In memoria di Franco Mannino
L'ultima volta che l'ho incontrato di persona è stata al Teatro Argentina di Roma. Giovanile, entusiasta, vulcanico, espansivo come sempre. In quell'occasione mi chiese se volevo scrivere la prefazione a un suo libro. Accettai di slancio, la scrissi, gliela inviai. Mi telefonò per ringraziarmi,
"Ma perché non mi dà del tu?" - mi chiese per l'ennesima volta.
"Perché non posso. Continuerò a chiamarla Maestro e a darle del lei per rispetto. Lei è stato veramente il mio Maestro".
Ero sincero. Un giorno di tantissimi anni fa, Mannino, che non conoscevo se non di fama, mi telefonò per domandarmi se volevo fare una regia lirica al teatro Donizetti di Bergamo nell'ambito del "Festival delle novità" che il sovraintendente Bindo Missiroli da qualche anno organizzava.
Rimasi assolutamente stupefatto.
"Guardi, Maestro Mannino, che non ho mai fatto una regia lirica".
"Lo so, ma questa, che io dirigerò, mi sembra un'opera particolarmente adatta a lei. Ho visto delle sue regie teatrali".
Mi spiegò che si trattava di una novità del Maestro Arturo Sangiorgi, catanese, tratta da una famosa commedia di Nino Martoglio, "San Giovanni decollato", portata al successo da Angelo Musco.
Tentai un'ultima resistenza.
"Guardi che io non capisco assolutamente niente di musica".
"Davvero? Che musica le piace?"
"Il Jazz".
"Allora siamo a posto. Non si preoccupi, le spiegherò tutto".
Fu di parola. Molto tempo prima che cominciassero le prove a Bergamo, prendemmo l'abitudine di vederci a casa sua almeno tre volte a settimana. Lui si sedeva al pianoforte e mi suonava l'opera che avrei dovuto mettere in scena. Mi spiegava il senso e il significato musicale di certi passaggi, del perché e del percome di una certa sequenza di note e di suoni, dato che la musica di Sangiorgi era seriale. A poco a poco, di giorno in giorno, mi fece entrare in un mondo sconosciuto che m'affascinò. Fu veramente il mio Maestro di musica. E mi capitò, quando non andavo a casa sua, di ripassarmi le sue lezioni, di mettermi a sentire, seduto sulla mia poltrona, della musica classica dalla filodiffusione e finalmente credere di capirci qualcosa grazie a quello che mi andava spiegando, con infinita pazienza per la mia ottusità, Franco Mannino, il mio Maestro privato.
A Bergamo, durante le prova, grazie alla sua guida, tutto andò alla perfezione. E lo spettacolo ebbe un certo successo di critica.
Quando tornai a Roma, le sue lezioni private cominciarono a mancarmi. Sicché accettai con gioia una sua proposta di scrivere un libretto in un atto della sua musica. Voglio sottolineare che allora io non ero uno scrittore e infatti, quando gli domandai ragione di questa sua richiesta, la stupefacente risposta fu:
"Ma io ho letto le sue poesie!"
Che uomo aperto! Di quale piacere e gusto di conoscenza infinita era capace!
"Va bene, Maestro, ma a una condizione: che lei mi faccia assistere a qualcuno di quei momenti nel quale lei si dedicherà alla composizione". Accettò. Io trassi il libretto, si intitolava "Il quadro delle meraviglie", da Cervantes. A Mannino piacque. E io assistetti, in alcune ore veramente magiche, alla sua nascita musicale. Con un'emozione profonda, irripetibile. Mi introdusse così con eleganza, con grazia, con signorilità, nel suo mondo più segreto, quello dal quale nasceva la sua musica.
Bindo Missiroli in seguito mi offrì altre regie liriche, una, ricordo, all'Arena di Verona, ma io, saputo che a dirigere le opere non sarebbe stato Franco Mannino, rifiutai senza alcuna esitazione.
Privo del mio chaperon ero incapace di muovermi in quel mondo. Senza di lui, in quel mondo, mi sarei sentito completamente estraneo. E così terminò la mia carriera di regista di opere liriche.
Ma quando, moltissimi anni dopo, terminai di scrivere "Il birraio di Preston", mi domandai: senza l'insegnamento di Franco Mannino sarei stato capace di scriverlo? Grazie, Maestro.
Andrea Camilleri
(Scritto per l'Omaggio a Franco Mannino reso in occasione dell'inaugurazione del
Premio Valentino Bucchi 2005,
Roma, 6-22 novembre 2005)
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