home page




Giancarlo De Cataldo risponde alle domande del Camilleri Fans Club

Che ne pensa dell'opportunità della riedizione di un romanzo e della sua "contemporaneizzazione"?
Dipende dal romanzo e dall’esito della “contemporaneizzazione”. Quella che ho provato con "Nero come il cuore" rispondeva a un’esigenza intima, personale: l’avevo scritto nell’88, quando ero (e mi sentivo) un giovanotto (soi-disant) animato di ottime intenzioni nei confronti dell’universo mondo. E pertanto mi ero rispecchiato nel protagonista, un avvocato idealista, nemico del compromesso, un irriducibile, insomma. L’ho riscritto nel 2001, avendo constatato che l’universo mondo non nutriva, nei miei confronti, la medesima buona disposizione d’animo. Il protagonista riscritto risente dunque dell’evoluzione dell’autore, e rispecchia, nella nuova stesura, una nuova amarezza, molto più sperimentata e legata alle cose della vita che all’entusiasmo “letterario” dello scrittore alle prese con l’opera prima. Quanto agli esiti, boh,  al lettore l’ardua sentenza!

Da dove proviene l’idea di scrivere "Romanzo criminale"?
Da una domanda: possibile che gli americani siano riusciti a re-interpretare in chiave metaforica la loro storia recente, caricando di senso mitico l’assassinio di un Presidente, una guerra disastrosa, il razzismo e quant’altro abbia percorso le vene inquiete di quella grande nazione negli ultimi quarant’anni, e noi, che abbiamo vissuto la stagione delle Stragi, del terrorismo, dell’offensiva mafiosa non siamo stati capaci d’inventare un’epopea della nostra recente “storia criminale”? Ecco: "Romanzo criminale" è la mia personalissima, discutibilissima risposta a questa domanda.

Lei ha conosciuto personalmente molti degli esponenti della banda della Magliana. E’ a loro che si è ispirato nella creazione dei personaggi? E se sì, a quali?
Più che agli esponenti della Magliana, mi sono ispirato a figure di carcerati, carcerieri, coatti e traffichini incontrate in vent’anni di mestiere giudiziario. Anche se è innegabile l’interesse destato in me da certi killer glaciali, eppure ricchi di un mondo interiore solcato da venature persino etiche, o dai vecchi malavitosi che si arrabattano per sopravvivere, o dai terroristi, rossi e neri, che dopo la dissociazione vivevano insieme, come i vecchi ginnasiali della canzone di Venditti che s’incontrano al bar dove “Nietzsche e Marx si davano la mano”… ma nomi non ne faccio, ci mancherebbe!

Patrizia è l’unica donna del libro a godere di spessore letterario, le altre sembrano tutte solo comparse. Come mai questa scelta?
Non so, Patrizia è sgorgata “out of blue” da un’intuizione subentrata a stesura già avanzata. Originariamente non era prevista. Non so. Patrizia è un personaggio assolutamente letterario, come il Ranocchia, o il Grande Vecchio. Un personaggio - succede, più spesso di quanto si possa pensare - che impone il suo percorso oltre e talora contro le stesse scelte dello scrittore… le donne, poi… mah, è così difficile raccontarle, a comprenderle non ci provo nemmeno più… ma ho la fortuna di stare da tanto tempo con una donna che ne ricomprende in sé tante, e quindi non smetto di interrogarmi…

Come ha fatto a gestire la stesura di un romanzo così complicato e con così tanti personaggi, tutti ben descritti e, parecchi, indimenticabili?
Complimenti a parte, distinguerei fra genesi, preparazione e stesura vera e propria di un romanzo. La genesi è un’idea, una folgorazione, un’intuizione, il nucleo originario che nasce da una storia che s’impone su tutte le altre e pretende a gran voce di essere narrata, insistendo ossessivamente finché l’amanuense di turno (in questo caso io) non si decide a metterla nero su bianco. La preparazione è un lavoro tecnico, dichiaratamente razionale, che consiste nel documentarsi, delineare i profili dei personaggi e le loro storie personali (che poi non necessariamente confluiranno nella stesura), individuare il fondo tematico e gli snodi narrativi della vicenda, creare i conflitti e le interazioni fra i personaggi di cui sopra e il contesto storico… insomma, la redazione a tavolino di una “struttura” di caratteri e di situazioni, una “scaletta” la cui tecnica mi deriva dalla frequentazione dei corsi di scrittura degli sceneggiatori americani, veri maestri non tanto nell’insegnare a scrivere (questo nessuno può davvero pretendere di farlo), quanto nell’insegnare, a chi ama la scrittura, a comprendere alcune cose fondamentali: che storia vuoi raccontare, chi sono i protagonisti, qual è il loro scopo, come lo raggiungono, chi li ostacola e chi li aiuta, e, soprattutto, dove comincia e dove termina il loro viaggio. Chiarito tutto questo, si passa alla stesura vera e propria. Che rimette in discussione giorno dopo giorno l’impalcatura così faticosamente edificata, obbligandoti a un durissimo lavoro di selezione: ciò che alla fine sopravvive era degno di vivere, il resto era passibile di sacrificio, ed è meglio che sia andata così. E la stesura infine, e soprattutto, riprende quel nucleo profondo che stava alla base dell’intuizione originaria, lo spoglia della sua dimensione laica e razionale estraendone tutte le variazioni mitiche, inconsce, persino turpi che presiedettero alla scelta iniziale (noi la riteniamo frutto di un’intuizione, io stesso così l’ho definita, ma in realtà nell’idea ci siamo noi, con tutto il nostro mondo di esperienze e di illusioni, di conflitti irrisolti e di ambizioni, l’uomo che scrive, insomma)… Uff, ogni volta che ne parlo scivolo nel mistico, ma in realtà è così: la scrittura non è altro che un’opzione mistica mascherata da attività tecnica.

Che regole usa, se ne usa, quando scrive?
Credo che la risposta sia contenuta in quella alla domanda che precede.

Dov’è il confine tra realtà e fantasia, in "Romanzo criminale"?
Bella domanda! Risposta indiretta: qualche mese fa ha destato scalpore la ricerca di uno studioso che ha rintracciato le fonti storiografiche dei "Promessi sposi". Un caso di “nera” rinascimentale riscritto e reinterpretato da Manzoni secondo la sua sensibilità di credente, adattato in una struttura romanzesca di stampo europeo sino a quel momento non presente nelle varie Italie dell’epoca, sorretto da una “direzionalità” ferrea (tutti i personaggi sanno dove comincia e dove finisce il loro viaggio). Manzoni stesso non fece mai mistero del suo complesso rapporto con la Storia, analizzandolo nelle memorabili pagine sul “vero” e sul “verosimile”. Lo scalpore cui facevo cenno sta tutto nella testa dei critici e letterati nostrani, per molti dei quali l’idea che il più famoso autore “letterario” della nostra storia si sia ispirato (come un qualunque Balzac, Dostojevskji o Dickens) a un fatto vero è semplicemente inaccettabile: Manzoni deve creare e deve creare attraverso la lingua, dando vita a una successione di pagine sorrette dalla lingua, finalizzate alla lingua, serve della lingua. Si può al più concedere qualcosina al soffio della Divina Provvidenza, poiché, dopo tutto, siamo un Paese profondamente cattolico. Insomma: l’angoscia del rapporto fra vero e verosimile sta tutto nella mente degli accademici. I narratori hanno risolto la questione da molto tempo, e non perdono troppo tempo ad illustrarla.

Spesso viene paragonato a James Ellroy… Che ne pensa?
Che è un’esagerazione. Simili paragoni sollecitano il narcisismo di uno scrittore, e lo espongono al rischio più tremendo che possa correre colui che pratica il vizio/passione/malattia della scrittura: quello di prendersi troppo sul serio!

Come concilia la professione di magistrato con quella di scrittore?
Ecco l’altra domanda canonica. Come concilio le due anime? Benissimo, grazie. Non mi dispiace finire sotto i riflettori come scrittore, lo detesto come magistrato. Penso che il cittadino a cui capita di imbattersi nel mondo giudiziario si possa sentire sicuro ad essere giudicato da una persona che ha consegnato le sue ambizioni alla scrittura, che esercita il suo mestiere con distacco e senza la smania di apparire in toga.

Pensa che i professionisti, quali magistrati e poliziotti, che scrivono gialli abbiano qualcosa in più dei giallisti che fanno solo gli scrittori?
Assolutamente no. Ormai il livello di informazione tecnica (da come si redige un verbale a come si descrive un’autopsia) che distingue un prodotto ingenuo da uno professionale è alla portata di tutti.

Come riesce a raccontare il male con tanta profondità, senza mai giudicare le persone che lo compiono e mantenendo sempre un magnifico sguardo umano?
Ancora complimenti! Estrapolo l’inciso “senza mai giudicare”, e mi riallaccio a una risposta di prima. Da professionista del giudicare, mi prendo, come scrittore, la sovversiva libertà di non schierarmi.

Cosa ne pensa della rinascita del giallo e del noir avvenuta in Italia negli ultimi anni?
Ne penso tutto il bene possibile. Alla domanda che mi ha mosso a scrivere "Romanzo criminale" ormai rispondiamo in tanti. Giallo e Noir sono in Italia solo definizioni sotto le quali si catalogano esperienze di scrittura diversissime negli esiti e negli intenti, ma legate da un unico segno ricorrente: l’ostilità verso l’accademismo, la letterarietà “pura”, la sequenza di belle pagine prive di struttura. Come auspicava il professor Giuseppe Petronio, uno dei rarissimi accademici liberi nello spirito che mi sia capitato di incontrare, siamo finalmente in grado di apprezzare un buon libro a prescindere dall’etichettamento, abbiamo smesso di teorizzare, ad esempio, che Sciascia non poteva essere considerato un autore di polizieschi perché ciò avrebbe sminuito la sua indubbia fama di “scrittore” e basta. E poi, via, diciamolo, la spallata finale alla grettezza degli “etichettatori” l’ha data proprio lui, Camilleri!

Cosa le piace leggere? Chi sono i suoi autori preferiti e perché?
Sono un lettore onnivoro, un divoratore caotico di romanzi, poesia, saggi scientifici, psicoanalisi, storia delle religioni, antropologia, classici e moderni… sarei imbarazzato a elencare i preferiti. Posso citare qualche maestro: Balzac, Flaubert, Dostojevskji, Cecov, ma anche Ballard e Chuck Palaniuk, e ancora Camilleri, e Gadda, e Derek Raymond, Yeoshua e Tammuz, Ellroy e Hammett e il grandissimo Simenon… seguo l’emozione, soprattutto, e mi piace “scoprire” talenti: ogni libro poi ha il suo momento, alcuni tornano, per altri il momento giusto non c’è mai, Kafka sì, per me, Proust no, Joyce sì, Musil no, Moravia e Pasolini sì, Calvino a momenti e non tutto, Dürrenmatt sì, sempre, ma anche Stevenson e Montalbán…

Come nasce il particolare linguaggio di "Romanzo criminale"?
Dall’osservazione, dall’invenzione e da quell’unico, imitabile laboratorio di vita e di sarcasmo che è l’immensa città di Roma.

Quale strada l’ha portata a diventare traduttore di Cohen?
L’ammirazione per un uomo che ha vissuto le mille molteplici vite che a me, comune mortale, sono precluse: Cohen è un esegeta della Torah e un rocchettaro strafatto, un mistico rivoluzionario e un conservatore che frequenta salotti di sospirose signore, un seduttore inappagato e il teorico della rivolta degli schiavi… e soprattutto ha scritto e continua a scrivere bellissime poesie e struggenti canzoni.

Andrea Camilleri alla "Giornata della Giustizia" indetta dall’Associazione Nazionale Magistrati ha dichiarato, riprendendo una frase di Sciascia, che “Siamo sull'orlo di un regime perché si stanno smantellando giustizia e informazione”.
Condivide questo parere?
Camilleri è più libero di me nei suoi giudizi, perché non veste la toga. Mi permetta  di avvalermi, su questa unica domanda, della facoltà di non rispondere.

(marzo 2003)

 


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011