un far complotti, ordire attentati, muover coltelli e insanguinar le mani; violar le leggi, collezionar prebende, metter tangenti, dispensar favori e accudir parentele; abusare, predare e ladroneggiare, intorbidar le acque; industriarsi nel vizio, puttaneggiare e finger compassione e trepida carità per il sesso più giovane, e derelitto, mentre un’enfasi scenica e profanatoria provvedeva ai corrotti desideri con burlesques di tonache coi fessi aperti dietro e dinanzi. L’illegalità lavorava a pieno servizio. Era il predicato forte della politica del Sacro Regio Consiglio, e delle sue mosse proditorie, dapprima alle spalle di un Viceré che la malattia aveva reso tardo e lento, grave di carne tremolosa, dirupato e assopito sul suo carcassone; e poi contro la sua vedova, donna Eleonora di Mora, senza paragone diversa, lucidamente ferma e decisa nella difesa delle leggi e della giustizia sociale, da lui designata a sostituirlo in caso di morte improvvisa. Fu così che, nel 1677, la Sicilia ebbe un Viceré «anomalo». Un governatore donna.
Avvolta in una magnanima solitudine, confortata solo dal protomedico di corte con la sua casta corrispondenza di sentimenti pudichi, donna Eleonora era un bellissimo ritaglio di notte: neri aveva i capelli; nerissimi gli occhi, dai quali partivano bagliori neri, quasi lampi che balenando andavano. Dimostrava una freddezza, come di luna. E con il femminile pianeta condivise la durata della sua giusta «rivoluzione». La luna compie in quasi ventotto giorni il giro dello Zodiaco. E meno di un mese fu concesso alla Viceré per riparare alle indegnità di un governo, risollevare la condizione mortificata delle donne, calmierare il prezzo del pane, provvedere all’assistenza di chi pativa, riconoscere benefici alle famiglie numerose, riformare le maestranze. Ci volle una donna, per tanta normalità di governo. Contro di lei a nulla valsero le baroccherie di repertorio: l’accusa di complicità con il demonio, i procurati rigurgiti di un melodrammatico inferno di fantasmi in camicia da notte, le orde salmodianti dei fanatici aizzati dal vescovo.
Tra realtà storica e felice invenzione, il romanzo di Camilleri è ad alto tasso di allegrezza e di severo umorismo civile. Ed è anche un omaggio alla regalità della donna.

Salvatore Silvano Nigro


Capitolo primo
Il Viceré apre la seduta ma qualcun altro la chiude
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Capitolo terzo
Donna Eleonora diventa Viceré e conquista tutti con qualche eccezione

Il sigritario si susì, annò a pigliare la busta, la considerò con attenzioni e dissi:
«Fettivamenti ccà supra c’è scritto “da consegnare e da fare leggere subito al Sacro Regio Consiglio in caso di mia morte improvvisa”. Ci stanno macari il sigillo e la firma di don Angel. Che fazzo, lo rumpo il sigillo?».
«Certamenti» dissi il Gran Capitano.
Il sigritario ruppi il sigillo, raprì la busta, ne cavò un foglio, lo isò ’n aria ammostrannolo a tutti.
«È scritto dalla mano del Viciré» dissi.
«Avanti, avanti» fici ’mpazienti il viscovo.
Finalmenti il protonotaro si misi a leggiri.
 
Qui esprimo il mio volere ultimo, che rendo a Voi manifesto in pieno e chiaro senno e nell’esercizio dei poteri alla persona mia conferiti per grazia di Dio e di Sua Maestà il Re Carlo III di Spagna. In caso di mia morte improvvisa, la diletta mia sposa donna Eleonora di Mora,marchesa di Castel de Roderigo, dovrà accedere a pieno titolo alla carica di Viceré di Sicilia, con tutti gli onori e gli oneri, i doveri e i diritti a tal carica annessi, in attesa che la Sacra Persona di Sua Maestà Carlo III consenta a questo mio volere o in caso contrario invii altra persona da Lui scelta. Pertanto non vige la norma consueta che in assenza del Viceré sia il Gran Capitano di Giustizia ad assumerne la carica provvisoria. Questo è il mio volere e desidero che sia accolto e rispettato da tutti senza por tempo di mezzo.
Firmato: Il Viceré, don Angel de Guzmán, marchese di Castel de Roderigo
 

Il silenzio fu tali che si sintì persino ’na musca che volava vicino alla testa del protonotaro.
«Minchia!» fu la prima parola che lo ruppi.
Era stato il viscovo a dirla.
E subito appresso fu tutto un murmuriare, un parlottiare, un gesticoliare, un agitarisi con qualichi risateddra addivirtuta sparsa ccà e ddrà e subito assufficata.
Il principi di Ficarazzi si scotì dalla gran botta che l’aviva ’nzallanuto, storduto e mezzo assintomato, arriniscì faticosamenti a mittirisi addritta supra al troniceddro squasi per soprastari ancora chiossà a tutti l’autri e gridò:
«’Sto tistamento non ha nisciun valori!».
«E pirchì?» fici il viscovo. «È scritto di pugno dal Viciré e c’è macari tanto di sigillo!».
«Pirchì… pirchì...» fici il Gran Capitano che stava circanno alla dispirata ’na raggiuni qualisisiasi alle paroli che aviva ditto. Ma non cinni viniva una che fusse una ’n menti.
«Sintemo il pareri del protonotaro che la liggi l’accanosce bona» suggerì don Cono Giallombardo.
«Sintemolo! Sintemolo!» ficiro l’autri Consiglieri ’n coro e pigliannosi un potiri decisionali che non avivano.
Don Gerlando Musumarra si susì. A malgrado della scarsa luci, si vidiva che era pallito e prioccupato.
«C’è picca da diri. La liggi parla chiaro e non ammetti dubbio. Il voliri del Viciré è supremo e inoppugnabili sia che sia stato espresso a voci ’n prisenza di testimoni sia che sia stato scrivuto. Come in questo caso. E va applicato macari se tutto il Consiglio è contrario».
«Ma è il voliri di un morto!» vociò il Gran Capitano.
«A parti che per questo avrebbi maggior valori, ’sto voliri don Angel l’addichiarò, scrivennolo, quann’era ancora vivo» replicò friddo il protonotaro.
Il Gran Capitano, a malgrado che avvertiva a pelli che tutto il Consiglio gli era contro, non volli mollare l’osso.
«Ma la norma non può essiri cangiata dal Viciré, abbisogna che a farlo sia il Re stisso!».
«E ’nfatti la norma non è stata cangiata» replicò il protonotaro. «Tant’è vero che le dilibire fatte oggi sono state firmate da voi, signor principi, post mortem del Viciré. Quindi, doppo morto, il Viciré ha continuato, attraverso di voi, a manifistari il sò voliri. Se mittemo ’n discussioni il tistamento, dovemo di necessità mettiri ’n discussioni macari tutte le dilibire fatte stamatina dal Consiglio pirchì non portano la firma di don Angel».
Era un colpo vascio tirato dal protonotaro. Lassava accapire che se il tistamento viniva arrefutato, allura puro tutte le malifatte, i favori, i soprusi, l’anghirie che i Consiglieri avivano cangiato ’n liggi facenno finta che il Viciré era sulamenti sbinuto e no morto, arrischiavano di non arrivari a signo.
Per un momento, il principi di Ficarazzi sinni ristò muto. E il viscovo sinni approfittò.
«Pirchì non mittemo ai voti l’approvazioni del tistamento? » spiò facenno ’na facci di ’nnuccenti angiluzzo.
I Consiglieri pigliaro come la menta.
«Ai voti! Ai voti!» ficiro ’n coro.
Il Gran Capitano accapì d’aviri pirduto la partita. Tornò ad assittarisi supra al troniceddro.
«Fate come voliti».
«Chi riteni valido il tistamento isasse il vrazzo» dissi il protonotaro.
Cinco vrazza si isaro ’n aria. Il tistamento di don Angel era stato approvato.
Tutti allura si votaro a taliare a donna Eleonora che sinni era sempri ristata ferma e muta ’n mezzo al saloni.
«Fatemi posto» dissi lei arrivolta al principi, senza che nella sò voci ci fusse la minima ’mperiosità.
Ma il principi si scantò propio per quell’assenza di cumanno. La friddizza di quella fìmmina gli faciva aggilare il sangue. Calò la testa, scinnì dal troniceddro e sinni tornò al sò posto di Gran Capitano.
Donna Eleonora traversò il saloni sutta all’occhi affatati dei prisenti, si firmò davanti al trono vacanti del Re, calò la testa, si spostò, acchianò con grazia i tri scaluna, s’assittò supra al troniceddro, s’aggiustò il vistito e po’ a lento si livò il velo nìvuro scummigliannosi la facci.
A tutti di colpo ammancò il sciato.
Fu come se nella scurìa del saloni fusse comparso tutto ’nzemmula un punto di luci cchiù luminoso del soli che abbagliava accussì forti da fari lacrimiare l’occhi.
«Dáteme el signo de vuestra obediencia».
E macari stavota nisciun tono di cumanno, era ’na semprici, aducata, gentili richiesta di ’na fìmmina di granni nobirtà.
I Consiglieri, stracatafuttennosinni della gerarchia, scattaro tutti e sei addritta, compriso il Gran Capitano macari lui affatato, e correro squasi fusse ’na gara verso il troniceddro ammuttannosi e travaglianno di gomito, s’attrupparo ai pedi dei tri scaluna, s’agginocchiaro, portaro la mano dritta al cori, calaro la testa.
’N quel priciso momento a don Cono Giallombardo scappò di murmuriari:
«Beddra!».
«Beddra!» ficiro l’autri cinco Consiglieri.
«Beddra beddra!».
«Beddra beddra!» arripitero l’autri.
«Fìmmina di Paradiso!» fici don Cono.
«Fìmmina di Paradiso!» litaniaro l’autri.
Donna Eleonora ’nterruppi l’adorazioni.
«Tornate al vuestro posto».
S’allontanaro amalincori, con la testa votata verso di lei, come a chi devi lassare ’na fonti d’acqua avenno ancora siti.
Donna Eleonora parlò.
«Confirmo che no habrá ningun entierro de solemnidad y ninguna visita de condolencias. Il Sacro Regio Consiglio se reunirá pasado mañana a la misma hora de hoy. La sesión ha terminado».

(Brano pubblicato su La Stampa, 8.3.2013)


Un passo del romanzo è diventato il testo della canzone Donna Lionora, pubblicata nel disco di Ambrogio Sparagna e Mario Incudine La Bella Poesia



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