Un romanzo ambientato in Sicilia ai tempi nostri, tutto improntato sull’importanza positiva e negativa che può avere oggi l’informazione e come possa in qualche modo influire notevolmente su certe situazioni.
Con questo racconto, intitolato in spagnolo
La muerte de Amalia Sacerdote, Andrea Camilleri ha vinto il Secondo Premio Internacional de Novela Negra RBA:
dichiarazioni di Andrea
Camilleri /
dossier di stampa
La vicenda ruota attorno alla redazione della RAI siciliana. Il direttore, Michele Caruso, tralascia di dare la notizia dell’avviso
di garanzia a Manlio Caputo, figlio del leader della sinistra siciliana, accusato dell’omicidio della sua fidanzata, Amalia Sacerdote,
anche lei un cognome importante perché suo padre è il segretario generale dell’Assemblea Regionale Siciliana. La ragazza è stata
trovata morta a casa sua con il cranio fracassato da un pesante portacenere e quel cadavere crea non pochi problemi, per le rivalità
politiche dei genitori dei due giovani e per le evidenti connessioni con i poteri economico, giudiziario, giornalistico e politico dell’isola,
una rete così solida - rizzaglio è una rete a forma di campana - cui è difficile sfuggire perché i piombini che girano tutt’intorno la portano
a fondo e poi una corda la serra e dentro ci restano i pesci, “i pesci cchiù stùpiti o i cchiù lenti, naturalmente, pirchì quelli cchiù sperti,
videnno la riti calare, si scansano ‘n tempo”.
Per la storia, come spesso gli capita, l'Autore si è ispirato a un fatto reale: il "delitto di Garlasco".
Non può esserci posto per un commissario alla Montalbano nella Palermo di questo romanzo. Montalbano è, qui e ora, un’icona proverbiale
distratta nei paesaggi remoti della giubilazione. Viene evocato, ma solo a sproposito. «Non è che ora ti devi mettiri a fari il commissario
Montalbano», si dice; e l’iperbole è riservata alla vocazione investigativa di una segretaria, che è una «vera e propra minera di sparlerie,
curtigliarate, maledicenze». Il romanzo si colloca nelle vicinanze della cronaca più recente. E dà una rappresentazione storicamente
ravvicinata del generale insordidamento politico: delle occulte geometrie e delle segrete intese fra poteri forti trasversali alle colorazioni
stinte dei partiti; degli strusciamenti della corruzione; delle collusioni mafiose; dei vari gradi di perversione del linguaggio velato o atteggiato,
elusivo o reticente, ossequioso o intimidatorio. Le apparenze abbagliano. Ed è sconsigliato denudare le parole e interpretare i fatti.
L’impermeabilità della politica irradia di sé le carriere, nelle aziende pubbliche, e i passaggi dei pacchetti azionari nella Banca dell’Isola;
e persino le alcove: le fedeltà e le infedeltà coniugali; l’amor costante e le passioni tattiche. La giostra, che la politica fa intorno al cadavere
di una studentessa assassinata e al fidanzato raggiunto da un avviso di garanzia, viene seguita, e assecondata, dal direttore del telegiornale
isolano. Anche gli innocenti, che credono di star fuori o ai margini della trama, e sanno come «cataminarisi», hanno le loro tare e qualche
inaspettato tornaconto nel romanzo. L’ingarbugliamento della vicenda, il labirintico concrescere della trama, annoda e invischia tutti; e
impedisce che si arrivi a decifrare il calcolo ordinato dietro l’apparente contraddittorietà dei particolari, e a riconoscere quell’istanza di
superiore controllo che nulla ha lasciato al caso. Qualcuno, in alto, ha lanciato il rezzàglio, la rete da pesca. E ha tirato su il bottino
che gli premeva. «Ittari nna rizzagghiata», dicono i vecchi dizionari fraseologici del dialetto siciliano, significa «non lasciar uscir
di mano nulla, né perdere occasione alcuna di qual si voglia poca importanza ch’ella si sia». La verità è confezionabile, come qualsiasi
menzogna. La verità autentica trova spazio solo nell’utopia fantascientifica della letteratura. Nell’ipotesi di un soggetto cinematografico,
per un possibile film da intitolare Girotondo attorno a un cadavere. L’autore del «soggetto» è però un «fituso» informatore, capace
d’inventare romanzi sull’attualità, per poi spacciarli come «verità di vangelo». E pretende, addirittura, di vendere le sue fantasie all’artefice
mafioso della «rizzagliata» politica. Il «fituso » scompare nella notte. Tocca a Camilleri riscattare il soggetto romanzesco, gettare a spaglio
la propria rete, e fare la Rizzagliata: il romanzo suo più nero, che ora esce in Italia, dopo il successo raccolto in Spagna con il titolo
La muerte de Amalia Sacerdote.
Salvatore Silvano Nigro
«Assolutamente no!» sclamò Michele Caruso, il direttore.
«Vorrei chiarirti...» insistì Alfio Smecca, redattore capo e conduttore del notiziario regionale di prima serata.
«Non hai niente da chiarirmi, Alfio».
«Ma è ’na pura e semplici notizia di cronaca, Michè!».
«Quanto sei ’nnuccintuzzo, Alfiù! Tiè, mozzica il ditino!».
«Non capisco, Michè».
«Ma come, avrebbero mandato un avviso di garanzia al figlio dell’onorevole Caputo e tu me la chiami ’na pura e semplici notizia di cronaca?».
«Pirchì, non lo è ’na notizia di cronaca?».
«Certo che lo è! Ma sto sforzannomi di farti capire che non è né pura né semplici! E tu lo sai benissimo! Perciò la conclusione è che ti sei completamenti rincoglionito».
«Ti faccio notare che stai esercitando una censura assolutamente indebita. Non solo buchi una notizia, ma ci fai perdere uno scoop dato che noi siamo i primi a sapere che...».
«Ti metti a parlari in taliàno, ora? Mi voglio perdere lo scoop, va bene? La notizia la passo, non la censuro, ma nell’ultimo notiziario». «Dopo che l’hanno data gli altri? “Telepanormus”, per esempio?». «E figurati che scanto! Noi siamo la Rai, Alfio!».
«Ma tu lo sai il bacino di “Telepanormus”? Tutta la Sicilia occidentale piglia!».
«Basta così, Alfio, non parliamone più».
«Ti faccio notare...».
«E finiscila con ’sta camurria di ti faccio notare!».
«...che tutta l’Italia si è interessata all’omicidio della zita del figlio dell’onorevole! Da quinnici jorni non facciamo altro che parlarne macari noi! E i funerali e lo zito che piange e la matre di lei che non vuole vidiri allo zito mentre il patre se l’abbrazza... E ora che mannano l’avviso di garanzia allo zito...».
«Ma è vera ’sta storia dell’avviso?».
«E io lo dirò che è ’na voci non confermata, vabbene? Stai tranquillo! Lo dirò e lo ripeterò in testa, in mezzo e in coda! Non confermata, non confermata e non confermata!».
«Alfio, niente hanno in mano contro a Manlio Caputo. Cerca di capirlo. Un cazzo di nenti. Indizi, minchiate. Ti pare che non l’ho seguita, ’sta storia? Po’ lo lassano libero, arrestano al solito albanisi e a noi, che abbiamo fatto lo scoop, l’onorevole Caputo ci fa un culo tanto. Con tutti i sagramenti, ce lo fa, dato che noi siamo la televisione di Stato!».
«E che significa?».
«Non lo sai ancora doppo un anno che travagli qua? Che prima di dari ’na notizia ci dovemo pinsari quattro volte».
E dato che l’altro faciva la facci offisa, isò la voci.
«Alfiù, te lo sei scordato che se sei arrivato indove sei arrivato, è tutto per merito di questo busto?».
«Non me lo potrei scordare macari pirchì tu provvedi ad arricordarmelo a ogni momento».
«Senti, te lo dico in tutta amicizia: non mi piace per niente il tono che adoperi».
«E manco quello che adoperi tu. Scusami, ma ora devo andare in trasmissione» fici Smecca susennosi.
«Va bene, finiamola qua. Siamo d’accordo, chiaro? La notizia del figlio dell’onorevole Caputo, tu non la dai».
Smecca non arrispunnì e niscì lassanno aperta la porta dell’ufficio. Ma che gli pigliava, ad Alfio? Chiossà di un anno che l’aviva fatto promuovere e mai ’na discussioni, un contrasto tra loro dù. Lui diciva e Alfio faciva. Sempri d’amuri e d’accordo. Inveci, da tri jorni, con lui non ci si potiva cchiù arraggiunari. O meglio, era pronto a controbattere ogni cosa che gli diciva, a dissentire, a dichiarare che la pinsava diverso. Era completamente cangiato. Forsi che aviva guai con qualichi collega? Gli stavano facenno pressioni? Opuro aviva scoperto qualichi cosa? A quest’ultima supposizione s’allarmò per davero.
«Cate!».
Caterina Longano, la sigritaria, era ’na cinquantina grassa e sudatizza, nubile con matre a carrico, bravissima a fari il misteri sò e si diciva che in gioventù s’era passata tutt’intera la redazione del giornale radio, indove allura travagliava, fattorini compresi. Ma era ’na vera e propia minera di sparlerie, curtigliarate, maledicenze. «Mi dica, direttore».
«Trasi, chiui la porta e assettati».
Caterina eseguì.
«Senti, da qualichi jorno Alfio mi pari nirbùso. L’hai notato macari tu? Sai per caso che ha? Problemi in redazione?».
«’Nzè» fici Caterina.
«Ce l’ha con me?».
«’Nzè».
Tirò un sospiro di sollievo facenno in modo che la sigritaria non se ne addunasse.
«E allura?».
«Curri ’na vuci».
«Cate, che devo adoperari, le tinaglie?».
«Curri la vuci, ma non so quanto vera, abbadasse, che Alfio sarebbi vinuto a sapiri che Giuditta...».
E con la mano dritta fici il gesto delle corna.
Michele arriniscì a stento a controllarisi. Per picca non era satato dalla seggia. Si sintì assumare ’na striscia di sudore sutta al naso. Ma come?
Con Giuditta, da un anno che durava la loro storia, avivano sempri pigliato tutte le precauzioni possibili e immaginabili. L’ultima volta che aviva spiduto ad Alfio per una simanata in Libia per ’na mmerdata d’inchiesta sui nipoti dei vecchi viddrani che erano annati ai tempi del fascismo nella «quarta sponda», Giuditta si era trasferita in pieno inverno nella casa di campagna di sò patre in una zona lupigna e persa delle Madonie, che lui ci mittiva tri ore di machina per arrivarci, stari dù orate con lei e tornarisinni ’n Palermo alle quattro del matino.
E quanno la chiamava col cellulare dall’ufficio, stava attento ad aviri davanti il televisore per essiri certo che Alfio sinni stava bloccato in studio a leggiri il notiziario.
E allura come erano arrinisciuti a scoprirlo?
(Incipit pubblicato su La Stampa il 14 ottobre 2009)