Quando Adele uscì, restò immobile, le narici allargate al massimo, a cogliere
il lieve sciauro della sua pelle che ancora si sentiva nello studio
Nel corso della sua lunga, irreprensibile carriera, un alto funzionario di banca ha ricevuto tre lettere anonime.
Adesso, nel primo giorno della sua nuova vita da pensionato, le ha allineate davanti a sé. Le prime due sono vecchie di decenni, l'ultima è recente e insinua dubbi sulla fedeltà della sua giovane e bellissima seconda moglie, Adele.
È lei, Adele, la protagonista di questo romanzo: una splendida femme fatale che ama indossare, in alcune particolari circostanze, un castigato tailleur grigio. Un vestito che assume un profondo significato simbolico. Un significato che forse sarebbe molto meglio non conoscere mai...
La letteratura di Camilleri è ricchissima di figure femminili, sempre seguite con una partecipazione amorevole, una sorta d'indulgente, quasi sorniona, profonda adesione alle loro carnali debolezze, una incuriosita attenzione all'attimo del cedimento, quando i freni inibitori si allentano per passione, per vendetta, per un semplice capriccio; per un attimo o per sempre; per malizia, per calcolo o per esplosione dei sensi.
Pochi scrittori come Camilleri hanno saputo seguire il ritmo del corpo e il battito dell'anima femminile. In queste pagine del più "francese" dei suoi romanzi, in questa affascinante, temibile Adele accarezzata dalla scrittura come da mani appassionate e al tempo stesso intimorite, si sentono echi di Maupassant, del Pierre Louÿs di La donna e il burattino e di tutti i classici della letteratura e del noir che ci hanno fatto sognare su certe dark ladies tanto incantevoli da amare
nella finzione quanto pericolose da incontrare nella realtà.
Il bacio della donna-deserto
(Anteprima pubblicata su La Stampa, 22.2.2008)
Nel dormiveglia, avvertì che qualcosa gli si era posato sulla fronte. E doppo arriconoscì le labbra di Adele. Allora non volle raprire l’occhi. Sua mogliere da un pezzo aveva perso l’abitudine di vasarlo. Una volta, prima di nesciri da casa o quando tornava, lo faciva sempre, non mancava mai. Nenti di particolarmente affettuoso, solo una forma di amichevole saluto. Doppo, non aveva manco fatto più questo. Appresso capì che lei era nisciuta dalla cammara senza fare la minima rumorata per non arrisbigliarlo.
Doppo tanticchia sentì che era tornata.
Allora raprì l’occhi.
Adele sinni stava addritta in mezzo alla cammara, immobile, e lo taliava. Appena vide che si era arrisbigliato non disse nenti, currì verso di lui, s’agginocchiò e posò una guancia sul dorso della sua mano.
Che le stava capitando, a sua mogliere? Era possibile che, a forza d’innaffiare, nel deserto fosse spuntato un germoglio nico nico? In quel momento trasì Daniele e a vederli accussì si fermò imparpagliato. Macari Adele lo vitti, ma non si cataminò dalla sua posizione.
Fu lui a parlare per primo.
«Come va, Daniele?».
Il picciotto s’arripigliò dallo stupore.
«Come va a lei, zio, piuttosto! Che grande gioia rivederla a casa! Spero che si trovi bene nella mia ex camera».
«E tu nella mia».
«Zia, ti volevo avvertire che mangio alla mensa».
Lei sollevò tanticchia la testa.
«Va bene, Daniele. Ciao».
E riappuiò la guancia sulla mano di lui.
«Così stai scomoda».
«Lasciami stare ancora un poco».
Gli viniva d’arridiri. Ma quale germoglio e germoglio! Il deserto sempre sterile restava!
Aveva capito lo scopo della rappresentazione. Pirchì di questo si era trattato, di una rappresentazione destinata a un unico spettatore: Daniele. Lei, quando era nisciuta dalla cammara doppo averlo vasato, doveva aver sentito che il picciotto stava venendo nel suo appartamento ed era rientrata subito per recitare la parte della mogliere preoccupata, devota e amurusa. Era macari una giustificazione per l’allontanamento dell’amante: ora che mio marito è malato, gli stava in sostanza dicendo, ognuno deve rientrare nel proprio ruolo, senza sgarrare.
Almeno, per quella simanata che lui sarebbe rimasto in casa.
«Perché mi hai spostato qua?».
«Perché qua è più comodo».
«Per fare cosa è più comodo?».
«Se di notte ti occorre qualcosa, io sono a due passi» fece lei susennosi. «Mi chiami e vengo. [...] Vuoi mangiare a letto o te la senti di scendere?».
«Se devo dirti la verità, non me la sento di mangiare.» «E invece devi sforzarti. De Caro non mi ha raccomandato altro. Ti ho fatto preparare un brodino con dentro un uovo. Che vuoi fare?». «Vengo giù».
«Bene. Allora resta ancora un poco a riposarti. Tra un quarto d’ora arriva l’infermiera».
E sinni niscì.
Doppo tanticchia sentì la sua voce. Stava telefonando dall’apparecchio che c’era sul comodino della cammara da letto. Che strammo! A malgrado che in mezzo ci fosse la cammaretta nella quale, per un certo periodo, Adele l’aveva fatto dormire da solo con la scusa che russava, ad appizzare bene le orecchie si distingueva macari qualche parola. «... spostare l’orario... non posso... mio marito... d’accordo... cerca di capirmi...».
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