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Le pecore e il pastore



Autore Andrea Camilleri
Prezzo € 10,00
Pagine 140
Data di pubblicazione 15 marzo 2007
Editore Sellerio
Collana La memoria n.707
e-book € 6,99 (formato epub, protezione acs4)


La storia raccontata in questo libro si svolge tra due conventi, distanti appena un centinaio di chilometri, nel cuore della Sicilia. Uno è l’eremo a Santo Stefano di Quisquina, luogo dell’attentato nel 1945 contro Monsignor Peruzzo vescovo di Agrigento: due colpi di fucile sparati per uccidere. L’altro è il Monastero di Palma di Montechiaro, un luogo letterario noto a tutti i lettori del Gattopardo, di nobile tradizione - venne fondato dalla famiglia Tomasi, così come la città di Palma - abitato da suore Benedettine che vi vivono in strettissima clausura.



L'eremo della Quisquina


Monsignor Giovan Battista Peruzzo era un prelato molto amato. Piemontese, aveva capito la Sicilia meglio di tanti siciliani. Nel dopoguerra aveva appoggiato le rivendicazioni dei contadini schierandosi al loro fianco nell’occupazione delle terre e ordinato ai parroci di difendere i diritti dei poveri e dei lavoratori. Per lui il latifondo è “una struttura di peccato”; per questo non può piacere all’aristocrazia terriera e per questo va eliminato. Dunque sparano a Monsignor Peruzzo, una sera d’estate. L’arcivescovo si trova per un periodo di riposo all’eremo di Santo Stefano, nello splendido bosco, e sta facendo una passeggiata nell’ora più fresca. I colpi partono proprio dal convento, lo colpiscono al petto, è grave, sta per morire. La notizia si diffonde per tutta la regione e la gente si mette a pregare. E chi più delle monache del Monastero di Palma? Loro il vescovo lo amano e vogliono che Dio lo conservi. Per questo dieci di loro, le più giovani, offrono la loro vita al Signore in cambio di quella del loro pastore. Si lasciano morire di fame e di sete, si vanno spegnendo una dopo l’altra.



Mons. Giovan Battista Peruzzo


«Nessuna delle suore ebbe un ripensamento? Nessuna suora implorò, in extremis, di essere salvata? E in questo caso, come si comportarono le consorelle? Si tapparono le orecchie per non sentire quel flebile implorare? Uscirono dalle celle chiudendosi la porta alle spalle o tentarono un salvataggio oramai impossibile? Non lo sapremo mai».
Non è difficile capire perché Andrea Camilleri sia rimasto catturato da questa vicenda. Si è imbattuto nella notizia, ha fatto ricerche, ha ricostruito lo scenario. Una storia che sembra provenire dal Medioevo ma che è successa veramente e soltanto cinquant’anni fa, a pochi passi da casa nostra.


Risvolto di copertina
di Salvatore Silvano Nigro

Un atto di lettura è all'origine di questo giallo storico. La svagata curiosità dello scrittore viene attratta e irretita da un libro, dimesso e periferico in apparenza, e ritroso anche. Il libro vuole essere desiderato e corteggiato. È vessatorio. Lo scrittore si lascia sedurre. Agguanta il libro infine. E precipita nella lettura. Ma incespica. Inciampa in una nota a piè di pagina. In una di quelle notizie frettolose, quasi incidentali, che di solito vengono saltate senza rimorso. Il passo vulnerabile del lettore si arresta. La brevità della nota stenta a contenere l'immanità del fatto. Immobile come una scheggia insidiosa, la nota ferisce e dà i brividi. Disloca, fuor dello spazio continuo del libro, nel recondito e nell'asetticità erudita di un margine, l'irta e inconfessata convivenza della civiltà con il rito intensamente arcaico del sacrificio umano: con l'immolazione, con il suicidio per arsura di fede, con l'orrore. Recita la nota: «Nella lettera del 16 agosto 1956 l'Abadessa sr. Enrichetta Fanara del monastero benedettino di Palma Montechiaro così scriveva a Peruzzo: "Non sarebbe il caso di dirglielo, ma glielo diciamo per fargli ubbidienza [...] Quando V. E. ricevette quella fucilata e stava in fin di vita, questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvare la vita del pastore. Il Signore accettò l'offerta e il cambio: dieci monache, le più giovani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore"».
Il «pastore» delle giovani «pecore», che si lasciarono morire di fame e sete in una lunga e assistita agonia dentro le celle claustrali di un convento di antica e macerata santità (contro la quale a nulla valsero le «farfantarie» di un satanasso lapidatore ed epistolografo in diavolese, convocato dai rapimenti mistici), era il vescovo di Agrigento Giovanni Battista Peruzzo: il «vescovo dei contadini» che, in nome della giustizia sociale, e a dispetto del professato anticomunismo, aveva messo il suo carisma e la sua possente eloquenza al servizio dei deboli e degli abbandonati: contro gli agrari; e contro quella «struttura di peccato», che era il latifondo incolto. Immancabilmente due proiettili ferirono a morte il vescovo. Era una sera d'estate del 1945. Dieci monache offrirono le loro vite a Dio. Il vescovo sopravvisse al baratto. Mentre dieci cadaveri si dissolvevano nel silenzio di una strage dimenticata. Solo a distanza di undici anni, Peruzzo venne messo a parte del segreto.
Dalla nota a piè di pagina, Camilleri risale la storia. Insegue piste labili o cancellate. Conduce un'indagine sofferta e tormentosa. Interroga fonti storiche e documenti letterari. Entra nei turbamenti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che dai fondatori del monastero di Palma di Montechiaro discendeva. Mette in campo se stesso, con i suoi ricordi giovanili. Interroga e si interroga, sgomento, sul passato e sul presente. Intreccia cielo e terra. Il saggio narrativo include tempi lontani. E topografie. Montagne sassose, romitori, luoghi ostili e impervi. Gli spazi fisici si trasformano in archetipi geometrici. Dalla selva oscura, aspra e solitaria, al convento: dagli aliti di sepolcro degli essiccatoi per mummie, ai tanfi cerosi; dalla vischiosità della natura, a quella della storia: tra banditismo, separatismo, e connivenze malavitose. La temperatura della scrittura cambia gradazione. Si accende nel seppiato delle rievocazioni. Si stempera nel bianco e nero dell'inchiesta.



Last modified Sunday, October, 27, 2013