Quella
che segue è la trascrizione della registrazione video realizzata il 20
febbraio 2004 al Teatro Valle di Roma, in occasione dell'incontro col Sommo e
con Francesco Guccini per la presentazione del libro di Francesco Guccini
"Cittanòva Blues".
Non è stato facile! Ho cercato di riportare il più fedelmente possibile i
discorsi fatti in quella sede così proprio come si sentono dal video. E
quindi a volte potrà sembrare che il filo del discorso si perda. Perché le
intonazioni, le espressioni, le pause, gli applausi, le risate, purtroppo non
potranno essere assaporate. Non è stato facile specialmente per le cose dette
da Guccini che parla velocissimo, con accento modenese e con la erre
"moscia" ...
Linda
Andrea
Camilleri Volevo dirvi che mi sono preparato e che non è una
presentazione, perché una presentazione assume un'aria da chissàchè. Mi
piace, invece, dire quello che penso di Guccini e poi parlare con lui.
Raccontava Ennio Flaiano che una volta passando davanti alla vetrina di una
libreria vide un libro, il cui titolo lo incuriosì enormemente. Il titolo,
che attraverso la sua miopia riuscì a leggere, era: "Il comportamento
sessuale della nonna". Allora, entrò di corsa in libreria, ma portato il
libro all'altezza degli occhi, oh! delusione! era: "Il comportamento
sessuale della donna". Quanto di più normale... [risate, NdT]
Questo, lo cito, perché anche a me capitò qualche cosa di simile con Guccini.
Cioè a dire: passando, verso l'89 credo, davanti alla vetrina di una libreria
la mia miopia mi fece leggere: "Cronache epifaniche", il titolo di
un libro di Guccini. E conoscendo le sue origini montanare, pensai che erano
raccontini sulla befana. Raccontati attorno al fuoco mentre sull'Appennino
tosco-emiliano, come di dovere, nevica [risate].
Sennonché entrato in libreria e preso il libro, mi resi conto che il titolo
giusto era: "Croniche Epafaniche". Allora mi capitò a rovescio di
quello che capitò a Flaiano. Cioè fui incuriosito dal titolo e cominciai ad
aprirlo e a leggerlo, a sfogliarlo come si fa in libreria. Mi dovete credere,
raramente capita un'emozione di questo tipo con un libro. Cioè, ebbi
l'impressione di aver trovato un consanguineo, un fratello, una agnizione,
come si dice nel teatro classico. Un ritrovamento, toh! Guarda... questo
scrive come vorrei scrivere io, e come in parte riesco a fare [applausi].
Tornai a casa e lo lessi. Talmente consanguineo che, quando, circa quattro
anni dopo, apparve un altro suo libro, "Vacca d'un cane"... io dissi
al libro, dopo averlo letto: ma lo sai che ti trovo meglio dell'ultima volta
che ci siamo visti? Era proprio lì, di casa, tranquillo.. [risate]
Allora, potrei dire che il risvolto di copertina, o bandella, di questo libro
(non so chi l'abbia scritto) è esaustivo. Cioè a dire: c'è dentro tutto
quello che... quindi, io, potrei limitarmi a citarlo, leggervelo, ringraziarvi
e andarmene, perché c'è tutto quello che io volevo dire. E allora? Se uno lo
ha già detto perché lo devi ripetere tu? Come fanno certi recensori
letterari... [applausi]
Però ci sono due punti sui quali non sono d'accordo. Dice la bandella che
questo libro è il compimento di una trilogia, cioè a dire, il terzo volume
dei primi due che vi ho già citato. Bene! Per me non è un complimento. Per
me è una sezione di work in progress, un segmento di un fatto lineare che è
come Guccini, cioè come quelle cose che lui racconta, che è la vita stessa,
alcune annotazioni su alcuni momenti della mia esistenza, e siccome è vivo e
vegeto [risate] io penso, presumo, che altri percorsi ancora, altri
segmenti, si aggiungeranno.
Vorrei dire due parole, fare una sorta di foglietto di istruzioni per l'uso.
Sapete che si trovano dovunque le istruzioni per l'uso, in genere sono scritte
in giapponese o in arabo e, quindi, sono assolutamente incomprensibili [risate].
Vorrei dire alcune istruzioni per l'uso, per come leggere Guccini, per come io
lo leggo!
Dunque, devo premettere che il mio dialetto... la mia lingua italiana (il mio
dialetto è il siciliano)... la mia lingua italiana è una lingua
"impicciata" cioè a dire studiata a scuola. Solo i maledetti
toscani mi pare che nascano già 'mparati, come si dice a Roma [risate].
E da noi, in Sicilia, c'è un proverbio contadino che è splendido dice:
"lu 'taliano si impara cu lu culu" [risate]... cioè a dire:
l'italiano si impara a forza di botte sul sedere. Perché altrimenti non
riesci.
Allora diciamo che la lingua di base mia è il dialetto, io ho continuato per
anni a pensare in dialetto e tradurre malamente in italiano. Certe volte lo
faccio ancora oggi. Certe volte nei miei romanzi faccio parlare il milanese,
il genovese, ma questo non significa che io quei dialetti li capisca o li
parli, quindi voglio dire che la mia esperienza di scrittore non ha nulla a
che fare con l'esperienza di lettore. Mi metto alla pari di qualsiasi altro
lettore. Però tutto questo discorso sul dialetto, forse, vi farà pensare che
Guccini è uno scrittore dialettale, e qui casca l'asino. Non è uno scrittore
dialettale! Detto questo qualcuno potrà anche picchiarmi, ma le cose stanno
così! Guccini scrive un suo impasto che è fatto di dialetto, certo, base, ma
di italiano, certo... Ma di italiano anche coltissimo! E certe volte giocando
anche su un certo italiano colto e raffinato. Ma perché l'uso del dialetto?
Non siamo solo noi due che scriviamo in dialetto, abbiamo avuto un fratello,
appunto, morto precocemente che era Sergio Atzeni per esempio, sardo... Ma,
perché il dialetto? Proprio l'altra sera, m'è capitato in televisione di
vedere, e continuo a vederlo tutte le sere, quel lunghissimo film, altrettanto
bello, che è "Heimat" di Reitz. Arrivato ad un certo punto uno dei
personaggi dice all'altro: io quando non parlo in dialetto mi pare di tradire.
Che è bellissimo! E che è anche vero! Qui per noi però, per noi quando
scriviamo, non si tratta di mentire usando la lima, quanto rischiare di
omettere... rischiare di non riuscire compiutamente a dire quello che avevamo
dentro e che volevamo dire, questo è il nostro rischio. Insomma! Ricordate
Montale quando chiede: la parola che squadri da ogni lato. Bene, la
"parola che squadri da ogni lato" per noi è una parola dialettale,
non una parola in lingua.
Allora! Sapevo fin dall'inizio che la scrittura di Guccini mi avrebbe creato
una qualche difficoltà, però avevo avuto a che fare con i miei lettori che
si erano trovati in eguale difficoltà. E uno, un giorno mi disse: ma sa, io
penso che sia deleterio cercare di capire parola per parola. Capire il
contesto, questo sì. E poi, cercare di capire, ma dopo che si è capito la
frase, il tutto. Bene io ho seguito quel consiglio, non ho cercato di capire
le parole, che non capivo sul momento... andavo avanti, e quando finalmente
tutto, un periodo, una frase, una pagina mi era chiaro tornavo indietro. Perché
questo libro di Guccini è, tra l'altro, un libro così divertente che uno può
permettersi il lusso di tornare indietro e rileggere la pagina immediatamente
dopo aver finito. Vedete, Guccini è così gentile che alla fine mette un
glossario. Il glossario non leggetelo MAI...[risate] mentre state
leggendo il libro, perché è una distrazione. Leggetelo alla fine e nel 99%
dei casi non avrete conferma di ciò che avete cercato di capire, il che è
bellissimo perché allora vi andate a rileggere quella frase mettendola nella
giusta luce... Io mi ricordo che ho fatto solo una volta il glossario, perché
Livio Garzanti me lo chiese fermamente. E quando regalai il libro, che era
"Un filo di fumo", al SOMMO (e lo dico senza nessuna ironia) vero,
autentico: Stefano D'Arrigo, autore di "Horcynus Orca"... Stefano mi
disse: ma come, hai fatto il glossario?! E non mi rivolse più la parola per
circa due mesi [risate].
Io mi sono abbandonato, completamente a questa sorta di onda lunga di questa
scrittura, e, lentamente, ho cominciato a consonare con questa scrittura,
proprio ci stavo dentro. Questa scrittura mi faceva ridere, ma ridere di
cuore. Per esempio... ci sono delle descrizioni di oggetti, in Guccini,
strepitose. Sono tre pagine di descrizione della prima e unica chitarra
elettrica da lui avuta che è una cosa favolosa. Oppure la Cinquecento Abarth,
sono pagine esemplari di ironia e di divertimento.
Oppure mi sono commosso, ma mi sono commosso più che per i fatti raccontati
per il pudore che c'era dietro quei fatti, per come la scrittura riusciva ad
essere pudica, ferma... quando avrebbe potuto benissimo abbandonarsi alla
commozione e non lo faceva. E poi ci fu un'altra cosa, capitò all'inizio del
capitolo settimo, a un capoverso che si intitola 'E' finita per i nonni', e io
che sono nonno lessi con particolare attenzione. E qui mi sorpresi a
canticchiare. Ora, guardate, sto dicendo la verità! Canticchiare? Io?! Che
non canto neanche in bagno, ma non ho cantato in vita mia neanche quando mi
faccio la barba!!! Che cosa canticchiavo, anzi non canticchiavo, mugolavo,
seguivo il ritmo delle frasi come si fa con la musica, come quando si batte il
piedi, si batte il tempo o ci si dondola sul busto. Lo stesso tipo di effetto,
perché il libro di Guccini ci racconta la vita di un giovane in una Bologna
tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '70. Ma per quanto sonero,
cioè che fa parte di complessini musicali, non gli capita nulla di
straordinario. La provincia è uguale alla mia. E tutte le province del mondo,
me ne vado sempre più rendendo conto, sono uguali dovunque. Ma è il modo
come queste cose sono raccontate che dà il valore a questo libro
straordinario. Come si racconta una cosa? L'invenzione del libro, la sua
unicità, consiste nel linguaggio. Le cose diventano straordinarie, non perché
sono straordinarie in sé, ma per come sono raccontate, con quali parole, con
quali accenti. Dico accenti!.. Anche accenti tonici. Con quale giro di frase.
Prosa poetica, dice la bandella, e questo è il secondo punto che mi trova in
disaccordo. La prosa poetica ha il respiro corto, è un centometrista, non
potrebbe mai fare una maratona. Qui no! Questo ha il passo libero, estroso di
chi può anche macinare chilometri. Non è una prosa lirica, è una prosa
narrativa che sa il valore della poesia all'interno della prosa come fatto di
accelerazione... E poi (e termino un attimo) volevo dire che succede
all'interno del libro una cosa strana: anni fa mi capitò di... moltissimi
anni fa... di andare al teatro dell'Opera, qui a Roma, ad assistere non so a
quale momento della tetralogia wagneriana - assicuro, ero nel pieno possesso
delle mie facoltà mentali [risate] ma gli scopi che mi movevano non
erano confessabili... - i cantanti erano tedeschi [risate] quindi, ad
un certo momento... e qui mi capitò un miracolo, chiamiamolo pure così... cominciai
a capire le parole [risate]. Due erano i casi: o lo Spirito Santo -
attualmente impegnato in politica come ci è stato autorevolmente detto [risate
e scroscio di applausi] - si era calato su di me, o era la potenza
della musica. Ebbene l'occhio mi cadde sul programma: i cantanti erano
tedeschi ma il coro era dell'opera di Roma e perciò cantavano in italiano [risate].
La stessa cosa, credete, m'è capitata con gli ultimi due capitoli di Guccini.
Arrivato ad un certo punto quella sorta di barriera che c'era... non c'era più.
Capivo perfettamente. Ho detto: guarda! Sono talmente integrato che... invece
no!!! Invece, lì, Guccini in questi ultimi due capitoli... come posso dire...
diluisce il suo dialetto, sa di potersi pienamente fidare del suo
italiano. Un capitolo è dedicato a coloro che se ne sono andati, l'altro
capitolo è un requiem, un addio, alla giovinezza, e lì, non sono io che
capivo di più ma... lui che cambia leggermente registro. Diceva Pirandello
che di una data parola la lingua ne esprime il concetto, mentre della stessa
parola il dialetto ne esprime il sentimento. Ometteva di dire che ci sono una
diecina di parole, non di più, che tanto in lingua che quanto in dialetto
riescono a esprimere tutte e due il concetto della cosa e il sentimento della
cosa nello stesso momento, si chiamano: vita, morte, giovinezza, vecchiaia,
amore... cinque. Le altre, se volete, le aggiungete voi. Grazie. [applausi
a non finire]
Francesco Guccini Cosa devo fare adesso? Dopo questa mirabile
presentazione che fra l'altro ha colto benissimo la lingua differenza degli
ultimi due capitoli... io sono bidialettale perché i miei genitori hanno
sempre parlato italiano fra di loro, anche perché se mia madre avesse parlato
il dialetto modenese mio padre non avrebbe assolutamente capito nulla. ed era
meglio che in qualche modo comunicassero [ ].
C'è un episodio, che ho raccontato tantissime volte...quegli episodi
familiari che vengono poi ripetuti... quando, da piccolo, mia madre mi trasferì
a Pàvana in tempo di guerra (c'era la guerra e andavo dai nonni) vide una
bambina piccola, un giorno, e disse: ma che bella bambina. In dialetto
modenese. In dialetto modenese, ma che bella bambina si dice: 'ma che bella
puteina!' E avendo frainteso clamorosamente la guardarono malissimo perché
appunto avevano capito male. Quindi parlavano italiano. Mio padre parlava, in
casa di parenti, dialetto pavanese, che è un dialetto un po' toscano
mischiato all'emiliano, mia madre parlava, con le sue sorelle, il modenese...
io non ho mai parlato dialetto, né il pavanese né il modenese, però l'ho
sempre sentito parlare e quindi parlo ambedue i dialetti, con un leggero
rincrescimento, perché se avessi avuto un babbo francese e una mamma inglese
o viceversa, forse avrei parlato inglese e francese benissimo, mentre adesso
parlo il modenese e il pavanese benissimo, ma non frega niente a nessuno!!!! [risate]
E quindi orecchio il dialetto, lo parlo ma lo uso come sottofondo, cioè per
parlare di certa gente, di certi ambienti il dialetto è importantissimo. E'
una tavolozza in più che uno ha a disposizione. Abbiamo una ricchezza
dialettale in Italia vastissima. La parola, per esempio, che più ha esiti
dialettali è il "correggiato", che è uno strumento di rame fatto
da due bastoni che usavano una volta i contadini per sbattere il grano...
ebbene, ha quarantadue esiti differenti. Cioè la parola 'correggiato', in
italiano, si dice in quarantadue modi diversi.. che è una ricchezza. Non ci
si capisce a volte ma questa è proprio una ricchezza [risate].
Una terza cosa, invece, che uso soprattutto, non nel primo romanzo (perché a
Pàvana non esiste il gergo ma il modenese) ma nel secondo romanzo, nel
bolognese invece esiste il gergo... Gergo che è in continua evoluzione...
quello che viene creato dal basso e ha mille sfaccettature, mille episodi...
tant'è vero che non è difficilissimo trovare l'etimologia della parola
dialettale. Ci si arriva alla fonte di quella parola, ma spesso è quasi
impossibile arrivare alla fonte di una parola di gergo. Perché è talmente
variato, può dipendere dal momento. Può dipendere da un'impressione, da un
signore particolarmente abile nell'inventare parole. Come fatto stesso che nei
bar (bars, come dicono nel libro) che ho frequentato ci sono i creatori di
gergo e i fruitori di gergo. Ci sono quelli che riescono ad avere l'invenzione
e quelli che adoperano l'invenzione. Quindi è molto comprensibile fra di
loro, viene usato, questo gergo con l'avvertenza che il gergo è mutatissimo,
quindi.. Parole che una generazione usa e sembra non ne possa fare a meno,
dopo una generazione scompaiono. Ho avuto una gran delusione... sto divagando
perché... perché dopo quello che ha detto Andrea non so cosa dire [risate].
Ho avuto una gran delusione a Modena un anno fa, ero ad una festa dell'Unità...
Io sono un bolscevico come sapete e quindi ero casualmente a una festa dell'Unità,
e indicando un vigile urbano: "guarda, ci sono anche delle gaffe". E
gli organizzatori che erano lì: "cazzo! Ma cosa vuol dire?".
"Come cosa vuol dire! Non conoscete gaffa?! Io non ho mai detto a Modena:
v'è un vigile urbano!". La gaffa... gaffa... scomparso. Un'altra parola
che da ragazzino usavo moltissimo: per dire ragazza, non si diceva ragazza ma
si diceva 'mina', e con l'accento di quel simpaticone di Giovanardi.che mi
piacerebbe incontrare per fargli il verso, perché Giovanardi, non so se lo
conoscete, parla un modenese [e qui inizia a fargli il verso] mooolto
pesante, parla tutto così, fa quei discorsi alla Camera in questa maniera e
non si vergogna neanche a parlare così, e mi piacerebbe... "senta
Onorevole ma è proprio sicuro di quello che dice?" Bè fa niente
insomma... la parola era mina. Hai la mina? Cioè quando si andava alle
festine: c'è una festina oggi? Sì. Ce l'hai la mina? Perché senza ragazza
non si poteva andare. In Argentina, bè mina non si usa più, non so cosa
usino adesso, forse le ragazze sì ci sono ma mina non si usa più... in
Argentina un amico del mio chitarrista è arrivato e dice: "te presento
mi mina". Il mio chitarrista lo introduceva dicendogli: "ti ha
presentato la sua ragazza". Ma l'ho capito benissimo, si usava a
Modena... nell'unfargo, ecco ci sono dei misteri, l'unfargo è il gergo della
mala di Buenos Aires, sono delle parole prese pare pare... ovviamente
l'immigrazione in Argentina è stata dell'Italia del nord, quindi la
spiegazione può essere questa. Per esempio anche a Bologna si dice:
polleggiare, stare polleggiati, che viene forse da pollo. Stare tranquilli a
polleggiarsi. Dicono in unfargo: ."me vollo apoliyarme". Che è
uguale. Cioè tutte parole... ricchezze incredibili e quindi usare, mescolare
queste cose e poi anche mescolare lingue, che si sono conosciute o che si sono
studiate come il latino, ma metterle in una maniera diversa, magari ironica
come usare delle parole di un italiano aulico, ma non per usare parole in
italiano, ma per ironizzare su queste parole, ecco! Questo è un po' tutto
quello che c'è... detto così, insomma!, qui non so più che cosa dire...
quindi chiedo aiuto a lei [riferendosi al Sommo, applausi scroscianti].
AC [rivolto al pubblico] Volevo chiedergli una cosa. Se
lui ha degli amici ai quali legge i suoi scritti, prima di mandarli
all'editore.
FG Bè, si ho dei pazienti amici. Leggo loro e dicono tutti che,
non so se è vero, letto da me acquista tutto un vigore particolare.
AC Infatti, è quello che tra un po' ti pregherò di fare. Però
volevo sapere se qualcuno ti ha detto: ma guarda che così come scrivi è
difficile che ti capiscano.
FG Dunque, sì questo mi è stato detto ma, dato che leggo a dei
conterranei o quasi conterranei, quando leggo capiscono benissimo quello di
cui sto parlando, quindi più o meno... Devo dire che a Pàvana, è, credo, il
quarto anno che mi costringono... Fanno una festa paesana, molto piccola,
piccole cose insomma... è il quarto anno consecutivo che la festa finisce e
mi fanno leggere pagine di "Croniche Epafaniche"... per ricordarsi
queste cose, ma è ovvio che la lettura è anche divertimento, piacere. Ma è
anche fatica, è anche.. e quindi uno si deve... non sempre tutto quello che
viene letto è così, facilissimo, comprensibilissimo... Io, poi, fra le altre
cose, mi sono imparato l'uso di "macari" siciliano, che vuol dire:
"anche", e che non avrei mai supposto." C'era macari
Antonio!" "C'era anche Antonio", il "macari" lo
interpretavo. Uso in maniera completamente diversa e quindi... adesso lo so...
AC Anch'io ho imparato delle parole che non è detto che non ti
rubi [risata di Guccini] un giorno o l'altro.
Lo chiedevo perché, in realtà, di questi amici timorosi che ti dicono: 'così
va a finire che... non ti capisce nessuno!!!!' E uno dice: 'vabbè ma se a me
mi viene da scrivere così, cosa ci posso fare?' Questo è, poi chi mi vuole
capire, capisce. In realtà è una leggenda... perché ho scoperto che è una
leggenda? Perché in realtà la gente ti legge. E quelli che ti leggono hanno
proprio il gusto di superare questa sorta di difficoltà iniziale... Allora io
mi ricordo un litigio - io sconosciuto allora - fra moglie e marito su
un mio libro, e la moglie rimproverava il marito e gli diceva: "come fai
a leggere questa roba?" (erano piemontesi e si stava in treno) e lui
diceva: "perché tu non hai nessuna curiosità! vedi, se tu cominci a
entrare dentro a cercare di capire, a poco a poco capisci.." eccetera
eccetera... e siccome ho saputo che questo libro va bene, io non posso fare
altro che avere, trarre anche un minimo di speranza, anche da questo fatto e
cioè che c'è gente che legge!
Sai, come speranza dobbiamo aggrapparci a tutto! Dato che siamo in fase di
lettura scegli tu le pagine che vuoi.
FG Non so...
AC No, no, no... francamente quelle che tu ritieni, però ci
dici il numero
della pagina, dato che ho il libro, ti seguo.
FG Sì, allora! Vediamo un po'... dov'è andato a finire... ecco qua.
"Cento scudi". Ah già la pagina...
AC Vabbè, vabbè, la trovo da me.
FG 112, verso la fine.
Dato che uno scudo d'argento del fascismo valeva 5 lire. Cento scudi fanno
cinquecento, quindi a Bologna la Cinquecento era chiamata il "cento scudi",
credo che da altre parti "cinquino" la chiamassero, ma a Bologna
proprio la
"cento scudi". Cento scudi che per altro non ho mai posseduto per
una serie
di motivi, primo perché non ho mai avuto e non ho ancora la patente; secondo
perché non avevo il denaro necessario per comperare neanche una cento scudi,
anche se costava pochissimo, ma avevo molti amici che avevano il cento scudi
e così sono stato scarrozzato più o meno . Però la conosco bene... la
conoscevo bene..
"... Anche al ritorno, ritorno dalla naia, il cento scudi era pronto per
te,
là a Cittanòva. Non era quello dello sborone che non pago del prodigio della
Macchina in sé tutta la pistolava, dapprima abbassandola a tal punto che
sotto non ci passava nemmanco un cìcles, alzando la cilindrata a
cinquenovantacinque, lasciando la parte grigliata del cofano sopra al motore
aperta, che prendesse più aria, più respiro, sorretto il tutto da eleganti
stecche metalliche. Istoriava poi il musetto davanti ad esso deretano con la
grifagna presenza di uno scorpione a coda ritta, nell'atto di velenosamente
pungere (Abarth era il genio di tali manipolazioni, e l'aracnide dalle chele
ferrigne e venenum in cauda il suo simbolo); poi faceva abbassare la testa
dei pistoni di qualche millimetro, per rendere più potente lo scoppio,
faceva lucidare e cromare le valvole di carico e scarico per rendere i
flussi e riflussi più agili, le ruote avevano cerchioni più larghi e si
dovevano così modificare, allargandoli, i parafanghi, ma non solo: i sedili
erano muniti di ribaltabili, atti a decubiti i più agevoli e languidi il
possibile (la manopola veniva anche saggiamente sostituita con un quale di
intarsiato èbano, da una eburnea boccia da biliardo ovvero, ma questo invero
i più borazzi, da un ghignante teschio) nelle lascive positure tutte
dell'accoppiamento, la leva del cambio rimpicciolita alle minime dimensioni,
perché dava così un tocco sportivo ma soprattutto perché non desse fastidio
nel bel mezzo di un certame amoroso nel quale il modificatore sempre andava
insperando, e cambiava il volante di serie in uno a tre razze d'alluminio,
tipo auto da corsa (tale Nardi èrasi l'abile artigiano foggiatore), col
cerchio in legno e le tacche sull'impugnatura, che le mane non scivolassero
al raggiungimento di folli velocità, tipo novanta/cento all'ora; anche
centocinque, se il mezzo era lanciato. I fari, in alcuni fortunati modelli,
erano grigliati a larghe maglie, per impedire che un ciottolo ne rendesse
cilobina la vista, futurosa preveggenza per i fuoristrada tutti.
Per finire, il clacson erasi un mostro bitritronuantetonale (vi era un
apposito compressore elettrico, da batteria alimentato, con distributore
rotante che, girando ed applicando apposita pressione metteva in funzione le
tre angeliche diaboliche trombe del giudizio) capace di mettere in
dilettantesco non cale pur le sirene della Forrestal e, sull'antenna,
fieramente inalberata come una vela al vento, come uno svettante simbolo
fallico, come un dito piantato nel buco del culo del cielo, issava una coda
di volpe o di altro rapace animale tale da sgomentare l'esile lunghezza
della vettura stessa..." [scrosci di applausi]
AC La lettura di un autore è sempre rivelatrice, no?! Allora quante sono le
parole, torno al discorso, che non avete capito? Sicuramente una decina, ma
vi è arrivato tutt'intera questa spassosissima descrizione che, non tanto
connota la macchina ma connota il possessore assente della macchina. Non a
caso in uno dei suoi romanzi gialli - che lui scrive con un vero importante
giallista italiano nonché bolognese che è Loriano Macchiavelli - ricordo che
in uno di questi gialli, che si chiama "Un disco dei Platters", c'è
un
maresciallo dei carabinieri di fresca nomina che usa un'Abarth, che è
macchina notoriamente non adatta a un maresciallo dei carabinieri, infatti
il colonnello è un po' inquieto quando lo vede girare con questa macchina.
Allora, tornando al discorso della lingua. C'è anche in un momento del
glossario mi pare, o in una nota, perché ci sono anche delle divertentissime
note a piè di pagina, come si dice, mi pare che c'è, arrivato ad un certo
punto, una sorta di domanda al lettore: "ma il latino lo avete studiato,
o
no?" È vero che c'è?? [Guccini annuisce] Ecco!
Quanto ci ha dato a noi che abbiamo studiato il latino, lasciateci essere un
po'... per un attimo classisti, la voglia e la capacità di scrivere in questo
modo?
FG Ma, eh... il latino è la lingua che ho studiato in assoluto di più ed è
la lingua che pratico meno, nel senso che adesso io non so lei, ma.. quando
capito di fronte a una lapide mi metto a leggere con grande entusiasmo e
alla terza parola mi blocco... cioè... [risate])
AC Non sei il solo. Però tu mi dai del lei. Attenzione! Allora ti
do
anch'io del lei...
FG No, no, ti do del tu. Uuna volta ricordo ero a Vienna e volevo chiedere
un'informazione, io non so il tedesco... Vedo un prete e dico: Ah! Adesso
parlo latino. L'ho fermato e gli ho detto: pater. E lui: do you?
AC Ahahahahahah!!!! [risate e applausi]
FG Ci hanno fatto studiare col terrore. Io ricordo in prima media il
latino: bestiale! Ogni errore blu era un voto in meno e fioccavano i quattro, i tre. Perché bastava cambiare: popolus, che è una
pianta... nel
senso non di popolo, ma di pianta [pioppo], che è femminile come tutte
le piante, ma in us sembra maschile. Allora come facciamo "popolus albus"
con
"pioppo bianco?" No! "Popolus alba", maledizione!!!!
Errore... e alla fine
tre, quattro. Oh! Porco cane, poi fino all'università. Niente, il latino mi
sfugge. Però c'è una cosa... poi ti rimando la palla. Due anni fa mi son
divertito a tradurre una commedia di Plauto, la "Casina," dal latino al
pavanese. L'ho tradotta tutta ed è stata rappresentata e l'hanno fatta, oltre
che a Pàvana, l'han fatta a Sàrsina.e poi la stanno facendo in tournée. In
San Giovanni in Persiceto, Casalecchio [risate] .E vogliono sempre me.
Dice
"sei libero quel giorno lì?" perché devo dire al pubblico:
guardate questi
qui sono degli sciagurati non sanno recitare, son dei cagnacci, perdonateli,
abbiate pietà di loro! Solo questo devo dire all'inizio di ogni spettacolo. Leggendo Plauto, mi sono accorto che è tutto un altro latino di
quello che abbiamo studiato noi a scuola. E' tutta una cosa addirittura con
delle parole che io pensavo nate nel latino terzo-quarto secolo dopo,
invece erano già usate, mi sono trovato un bella "lula", per
carina, invece
che "pulcra", quindi un latino popolaresco. E l'ho tradotto, devo dire anche
con relativa facilità, perché è una lingua [...]
[qui purtroppo la registrazione è rovinata]
AC [...] la "Storia della colonna infame" che è uno dei testi più grandi nei
quali io mi sia mai imbattuto e che, dicevo, con Leonardo Sciascia rimane
questo modello inimitabile per la dignità dell'uomo. Veramente... per come uomo
può essere manipolato e trattato... L'unica cosa in fondo, la fortuna, l'ho
avuta nel latino dove riesco, forse, a leggere una parola in più di Guccini.
Una, non di più.
Perchè ho avuto un maestro straordinario il quale diceva, via i libri
di
testo e cominciò a leggerci Boccaccio... i passi più zozzi di
Boccaccio... interessandoci immediatamente tutta la classe [risate].
Dopodiché, prese l'"Asino d'oro" di Apuleio... e allora, io imparai tutte le
parolacce che si possono dire in latino. Ma imparai anche il latino, poi me
lo sono dimenticato, come è doveroso... scordarselo, ti rimane così questo
fondo di cui si parlava un attimo fa. Però questo tipo di insegnamento è
quello che le scuole italiane dovrebbero seguire, cioè una vera riforma
Moratti dovrebbe basarsi su questo... trovare acconce cose per le ragazze [risate] ma insomma, per noi ragazzi questo andava benissimo...
[rivolgendosi a Guccini] Perché Cittanòva?
FG Perché ogni città del nord credo che abbia vicino alla città vera e
propria una piccola borgata chiamata cittanòva. Perché nel medioevo quando le
piene, non più controllate, distruggevano le città, gli abitanti
fuggivano e costruivano sempre la cittanòva vicino, ma non in questo senso...
Per me, perché la cittanòva è una vera città dopo la città della
Motta, cioè Modena... Perché città della Motta? Perché, forse
nell'etimologia
più aderente al vero è: mutna, e poi mùtina, che son le Motte... Nella
pianura Padana, ogni tanto si vedono dei rilievini che saranno 20 centimetri
più alti del terreno piatto della pianura.. di terra scura, perché diventata
tale dai residui organici eccetera, sono le "Motte" o
"terremare", e quindi
mutna, probabilmente ha origini etrusche... invece, per epafaniche mi sono
inventato... chè non esiste (a Pàvana è tutta un'altra etimologia)... mi sono
inventato" un "epafanus"... un mitico progenitore, creatore...
ma sì... 'na
balla insomma...
AC Vuoi che ti interroghi ancora? Non lo so.
FG:Ahahah. Se vuoi leggo un altro po'.
AC Ecco! Questo sì, però dimmi il numero della pagina.
FG Ecco, devo chiedere una pagina 46. C'è la nota 11... "bucaioli c'è
le
paste!" che è toscano questo, e dice la frase sarebbe "Bucaioli c'è
le
paste!" Perché parlando di una chitarra... vabbè, se volete vi leggo la
cosa
della chitarra poi vi parlo di "bucaioli c'è le paste".
"... Era, quella chitarra, una cosa vomitevole assai, ideata da
intelligenze
sconvolte di locali mentecatti, italiani dico, di un colore rosso mattone
scuro cosparso di dorate paillettes ("Bucaioli c'è le paiet!") che
colpite da
un subdolo raggio di riflettore da balera, squittivano lor doratura
tutt'attorno, il che aveva affascinato non poco te, l'incolto, ed anche te
stesso in parte mentecatto, suonatore, in quegli scarsamente onorevoli
anfratti dati alle musiche. Erasi, il manico, cosa di metallo, alluminio od
altro extraleggero, fissato alla cassa con grande dado ovviamente avvitabile
e svitabile, non a mano nuda, naturalmente, chè ti sarebbe occorsa la forza
muscolare di un Ercole, ma con opportuna cagnetta la quale, alla chiara
bisogna, mai in assoluto recavi teco. Ben fisso, quindi, ma non nella
legittima posizione perpendicolare alla cassa, che per misteriose sue
ragioni il tutto né voleva né sapeva assumere, ponendosi con un curioso
angolo acuto (ottuso, evidentemente, dall'altra parte); se questo andava a
scapito dell'accordatura, e credo che detta chitarra fosse IMPOSSIBILE
accordarla, poteva procurare, tenuta saldamente per la cassa squassando
bellamente il manico su e giù con la mano stanca, un curioso effetto
maniglia di distorsione ancora da inventare ma che molti, rozzi pari a te,
invidiavano anche, gridando alla sovraumana abilità. Per dire. E' che forse
gli anni '60 erano arrivati e non ce ne eravamo neanche accorti. In pieno
pari in quegli anni, ma vallo a sapere.
Il manico poi era stracolmo di scritte, Framez e/o Framus, bellamente
incastrate in varie guisa qua e là per i tasti, se ben ricordavi, come
intarsi di preziosi e rilucenti Madre Perle orientali, come grondante di
lapis azul e corniole e berilli e crisopazi e balasci, e la cassa, dotata
ahimè d'una sola piastrina d'amplificazione di vigorosa plastica giallina,
sembrava un incrocio fra quella d'una usata chitarra ma acromegalica (era,
l'ipofisi malata, il bubbone della giuntura) e un qualcosa di futuribile
però non ancora ben immaginato, un sogno infrantosi all'alba, essendo che la
gigantesca cassa piatta leggermente bombé di suo non dava suono veruno ma
solo, era il tutto, immaginato per l'estetica, il bello per il bello dico,
fa' te. L'amplificatore erasi un parallelepipedo verdolino, sempre colmo di
coriandoli degli allegri trenini a samba dei carnevali e dei cerchi dei
bicchieri delle bibite, che una a testa, venivano servite a gratis durante i
servizi, ma questo non c'entra. E pensare che avevi sdegnosamente rifiutato,
per una misera somma, una Gibson Les Paul nera che ora varrebbe fortune
capitali. Rabbia, a pensarci ma eravamo fatti così." [applausi]
Ora.la frase "bucaioli c'è le paste!" (toscano) che,
devo dire,
non si capisce l'unione tra gli omosessuali, bucaioli, e i dolcetti... poi ho
beccato un bravissimo scrittore toscano, un certo Marchetti che scrive con
lo pseudonimo di Borsacchini... sono difficili da trovare i suoi libri perché
sono soltanto in area Toscana, zona livornese, lucchese eccetera... ma se
vi
capita, lui ha scritto il dizionario dei modi toscani... "il dizionario
universale di Borsacchini"... lo giuro! Non riesco a rileggere una sua
pagina
senza piangere dal ridere, insomma, quindi ho trovato il suo indirizzo e gli
ho scritto. E mi ha spiegato che "bucaioli c'è le paste!" non sono
le paste, i dolci, che si mangiano. In Toscana è la pasta. Quando si arriva con
la terrina della pasta: "C'è le paste!" e ci aggiungono: "bucaioli..."
ed io
avevo frainteso perché per me le paste erano i dolcetti. Invece la pasta al
plurale per indicare la dovizia della pasta servita in tavola, quindi, mi
scuso per l'informazione non esatta... Un'altra informazione non esatta che
ho dato anni fa nel primo libro... eeeee... l'espressione pavanese: "fammi
ben
la semplice"... è un invito alla masturbazione, io citavo una canzoncina
giovanile e goliardica... "bella vieni bella, vieni con me in bottega" (e
l'errore mio era: io ti farò una semplice dichiarazion d'amore) ecco perché
la metafora non la senti, quindi, non si capisce perché non sono io che la
devo fare a lei, ma è lei che dovrebbe farla a me [risate e applausi]
Ahahahahah... errore tragico. [applausi]
AC Un'ultima cosa per soddisfare una mia personale curiosità. C'è un
capitolo che è tutto dedicato alle osterie, trattorie, come quelle dove andava
il Carducci che usciva con mare forza sei, e quindi sbandava terribilmente
per il vino che aveva bevuto... C'è una pagina meravigliosa che parla di
un'osteria che aveva un sistema di cui io ignoravo completamente l'esistenza
e mi sono maledetto per non essere riuscito ad immaginarmelo un sistema
simile, consistente in tavolo rotondo intorno al quale si mettevano i
mangiatori per cibarsi di pasta e fagioli o qualcosa di simile... e si
mangiava a tempo, cioè a dire tutto quello che riuscivi a ingurgitare metti
conto in dieci minuti dopodiché suonava un fischietto o qualcosa di simile e
quelli che stavano mangiando smettevano di mangiare e subentravano gli
altri... ma è vera 'sta storia o te la sei inventata?
FG Sìsì!! Il locale era: "Ghitan in dal pratel", ghitan è
ghitone cioè
abbreviazione di margheritone. Questa margheritona, questa Margherita,
vendeva i fagioli a tempo, ma non solo non li serviva in scodelle, ma in
appositi buchi scavati nel tavolo e i cucchiai erano legati al tavolo con
una catenella... per la fiducia che davano... agli avventori. Quindi da Ghitan
in dal pratel, in via del pratello. Via del pratello era una strada... adesso è
tutto cambiato, adesso è piena di osterie di... di... posti di incontro per
giovani eccetera. Allora il pratello era la strada dei ladri e c'era una
vecchia casa del popolo con annesso dancingssss che aveva un nome stupendo. L'hanno cambiato l'hanno rovinato lo hanno chiamato: "Circolo
Pavese", a quei tempi si chiamava "Circolo doremì" che è
molto più bello. Circolo doremì, che circolo Pavese... insomma... e succedevano delle scene di
vita bellissime che magari dopo brevemente vi racconterò... Uno andava e
diceva: senti, Gino! Mì, vorrebbe una Canon... Mah! una Canon fra due giorni
te la posson dare... E una Nikon??? ..Eehhhh! Una niKon è più difficile, ci
vuole anche una settimana... Perché doveva ciuffarle... doveva rubarle, no! E
quindi era il tempo che si dava al furto... poi, c'era uno.. ho visto una
partita memorabile. Fa sempre parte dei racconti del Pratello. E questo aveva
[toccandosi la gola] come si chiama... gli avevano fatto.. la tracheotomia e
aveva il collo coperto da un fazzoletto e poveretto parlava in questo modo [facendo la voce di un tracheotomizzato], dunque durante una partita a carte
parlare in questo modo qua, si parte con uno svantaggio bestiale. "tè
zugal
el caval!!???!! Tengo il brigo de zugare el caval" cioè "hai
giocato il
cavallo??!! Non dovevi giocare il cavallo!!!!!" e il tizio tracheotomizzato
"bè lo zugè perché.." "no, no, no, nooooooo tè lo zugai
perché.." A un certo
punto quello si è arrabbiato e chiudendosi la gola con un mano ha urlato:
"pez de caravela".
[Risate e applausi. Anche risentendo la registrazione non so se le parole
dialettali le abbia capite bene... prendetela come una libera interpretazione.
Devo dire che non ho capito le parole neanche dal vivo]
Posso raccontarne un altro?
AC Certo!
FG C'era un vecchio ladro, poveretto, ormai pensionato,
insomma.. le facean
degli scherzi... Quando arrivavano i rappresentanti dei negozi, e lo vedevano,
lasciavano sempre aperto il camioncino con la roba dentro. E lui, si
avvicinava, lo guardavano, e quando era lì che stava per prendere, quelli
dicevano: EEEEHHHHH!!!, e lui scattava indietro. Una volta gli han messo un
ferro vecchio, una vecchia bicicletta bestiale appoggiata al muro, e lui si
guardava tutto attorno poi l'ha tirata su. Bè cosa fai??? Dove la porti??? ...Ma la port dal meeeccanico!..
Ahahahahah!
Credete che il fratello era con Ghitone, si può capire, come facesse a
vendere i fagioli a tempo.
AC Va bene, io vi saluto, vi ringrazio...
FG Io vi saluto e vi ringrazio. Perché abbiamo scoperto che siamo due grandi
fumatori, quindi...
AC ..quindi siamo già in fase di astinenza. Arrivederci e grazie!!!!!
FG Arrivederci [ridendo]
Voce fuori campo Allora Guccini firmerà le copie del libro nel
foyer del teatro. Invitiamo...
[mentre la voce fuori campo diceva questo, Guccini, che già stava a metà del
palco per andare via, si è girato lentamente con occhi atterriti verso il
pubblico e, rendendosi conto che il teatro era gremito, ha abbandonato le
braccia lungo il corpo e dondolando il capo è uscito sconsolato... A tutti
quelli che, come me, hanno fatto la fila per avere una sua dedica autografa,
chiedeva il nome guardandoli negli occhi]
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